Ronda Design presenta il nuovo mobile free-standing in metallo09/11/2015 – Hastag è un mobile free-standing in metallo costituito da una barra verticale alla quale possono essere agganciate magneticamente da 1 a 5 mensole direzionabili…
Ronda Design presenta il nuovo mobile free-standing in metallo09/11/2015 – Hastag è un mobile free-standing in metallo costituito da una barra verticale alla quale possono essere agganciate magneticamente da 1 a 5 mensole direzionabili…
Appuntamento il 13-14-15 novembre nello Store di Borgoricco 09/11/2015 – Bonaldo propone la vendita straordinaria “VIP Outlet Bonaldo”, che si terrà in uno spazio dedicato all’interno del suo showroom di Borgoricco (PD).
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L’Hotel di San Pietroburgo arredato da SAVIO FIRMINO®
09/11/2015 – L’Official State Hermitage Hotel di San Pietroburgo arredato da SAVIO FIRMINO® ha vinto i premi nelle catergorie “Luxury New Hotel” e “Luxury Design Hotel” per l’anno 2015 ai “Luxury World Hotel and Spa Awards”, il 24 ottobre scorso a Hong Kong.
Organizzato a livello mondiale per celebrare i massimi risultati raggiunti nel settore dei servizi di lusso, quest’evento premia gli alberghi e le spa internazionali che si sono distinti per le loro strutture di altissima qualità e l’eccellenza della loro offerta al pubblico.
Nel corso di quest’anno e nel 2014, il design e la qualità… Leggi l’articolo
Oltre 20 milioni di visitatori hanno in questi mesi varcato le soglie di Expo Milano e calpestato gli oltre 400 mila metri quadrati di area espositiva, allestita tra aree a verde, padiglioni e strutture di servizio. Solo alcune strutture, tra cui Palazzo Italia e l’Albero della Vita, e le aree a verde resteranno sul luogo mentre i padiglioni verranno spostati.
Molti padiglioni hanno pubblicizzato la loro “seconda vita” già dall’inizio dell’avventura Expo, spiegando come verranno riciclati, smontati, riutilizzati o trasferiti. Ma come verrà riutilizzata l’intero sito espositivo di Expo Milano 2015?
Tra Luglio e Agosto di quest’anno Agenzia del Demanio e Cassa Depositi e Prestiti hanno presentato a Regione Lombardia e Comune di Milano un dossier che presenta il progetto di futuro utilizzo dei terreni dell’Expo Milano 2015. Il dossier contiene i riferimenti ad alcune situazioni in cui si è riqualificata un’area di ampie dimensioni come per esempio il progetto Adleshof a Berlino e Silicon Roundabout a Londra.
Il progetto prevede tre macro aree: la cittadella universitaria, un parco tecnologico e un centro di servizi pubblici.
La proposta così formulata prevede un investimento totale di oltre un miliardo di euro. Il trasferimento dei locali universitari richiede all’incirca 540 milioni di euro, di cui metà coperti dal polo universitario. La realizzazione della cittadella dei servizi costerà oltre 200 milioni di euro, di cui una parte arriveranno dal risparmio dei canoni di locazioni dei locali che oggi ospitano i medesimi servizi.
Tutte le aree a verde presenti durante l’esposizione verranno mantenute.
Su questo tema Corriere della Sera e Oxway, una delle prime piattaforme italiane di intelligenza e critica collettiva, hanno reso disponibile una piattaforma online nella quale dal 16 al 26 Ottobre, chiunque ha potuto esprimere la propria proposta.
Sono state oltre 500 le proposte caricate sulla piattaforma da oltre 1000 utenti iscritti tra imprenditori, architetti e ingegneri, liberi professionisti e pubblico comune. Le proposte pervenute sono state le più varie: molti hanno presentato l’idea di realizzare un polo universitario o un polo tecnologico. Altri hanno proposto l’idea di istituire un’area museale o una fiera mondiale a tema alimentare. Altri ancora avanzano la possibilità di realizzare strutture sportive.
I trenta migliori partecipanti, valutati sia della proposta progettuale che dei commenti su quelle di altri utenti, verranno premiati da una giuria di giornalisti della Redazione del Corriere della Sera.
Expo ha chiuso i battenti. La manifestazione internazionale, che ha venduto oltre 20 milioni di biglietti in tutto il mondo, ha definitivamente terminato di accogliere visitatori.
