AAA svendesi abitazione pneumatica griffata NASA

Con un budget per ricerca e sviluppo multimilionario (per la precisione, 18,5 miliardi nel 2015), la NASA è probabilmente il più grande generatore di tecnologia al mondo. La crisi mondiale arriva però fino ai più potenti ed ora l’Ente aerospaziale americano deve “fare cassa”.  Come in ogni sistema, anche i brevetti sono soggetti alle leggi della selezione darwiniana: ci sono i brevetti di serie A, quelli che fanno gola alle grosse multinazionali, assicurando alla NASA il finanziamento dei progetti di lunga portata, ed una miriade di brevetti di serie B, potenzialmente interessanti per la società civile ma rimasti orfani di capitali che ne consentano il loro ingresso nel mercato. Con lo scopo di non lasciare che il know how acquisito diventi lettera morta, la NASA ha dunque varato un’iniziativa di trasferimento tecnologico nel più puro stile marketinaro americano, con lo slogan:Technology Transfer Program. Bringing NASA technology down to Earth” (Programma di trasferimento tecnologico. Riportando alla Terra la tecnologia della NASA).

In copertina: The American Dream… la casa a forma di ciambella!

BREVETTI ITALIANI: I VETRI IDROREPELLENTI ISPIRATI AI FIORI DI LOTO

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Tecnologie e brevetti NASA

Le regole del gioco delle “svendite tecnologiche” sono semplici: tutto l’anno è stagione dei saldi e non c’è necessità di fare la fila. Basta andare nel sito della NASA, dove le aziende interessate possono passare in rivista le diverse tecnologie, coperte da brevetto, che l’ente aerospaziale offre in licenza gratuita per i tre primi anni.

Le condizioni per beneficiare di tale agevolazione sono le seguenti:

  1. essere una startup costituita appositamente per commercializzare la tecnologia di cui si richiede la licenza;
  2. la NASA rinuncia ad ogni diritto iniziale e non richiede una royalty minima durante i primi tre anni;
  3. la proprietà dei brevetti, e dunque anche le spese di mantenimento brevettuale e di difesa in caso di violazione dei diritti da parte di terzi, rimangono a carico del Governo statunitense;
  4. le licenze non sono esclusive, quindi più aziende possono acquisire la stessa tecnologia, a meno che il primo richiedente non negozi l’esclusività in cambio di una royalty addizionale;
  5. il personale ed i laboratori della NASA sono a disposizione delle startup per ulteriori perfezionamenti;
  6. con la prima vendita, la NASA inizia ad incassare una royalty, che viene utilizzata per il mantenimento della struttura;
  7. le aziende beneficiarie sono soggette a delle limitazioni delle politiche federali (leggasi: la tecnologia non può essere venduta alle potenze anti-americane e loro alleate) e all’obbligo di presentare dei rapporti periodici sui progressi fatti dalla startup beneficiaria per l’ingresso nell mercato della tecnologia acquisita.

Una volta scelto il brevetto d’interesse, a questa pagina è possibile scaricare i moduli di domanda.

L’abitazione pneumatica

Abbiamo trovato per i nostri lettori un’intrigante tecnologia di abitazione pneumatica chiamata Concentric Nested Toroidal Inflatable Habitat (Habitat Pneumatico a Toroidi Concentrici). L’invenzione è coperta dal brevetto USA No. 8.070.105.caption: sezione della casa-ciambella

Sorge spontaneo domandarsi: come mai una tale banalità ha ottenuto un brevetto? Le strutture pneumatiche sono note da almeno mezzo secolo. Le forme basilari realizzabili con un sistema sottoposto a pressione sono una diretta conseguenza del principio di Pascal: sfera, cono, e toroide. Ogni altra forma sarà sempre una combinazione delle suddette, o nel migliore dei casi una combinazione di calotte sferiche o cilindriche, come nel caso dei paraglider.

Quindi il fatto di unire più toroidi concentricamente non ha niente di innovativo. Inoltre risulta abbastanza dubbiosa l’affermazione della NASA che una struttura del genere possa essere utilizzabile nella Terra come abitazione in zone remote o inospitali, semmai andrebbe bene per girare un film di fantascienza in uno studio. Come andrebbero regolate la temperatura e la ventilazione, se non a scapito di un consumo energetico sproporzionato? Come farebbero a scorrere l’acqua piovana, o la sabbia o la neve, che si accumulerebbero nelle giunzioni fra i tori concentrici? Come fornire la pressione sufficiente per controbilanciare tale carico? Come evitare la lacerazione delle membrane, causata dalle tensioni concentrate agli ancoraggi in caso di forte vento?