Molti sono state le notizie di questi ultimi mesi, molti i servizi televisivi concentrati sui più vari aspetti di Expo: dalla ideazione ai costi, dal numero di consensi alle critiche, dai concept dei singoli padiglioni agli aspetti puramente organizzativi e di gestione.
Si dimentica a volte di parlare della seconda vita di Expo. Dove finiranno le strutture costruite? Che ne sarà delle aree a verde piantumate? Come sarà riutilizzata l’area espositiva? Quanto spreco di risorse e materiali sarà evitato?
La direzione di Expo ha emanato, prima dell’apertura, in concomitanza con l’ideazione dei vari padiglioni delle linee guida per la sostenibilità delle strutture. In questo documento vengono trattati diversi aspetti della progettazione dei diversi padiglioni a partire dal consumo di suolo e di energia, dall’utilizzo di materiali sostenibili fino ad arrivare al fattore dismissione e riutilizzo.
Nel testo pubblicato vengono fatti precisi riferimenti a norme internazionali che prediligono la progettazione in ottica della futura dismissione ovvero progettare elementi e strutture avendo ben chiaro fin dall’inizio come queste verranno poi smontate, demolite o riutilizzate.
Vengono fornite inoltre indicazioni concrete come la limitazione nell’utilizzo di sigillanti o adesivi, poi di difficile smaltimento, o la documentazione fotografica delle fasi costruttive al fine di un più agevole smontaggio qualora le diverse parti poi non fossero più visibili ad opera conclusa.
Nelle linee guida si legge come ogni Paese sia stato invitato a ideare padiglioni che utilizzino per lo più materiali riutilizzabili, o tramite riciclo post demolizione o tramite spostamento delle strutture in altra sede o con altra destinazione d’uso.
Molti Paesi si sono dimostrati virtuosi nell’adempimento delle Linee Guida emanate da Expo;
la maggior parte degli stati espositori ha mirato al riutilizzo della struttura in altra sede.
Bahrain: il padiglione, progettato dall’architetto Anne Holtrop e dal paesaggista Anouk Vogel, è costruito in pannelli prefabbricati in calcestruzzo bianco. Al termine della manifestazione verrà riportato in patria e trasformato in giardino botanico.
Monaco: il padiglione Monaco verrà trasportato in Burkina Faso per diventare la sede della Croce Rossa della città di Loumbila.
Regno Unito: il padiglione, costituito per la parte predominante da un grande alveare realizzato con una struttura reticolare in acciaio, diventerà un monumento.
Austria: di difficile spostamento è il padiglione austriaco costituito da un vero e proprio bosco di oltre 12000 alberi. Le piante più grandi, che superano i 15 m di altezza, verranno destinate al comune di Bolzano che rinverdirà un’area periferica della città.
Estonia: gli elementi del padiglione verranno riutilizzati come arredo urbano in patria.
Anche il Padiglione Coca Cola è stato progettato per poter essere riutilizzato come struttura sportiva a Milano.
Altra strada percorsa da alcuni Stati è quella della vendita all’asta delle strutture e degli arredi.
E’ il caso per esempio del Padiglione del Brasile e di quello svizzero che offrono, anche online, al miglior offerente, un pezzo di Expo.
Alcuni padiglioni purtroppo al momento non hanno presentato un piano di riutilizzo o di riciclo (si tratta di Kazakistan, Cina, Germania, Spagna, Thailandia, Qatar, Oman, Uruguay e Corea).
Expo non è costituito solo da padiglioni ma da un moltitudine di strutture ausiliarie e servizi per non parlare delle grandi aree verdi piantumate o a prato presenti sul suolo della manifestazione.
Il mantenimento delle piante dopo Expo non sarà un problema per via delle caratteristiche del terreno favorevole e della tipologia di piante utilizzate, di cui solo la minima parte di importazione e quindi difficilmente adattabile al clima milanese.
Il Presidente dell’Associazione Mondiale degli Agronomi, in funzione anche di coordinatore del Tavolo della biodiversità di Expo Idee, afferma che la gestione delle aree a verde dopo Expo sarà relativamente semplice. La tipologia di piante comporterà poche operazioni di giardinaggio nella fase di transizione del dopo Expo, che sarà comunque nei mesi invernali. Se anche la fase di smantellamento di Expo e quindi il periodo transitorio che dovrà affrontare la vegetazione sarà lungo non si verificheranno problemi ma anzi verrà favorito il crearsi di uno spazio meno antropizzato e con aumento della biodiversità.