Mai come in questo caso è risultato vero il vecchio proverbio “Non è oro tutto ciò che luccica”. Nell’opinione dell’Autore, almeno per quanto riguarda i brevetti che lo stesso è in grado di valutare, come quello oggetto del presente articolo e altri simili esposti nel sito in questione, l’“agevolazione” della NASA per le startup non è tale. Anzi, sembra piuttosto un pericoloso miraggio che porterebbe i giovani imprenditori nel vicolo cieco dello sviluppo di prodotti fine a sé stessi, carenti di mercato. Non a caso si tratta di una svendita di brevetti di “seconda scelta” e si sa che la qualità del low cost non è sempre la migliore.

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Accessibilità universale delle costruzioni: progettare per le disabilità

L’architettura deve necessariamente tenere in considerazione le esigenze di utenti che non possiedono, o possiedono solo in parte, le abilità necessarie alla fruizione completa e sicura dell’organismo edilizio. Analizziamo quindi i riferimenti normativi per l’accessibilità delle costruzioni, e dei progetti che dimostrano che è possibile garantire la fruibilità delle opere ai disabili senza rinunciare al valore architettonico dell’opera. 

In copertina: rampe a Venezia.

PASSERELLE IN LEGNO PER LA FRUIBILITÀ DELLA COSTA

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Riferimenti legislativi per l’accessibilità delle costruzioni

La legislazione italiana regola l’accessibilità delle costruzioni mediante il D.M.236/89 che stabilisce in modo preciso alcuni parametri. Il decreto infatti distingue le costruzioni in tre categorie di fruibilità:

  1. Accessibilità. Con “accessibilità” si intende la possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
  2. Visitabilità. Con questa seconda categoria, la visitabilità, il legislatore intende la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. In altre parole, la persona può accedere in maniera limitata alla struttura, ma comunque le consente ogni tipo di relazione fondamentale.
  3. Adattabilità. Per adattabilità si intende la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito, intervenendo senza costi eccessivi, per rendere completamente e agevolmente fruibile lo stabile o una parte di esso anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale.

Esempi di buona progettazione

caption: Il “Padiglione Infanzia” progettato da Esaù Costa Perez, Milano.

Per le nuove costruzioni, oltre a queste caratteristiche normate per legge, si parla oggi sempre più di accessibilità universale. Per accessibilità universale si intende l’accessibilità di un edificio da parte di tutte gli utenti indistintamente, senza relegare la funzione di “superamento della barriera architettonica” a espedienti costruttivi o impiantistici che tendono ad “ospedalizzare” l’edificio, discriminando le diverse tipologie di utenti.

Facile da capire è che una rampa ben progettata è fruibile sia da persona con normale mobilità che da persona disabile mentre una scala corredata di montascale laterale risulta scomoda per il disabile, costosa in termini impiantistici e non soddisfacente dal punto di vista estetico.

caption: passerelle pedonali nei Mercati Traianei dello studio Nemesi, Roma.

Alcuni esempi di buona progettazione in tal senso possono essere riscontrati nel “Padiglione Infanzia”, progettato a Milano dallo studio spagnolo Esaù Costa Perez (2014) o nel sagrato della chiesa della Parrocchia della Madonna di Fatima a Torino dell’architetto Andrea Bella.

Per quanto riguarda i luoghi storici e di interesse monumentale esistono validi esempi di progettazione come le passerelle pedonali progettate ai Mercati Traianei a Roma tra il 1999 e il 2001 dallo studio Nemesi o l’organizzazione dei percorsi museali presso il duomo di Aquileia.

Non una sola disabilità

La buona progettazione e la corretta messa in opera deve inoltre tenere in considerazione tutte le disabilità, o almeno il maggior numero possibile. Comunemente infatti siamo abituati a pensare solo alla disabilità motoria di chi non può percorrere le scale e ai relativi presidi che risolvono il problema.

Le disabilità però sono molte e diverse: per esempio la disabilità uditiva o visiva, non necessariamente si parla di cecità completa, può rendere difficoltosa la fruizione di luoghi pubblici invece agevoli per il disabile motorio. Si pensi per esempio a luoghi con scarsa illuminazione, con percorsi poco segnalati o con sporgenze o dislivelli non evidenti dal punto di vista visivo.

Anche nei musei o in particolari esposizioni spesso si ricreano, per creare effetti suggestivi, locali bui o con proiezioni video o specchi talvolta disorientanti già per un utenza visivamente normodotata.

caption: Padiglione Italia a Expo 2015, Milano.

caption: ponte su un canale di Venezia.

Una progettazione che tenga conto di tutto ciò è quindi da auspicare per ogni nuova costruzione, specialmente pubblica o di fruizione collettiva. 