Nel distretto di Shunyi, periferia di Pechino, un giardiniere dal nome Niu Jian, ha costruito una casa fatta con sei containers, nella speranza di creare una comunità verde, dove le persone possano condividere un progetto di vita sostenibile, in una città ormai altamente inquinata. Nel giugno del 2014 “The container home” prende vita ed è solo la prima parte del suo piano.
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“The container home” un’installazione temporanea per istruire i visitatori e diffondere l’idea di una comunità condivisa, tramite visite organizzate e programmazione di workshop. Nel 2016, il suo programma prevede la costruzione di dieci unità familiari, 1000 mq di laboratorio a più piani. Nel 2017 Niu spera di vedere realizzato un complesso di 10.000 mq a più piani per ospitare 100 famiglie, con la possibilità di vendere o affittare le unità. Niu Jian vede il suo lavoro come un tentativo per affrontare il saccheggio delle risorse naturali causato dall’industrializzazione, che ha distrutto, in molte città del mondo, l’equilibrio tra natura ed esseri umani.
Il progetto è sostenuto da Sustainable Design Institute of Arts and Science Research Center, della prestigiosa Università di Tsinghua e dal Participatory Community Development Center. Le prerogative di base sono: tempi di costruzione brevi, facilità di montaggio, efficienza energetica e sostenibilità. Gli architetti incaricati sono SE Ding, Wang Wei, KONG Lingchen mentre il team di disegno sostenibile è formato da vari architetti e professori: Liu Xin, HU Yechang, CHEN Weiran, SU Yurong, XU Zhetong, Yang Xu, TU Wanrong.
Il progetto si compone di sei containers di 20 piedi (6.055 m x 2.435 m x 2.79 m), prefabbricati con porte e finestre, isolamento e alimentatore elettrico. Ogni container rappresenta un modulo base e la combinazione di più moduli dà vita a diverse varianti topologiche. In questo progetto specifico, l’edificio prevede 5 moduli verticali e uno orizzontale, che delimita lo spazio di una corte. La casa comprende tre camere da letto, un ripostiglio, uno spazio/laboratorio con stampante 3D e vari strumenti di taglio, una zona pranzo, la cucina e un bagno. I containers sono stati trasportati sul sito e, in tempi brevissimi, sollevati e installati; in seguito i moduli sono stati giuntati tra di loro e impermeabilizzati, e infine, sono state montate le scale e le porte interne. I sei containers sono costati 180.000 yuan, il trasporto e l’installazione 38.000 yuan, per un totale di 218.000 yuan (31.000 euro).
Il processo costruttivo è semplice e rapido, non necessita di elevata manodopera o risorse materiali, è a basso impatto acustico e ambientale. Il proprietario si è incaricato della progettazione interna e degli impianti secondo la filosofia del DIY (Do it Yourself).
Il progetto adotta una serie di espedienti per ridurre le emissioni e gli sprechi: raccolta delle acque reflue, trattamento e riutilizzo per generare il sistema di acqua riciclata; scarti di cucina, raccolta escrementi, trattamento e riutilizzo per alimentare il sistema di produzione di biogas; pannello solare da 600 watt e turbina eolica da 300 watt per alimentare le luci LED.
Niu Jian e la sua famiglia hanno installato personalmente tubi e lampade LED per la crescita delle piante in cucina. Possono mangiare le verdure che coltivano loro stessi grazie alla parete verde e al giardino di colture biologiche sul tetto. Gli scarti come bucce d’arancia, gusci d’uovo, foglie ecc. vengono polverizzati attraverso un tritarifiuti posto sotto il lavello e confluiscono in una piccola cisterna per il riciclaggio. In bagno, infatti, sono presenti quattro cisterne di plastica. Un serbatoio contiene le acque grigie utilizzate per il risciacquo del wc; un altro raccoglie l’acqua piovana utile per l’irrigazione; gli altri due sono collegati ad apparecchiature per la produzione di gas metano da liquami trattati e rifiuti di cucina. Il gas viene utilizzato per la cottura, mentre i residui solidi e liquidi vengono utilizzati come fertilizzante per le coltivazioni.
Niu e la sua famiglia vivranno per due anni in questa casa per sperimentare questo nuovo stile di vita, per capire cosa migliorare nel layout funzionale, nel sistema energetico o per quanto riguarda la manutenzione degli impianti per il verde, al fine di stabilire un insieme di soluzioni costruttive ecosostenibili per un futuro sviluppo partecipativo comunitario. Liu Xin, professore al Sustainable Design Centre dell’Università di Tsinghua, afferma che nonostante molte persone in Cina abbiano cercato di costruire case ecologiche alimentate da vento e metano, tuttavia il progetto di Niu, è il più coraggioso perché combina, in un unico organismo, trattamento delle acque reflue, roof garden, coltivazione indoor, energia solare ed eolica ecc.
I containers, tutti dipinti di bianco, si distinguono dagli edifici circostanti. Un orto davanti casa e le pareti coperte di piante color pastello. È questo lo scenario, forse un po’ pittoresco, che Niu sceglie, per promuovere l’armonia tra la natura e gli esseri umani.
Una terra al limite fra Mongolia e Cina, un paesaggio lacerato da attività estrattive, una popolazione divisa fra pastori e minatori. È il suggestivo sfondo di Behemoth, il destabilizzante film che, denunciando provocatoriamente lo sviluppo insostenibile delle società industrializzate, è il vincitore ad elevata carica emotiva del Green Drop Award 2015.
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Il riconoscimento, assegnato alla pellicola più green in concorso nella selezione ufficiale della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, consiste in una goccia soffiata da un maestro vetraio muranese ospitante un pugno di terra la cui provenienza, diversa di anno in anno, è nel 2015 un paese simbolo di siccità quale il Senegal.
Il documentario del pluripremiato regista cinese Zhao Liang secondo la giuria è il film che meglio “interpreta i valori dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alla conservazione del Pianeta e dei suoi ecosistemi per le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i popoli”.
Vivendo in una città inquinata come Pechino, egli muove dalla propria esperienza personale per trasmettere allo spettatore, attraverso la dura verità di immagini “in bilico fra poesia e riflessione metafisica”, un insegnamento ambientale traendo spunto dallo scempio che si sta compiendo con l’avanzare delle miniere in Mongolia.
La sequenza di potenti immagini svela nella sua assurda concretezza come lo sfruttamento intensivo dei giacimenti ad opera di imprese cinesi, russe, canadesi stia divorando non solo il paesaggio, ma anche l’antico patrimonio culturale nomade, fatto di capanne tradizionali, tipiche usanze e produzione d’eccellenza di cashmere. Il ricordo della tradizione è ormai solo un lontano canto gutturale mongolo Xöömej che fa da surreale contrappunto alla visione apocalittica dello sbriciolamento in aria delle rocce causato da una deflagrazione.
La Mongolia è ormai destinata ad una progressiva decadenza: la terra trema inerte al fragore di ogni nuova esplosione che – incurante delle proteste degli sciamani che pregano contro la Booming economy in nome di Tenger, il Cielo onnipotente -, continua con forza diabolica a sventrare le montagne.
La metafora infernale d’altronde permea tutto il film: il titolo stesso “Beixi Moshuo – Behemoth” (Mostro gigante), essendo il riferimento a un’entità mitologica identificabile con il diavolo, ne è sintesi simbolica.
Questa bestia invisibile, in continuità con il repertorio iconografico medievale in cui spesso è rappresentata con una “bocca divorante” dalla natura insaziabile, simboleggia col suo fagocitare le montagne l’ingordigia dell’uomo che nel suo incedere sregolato verso un’industrializzazione senza criteri ha creato un progresso devastante sia dal punto di vista ambientale che sociale. Concretizzandosi nell’insano “inferno in terra” delle miniere, Behemoth continuerà inesorabilmente, nel fragore di trivelle, gru, pale meccaniche e camion, ad inghiottire in alienanti ingranaggi chapliniani l’uomo suo generatore.
“Attraverso lo sguardo contemplativo del film, analizzo le condizioni di vita dei lavoratori e l’insensato sviluppo urbano. È la mia meditazione critica sulla civiltà moderna, in cui si accumula ricchezza mentre l’uomo perisce. […] Il comportamento umano si contraddistingue per follia e assurdità. Non siamo mai riusciti a liberarci dall’avidità e dall’arroganza, così il viaggio a spirale della civiltà si viene a riempire di deviazioni e regressioni”, afferma il regista.
Assurdamente, i pastori che, privati dei terreni su cui allevare i propri capi di bestiame in favore dell’avanzare di nuove miniere, fuggono per salvarsi, portano con sé durante il viaggio i simboli –non essenziali alla vita- del progresso: un uomo trascina una moto, mentre un altro a stento riesce a trasportare una televisione!
Malinconicamente, la voce narrante che descrive i fotogrammi ricorda: “una volta cantavamo nel sole e nella dolce, gaia, aria. Ma adesso, io mi affliggo per l a terra mandata in frantumi”. E come la montagna viene distrutta, l’immagine ritratta è vista verosimilmente attraverso un vetro rotto. Questa disintegrazione dello schermo è un effetto sorprendente: in realtà si tratta infatti di uno specchio portato sulla schiena dalla voce-guida che nel suo percorso ritrae nel riflesso il dramma.
Lo specchio frantumato diventa una metafora della pluralizzazione, dell’estensione della portata del messaggio non solo al territorio specificamente ritratto dalle immagini, ma universalmente a tutti i paesi industrializzati; il termine Behemoth stesso è d’altronde un probabile pluralis excellentiae, tecnica usata nell’ebraismo per amplificare la potenza di un elemento rendendo il nome al plurale.
I frammenti riflettono un’immagine tanto evocativa nella sua distopica liricità da lasciare senza fiato: viene ritratto di spalle un nudo adagiato su un prato tanto verde da sembrare psichedelicamente irreale, rivolto verso il mondo industriale della miniera sullo sfondo, che inghiottirà con i suoi infernali rumori, le sue nubi di polvere tossica e i suoi colori tetri il bucolico paesaggio in cui vivono i pastori.
Passibile di diverse interpretazioni l’ambigua figura, ripiegata su se stessa in un raccoglimento che ricorda una posizione fetale.
Uomo o donna? Umano o diabolico?
“Benché i monti gli offrano i loro prodotti e tutte le bestie domestiche vi si trastullino, egli si sdraia sotto i loti, nel folto del canneto e della palude”. Come nell’immagine evocata biblicamente da Giobbe, nella figura distesa sul prato, fra distese di lapidi o fra capanne, forse in realtà si cela il mostro, allegoria del progresso di cui l’uomo è al “tempo stesso vittima e carnefice”, perché “sembra di essere posseduti da una forza mostruosa e invincibile, invece siamo noi a creare questa bestia invisibile. È la nostra volontà.”
E’ quindi inevitabile che dove ci sia l’uomo ci sia il mostro; Behemoth è nel male polmonare che divora l’uomo, è nelle ungulate macchine infernali che scavano le rocce, è nelle file di camion che senza soluzione di continuità salgono e scendono senza tregua lungo la spirale dei tornanti che collegano la fonderia e la zona di estrazione, in cui gli addetti lavorano incessantemente e meccanicamente secondo i serrati ritmi di riempimento e svuotamento degli autocarri.
“Gli uomini, le donne, l’ambiente, la natura sono rappresentati come sacrificio in nome di un progresso che, con un colpo di scena finale, si rivela inesistente”. L’illusione di trovare il paradiso, l’aspettativa di vivere quindi un “uscimmo a riveder le stelle” della contemporaneità dopo l’inferno di una vita di duro lavoro sempre svegli in una miniera attiva anche di notte e dopo il purgatorio inflitto dalla fatica e dalla sofferenza delle inevitabili malattie associate al lavoro si disintegra infatti nel momento in cui si svela che l’obiettivo è innalzare senza una razionale pianificazione futuristiche “città fantasma”, investimento dei proprietari delle miniere di carbone nel settore immobiliare.
Paradossalmente, mentre l’inquinamento acustico ed ambientale e la presenza di tante persone in movimento caratterizzano la miniera, queste spettrali distese di asfalto e cemento sono dominate dall’immobilità e dal silenzio e registrano una bassissima densità abitativa.
Ordos è una di tali cristallizzate megalopoli simbolo della contraddizione del capitalismo estrattivo: essa non solo non è la metropoli da un milione di persone per il quale sono stati costruiti grattacieli altissimi, servizi pubblici, monumenti di Gengis Khan conquistatore della zona in passato, ma non è nemmeno una città perché è completamente disabitata.
Ossimoricamente poi, la città in cui viene girato il film significa “Paradiso”.
D’altronde vari aspetti del documentario sono, come affermato dal regista, di derivazione dantesca: “nella Divina Commedia, Dante attraversa in sogno l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. In Behemoth ho descritto un’enorme catena industriale, in cui i colori rosso, grigio e blu rappresentano rispettivamente i tre regni danteschi”.
Il rosso infatti è un riferimento non solo al sangue ma anche alla lava dell’inferno, e all’incandescenza delle viscere del sottosuolo delle steppe mongole in cui l’uomo è costretto a lavorare in condizioni insopportabili dalla mostruosa energia maligna; il grigio è il purgatorio di macchie, lividi, bombole e calli su mani segnate dal lavoro dei “musi neri”, che nascosti dietro alle loro inutili mascherine sono ridotti a fantasmi nei gironi infernali delle miniere.
I minatori sono tutt’uno col nero delle particelle di carbone che ne cancella l’identità. Essi non hanno né nome né voce, e i volti sporchi e muti sono svelati in primissimo piano solo dopo un’inquadratura posteriore. “La gente passa tutta la notte a spalmarsi trucco scuro… il risultato non dipende dal loro umore ma da come tira il vento”. Per quanto gli operai possano procedere a una pulizia, essa non potrà essere che superficiale.
E in ogni caso la polvere continuerà ad essere inalata e a annidarsi nei polmoni, con l’effetto di esporli a gravi rischi di salute come la pneumoconiosi, che costringendoli a letto attaccati a una macchina li conduce all’annichilimento. Le miniere inoltre mietono vittime non solo fra i minatori, ma anche fra coloro che usufruiscono di falde inquinate da sostanze utilizzate per l’estrazione.
“In mezzo alla foresta di lapidi, forse ci sono persone che conosco, o che non ho mai visto, che stanno soffrendo o sono già libere, in questa passiva moltitudine ci sono anime tristi! Non c’è posto per loro, all’inferno!” , afferma nella prima sequenza una voce fuori campo, il Virgilio, che esordisce con un “amid, in the middle” come l’incipit della Divina Commedia dantesca.
Il viaggio, altro topos ripreso da Dante, è profeticamente l’unica prospettiva per i pastori per sfuggire all’effetto dell’impatto ambientale delle attività estrattive.
Ma mentre in Dante il viaggio è percorso di purificazione e speranza, compiuto dal poeta universalizzando la propria impresa per tutti gli uomini, che espiano i propri peccati ripercorrendone idealmente il viaggio, “nel viaggio dantesco simulato nel film non c’è salvezza, ma insegnamento morale, un monito per gli spettatori di ogni latitudine del globo”.
Sensibilizzazione degli spettatori che è un mezzo per diffondere i valori del rispetto ambientale: “il cinema è un veicolo eccezionale di stili di vita e di sensibilità e da diversi anni ormai le tematiche ambientali sono entrate a farne parte; il nostro scopo è valorizzare quelle opere e quegli artisti che lo hanno fatto in maniera più evidente ed efficace”, afferma Marco Gisotti, direttore del concorso.
L’ottica è quella di produrre film sempre più attenti all’ambiente, orientando le scelte secondo una crescente tensione alla sostenibilità cinematografica: “credo che tutti dovremmo fermarci a riflettere dopo la visione di questo film, che non parla solo della Cina ma di tutti noi. Di come il lavoro e la produzione industriale non siano il fine ma il mezzo. Probabilmente ‘Behemoth’ è il film più politico di tutta la Mostra di quest’anno”.
Inoltre, in occasioni come il Green Day Venice, giornata della sostenibilità nell’industria cinematografica, si discute la possibilità della la creazione di un codice mondiale di produzione di film ecosostenibili per identificare film green sia per i temi trattati che per le modalità di produzione degli stessi (secondo criteri orientati a: minimizzazione dell’impatto ambientale, dell’uso di risorse, dei consumi energetici, delle emissioni e delle distanze, rispetto per la natura, efficacia della gestione dei rifiuti, riutilizzo anziché acquisto di materiale di scena….).
È una direzione che diventerà obbligatoria, perché “sono pochissimi i film che oggi possono sfoggiare certificazioni di produzione ‘green’, ma l’attenzione verso stili di vita più sostenibili è sempre più importante. In futuro un film che voglia raccontare una storia a sfondo ecologico dovrà essere coerente fino in fondo e dimostrare, attraverso adeguate certificazioni, non solo di non aver inquinato, consumato energia, sprecato cibo, ecc., ma anche di aver fatto qualcosa per migliorare l’ambiente”.
Per chi vuole vedere un estratto del film, un link al primo estratto di Behemoth.
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Si è basata su questa definizione, prevista dal Conto Energia, la decisione del Tar Lazio, che con la sentenza 12132/2015, ha spiegato come calcolare gli incentivi in base alle caratteristiche degli impianti fotovoltaici.
Nel caso preso in esame, un soggetto aveva sovrapposto dei pannelli fotovoltaici ad altri pannelli isolanti che a suo avviso non erano da soli sufficienti a svolgere la funzione di copertura dell’immobile perché non impermeabili. L’impermeabilità sarebbe stata invece garantita dai moduli fotovoltaici e dalle loro giunture.
Sulla base di queste considerazioni sosteneva che il suo impianto fotovoltaico fosse architettonicamente integrato dal momento che, in linea con quanto previsto dal Gestore dei servizi..
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06/11/2015 – Nell’ambito del programma Materials Meet Business, Material ConneXion Italia partecipa all’evento Creative Surfaces, un incontro sull’innovazione sostenibile, tecnologica ed espressiva delle superfici per design, architettura e interiors, riservato agli operatori del settore.
L’incontro è gratuito e mira a informare e aggiornare utilizzatori finali attraverso un dialogo diretto con i possibili fornitori e a comprendere appieno le potenzialità applicative di un materiale o una tecnologia.
Appuntamento il 12/11/2015 dalle 9.30 alle 13.00 presso la sede milanese di Material ConneXion Italia, in viale Sarca 336 – Ed.16.
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La libreria Infinity di Flexform compie 10 anni06/11/2015 – La libreria INFINITY, rappresentazione della semplicità nelle sue molteplici forme, compie 10 anni di successi.
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L’edificio ottocentesco nel cuore di Epernay06/11/2015 – Epernay è una piccola cittadina francese nota in tutto il mondo per la produzione di vino Champagne, sotto le cui strade scorrono 110 km di cantine scavate nel gesso. Motore economico…
La collezione firmata Doriana and Massimiliano Fuksas
06/11/2015 – La collezione Chantal di Slamp, firmata Doriana and Massimiliano Fuksas, ha ricevuto la menzione speciale nella categoria “Lighting” del prestigioso German Design Award 2016.
La forma imponente di Chantal sembra modellarsi da un unico volume, con una trama laboriosa a tratti impalpabile, come quella del nido d’ape, attraverso cui è permesso addentrarsi tramite forme esagonali concentriche per avere una prospettiva sempre nuova da ogni punto di osservazione.
La luce dei LED della lampada a sospensione Chantal ricorda il rincorrersi delle onde e la trasparenza del momento in cui si assottigliano, si dematerializzano rinviando interminabili gocce… Leggi l’articolo
Tesi e Ceramix: design lineare, facilità d’installazione
06/11/2015 – I veri miti non cambiano: evolvono. Proprio come Tesie Ceramix, vere icone del bagno italiano e della storia di Ideal Standard. Oggi Tesi e Ceramix rinascono con un carattere fresco ed energico, pronti a conquistare tutti con il loro stile contemporaneo e soluzioni intelligenti per il bagno.
Tesiè una serie dallo stile giovane e contemporaneo. La collezione si compone di sanitari, lavabi e mobili dal design essenziale e pulito che si adatta perfettamente a qualsiasi ambiente bagno. Mobili sottolavabo e colonne sono proposti in 4 finiture. I cassetti e le ante sono dotati di chiusure ammortizzate.
Design Funzionale. Nessuna cavità o nicchia visibile sui… Leggi l’articolo
Eleganza e charm per l’ambiente bagno
06/11/2015 – Glass Design è stata protagonista dell’ultima edizione del Cersaie a Bologna, presentando molte innovazioni nel settore dei lavabo e arredo bagno, in particolare ha presentato sei novità, che riassumiamo di seguito.
Oggetti di design con forme decisamente innovative che fondono ricerca estetica e funzionalità, trasformando oggetti di uso quotidiano in importanti e raffinati elementi d’arredo. L’utilizzo di materiali tecnologicamente avanzati contribuisce a dare vita ad un nuovo stile di produzione. Ogni prodotto viene così creato con il materiale più adeguato per esprimere nuove sensazioni, colori, emozioni.
ICE… Leggi l’articolo
E poi capita che in un giorno d’estate, in vacanza in Svezia viaggiando da Stoccolma a Goteborg, alzi lo sguardo e vedi qualcosa di inaspettato ai bordi del lago Vättern.
Dopo immense foreste verdi e vastissimi campi coltivati, proprio quando inizi a riconsiderare quella che fino ad allora hai sempre creduto potesse essere la definizione di “deserto”, ecco che in questa landa desolata compare una costruzione che ha quasi dell’incredibile: la Uppgränna Nature House, casa auto-sostenibile che produce cibo e nessun rifiuto.
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Inizialmente si potrebbe non far caso all’eccezionalità dell’opera. Ma di fatto non è così. Gli svedesi sono maestri di design e di tutto ciò che è ecosostenibile ed ecocompatibile ed hanno quindi realizzato qualcosa di eccezionale.
L’Uppgränna Nature House è un vero e proprio “edificio serra”: un vecchio fienile è stato cioè trasformato in una serra a basso impatto ambientale all’interno della quale persone e piante vivono insieme in armonia e vengono prodotti alimenti in modo sostenibile con un sistema di riciclo dell’acqua a circuito chiuso.
L’opera è dello studio TailorMade Arkitekter che ha progettato la struttura in collaborazione con Living Serra, un gruppo di consulenza che lavora sullo sviluppo di progetti Naturhus eco-compatibili.
L’Uppgränna Nature House unisce il design contemporaneo con l’architettura tradizionale svedese. L’edificio mantiene infatti la classica forma a due spioventi, ma la sua particolarità sta nel fatto che la parte inferiore della struttura con il suo colore rosso, rievoca il fienile e le case svedesi, mentre l’intera parte superiore è realizzata con vetrate isolanti che richiamano un’estetica decisamente più moderna. La serra che si viene così a creare al livello superiore occupa quasi la metà della pianta dell’edificio ed ospita aiuole contenti frutta, fiori e ortaggi, il tutto all’interno di un clima decisamente mediterraneo. Al suo interno trovano posto anche un piccolo laghetto con una cascata e una grande varietà di agrumi. Il livello inferiore ospita aree ristoro dove la cucina propone piatti vegetariani a base di prodotti coltivati in serra, sale riunioni, spa e camere da letto.
L’obiettivo è quello di realizzare una casa auto-sostenibile che produce cibo, invece di rifiuti. Inoltre, vivere in una serra dovrebbe incoraggiare uno stile di vita sostenibile e non tossico.
L’Uppgränna Nature House non è collegata a un sistema fognario e riutilizza le acque reflue come irrigazione in un sistema a circuito chiuso. Costruito principalmente in legno, l’edificio è ben isolato e riesce a mantenere un basso impatto energetico grazie alla ventilazione solare e naturale passiva.
05/11/2015 – Con l’arrivo delle piogge autunnali aumentano i problemi di infiltrazioni che, se non adeguatamente risolti, causano danni permanenti alle strutture. Generalmente le infiltrazioni sono dovute a problemi nello strato impermeabilizzante di copertura; per questo occorre scegliere l’impermeabilizzazione migliore, sia nel caso in cui si agisca su strutture esistenti sia nel caso di nuove costruzioni.
Come scegliere il miglior impermeabilizzante
L’impermeabilizzante serve a impedire il passaggio dell’acqua negli strati sottostanti e generalmente va posizionato dopo l’isolante termico (che si trova dopo il massetto pendente e l’eventuale barriera antivapore) e prima del rivestimento superiore.
Le sollecitazioni dinamiche e fisiche cui sono sottoposte le strutture da impermeabilizzare (come coperture, terrazzi, balconi ecc) implicano che lo strato impermeabilizzante possegga elevate caratteristiche prestazionali,..
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05/11/2015 – Con l’arrivo delle piogge autunnali aumentano i problemi di infiltrazioni che, se non adeguatamente risolti, causano danni permanenti alle strutture. Generalmente le infiltrazioni sono dovute a problemi nello strato impermeabilizzante di copertura; per questo occorre scegliere l’impermeabilizzazione migliore, sia nel caso in cui si agisca su strutture esistenti sia nel caso di nuove costruzioni.
Come scegliere il miglior impermeabilizzante
L’impermeabilizzante serve a impedire il passaggio dell’acqua negli strati sottostanti e generalmente va posizionato dopo l’isolante termico (che si trova dopo il massetto pendente e l’eventuale barriera antivapore) e prima del rivestimento superiore.
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