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Come realizzare un biolago: una piscina fitodepurata e balneabile

Esistono piscine che non hanno bisogno di cloro per depurarsi, ma di piante. Il cui fondale non è di un finto azzurro splendente e in cui, appoggiandosi ai bordi, non si incorre nel duro e freddo cemento. Sono le piscine bio, quelle fitodepurate, in grado di mantenere pulita l’acqua senza l’utilizzo di sostanze chimiche. Accade grazie al filtraggio biologico affidato a delle specifiche piante acquatiche (macrofite) che riescono a rimuovere la materia organica presente nell’acqua e sfruttarla per la propria crescita. Nell’articolo capiremo quali sono gli elementi che servono per realizzare un biolago e come costruirne uno.

COMPONENTI E FUNZIONAMENTO DI UNA PISCINA BIO

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Come quella inaugurata nell’estate del 2015 a Londra, nei pressi della stazione di Kings Cross, le piscine fitodepurate, chiamate anche biolaghi, possono essere utilizzate tutto l’anno e non sono soggette alle operazioni di manutenzioni tipiche delle piscine tradizionali (svuotamento o copertura nella stagione invernale) ma, accoppiata all’azione filtrante delle acque, richiedono una pulizia manuale per evitare l’eccessiva formazione di alghe.

ELEMENTI NECESSARI PER REALIZZARE UNA PISCINA FITODEPURATA

Per sapere come realizzare un biolago, o piscina fitodepurata, ci siamo affidati agli esperti di Rifare Casa, che ci hanno indicato i passi fondamentali da seguire e gli elementi che non possono mancare quando si sceglie di optare per un elemento più naturale anziché una piscina tradizionale.

Individuazione del luogo  e scavo

È importante scegliere accuratamente il luogo dove iniziare lo scavo. Questo deve essere quanto più possibile (almeno 8 metri) lontano da alberi e corpi fissi ombreggianti in modo da evitare sia che le foglie cadute si depositino sulla superficie del biolago, sia perché l’ombra rallenta e talvolta impedisce la crescita delle piante acquatiche a cui è affidato l’importante compito di depurare le acque del biolago.

Una volta individuato il luogo in cui realizzare la piscina fitodepurata, si può procedere con lo scavo. Non esistono forme da preferire ma suggeriamo che la biopiscina abbia una forma organica, morbida: una forma squadrata e spigolosa si adatta meno bene ad essere integrata nell’ambiente e non appare naturale. In ogni caso si consiglia che lo scavo abbia una profondità compresa tra uno e due metri e si estenda idealmente su una superficie di 100 mq.

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Le aree del biolago

Le piscine fitodepurate sono divise sempre in due sezioni: una dedicata alla balneazione entrambe coperte da un telo impermeabile che può essere nascosto sotto ghiaia o ciottoli.

  • L’area dedicata alla balneazione:  Qui le piante acquatiche non sono presenti affatto. In questa zona si completa l’ossigenazione dell’acqua.
  • L’area dedicata alle piante fitodepuranti:  l’area della fitodepurazione deve estendersi per una superficie pari a circa il 30% di quella della piscina e deve essere collocata preferibile più in alto dell’area per la balneazione. In questo modo l’acqua, scorrendo dalla zona della fitodepurazione verso la piscina, genera delle piccole cascate, che favoriscono l’ossigenazione dell’acqua.

È importante che, al confine con la zona balneabile, siano presenti anche delle aree spondali periferiche meno profonde che contribuiscano alla rigenerazione dell’acqua.

Completa l’impianto anche una pompa di ricircolo, indispensabile per il ricircolo dell’acqua all’interno di un circuito chiuso, eventuali sistemi per raccogliere le foglie in superficie ed altri accessori a seconda della preferenza dell’utilizzatore.

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Costruzioni in scala reale con mattoncini Lego

I processi costruttivi dell’architettura contemporanea, evolvendosi, per ragioni di sostenibilità, tendono sempre più a industrializzare tecniche e procedure compositive per preservare al meglio l’ambiente e le risorse che in esso possiamo trovare. Il concetto di modulo, spesso esasperato, viene utilizzato per generare proporzioni equilibrate di edifici o di insiemi di edifici. Se ripensiamo all’architettura classica, ci riferiamo ad un solo ed unico modulo, il diametro della colonna. Oggi questo concetto, ampiamente rielaborato e modificato per necessità ed estro, può prendere varie forme e legarsi alle dimensioni di un mattone, di una balletta di paglia, di un container, di un tubo di cartone…

UN’ABITAZIONE CONCEPITA COME UNA COSTRUZIONE DI LEGO

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Un ragionamento un po’ più fanciullesco è stato fatto da alcune aziende che si sono messe a produrre mattoni di plastica che come i lego, uniti tramite incastri, possono formare strutture per interni ed esterni.

Questo strumento è come un giocattolo; proposti in forme e colori diversi, per meglio adattarsi alle esigenze, alle idee e alle abilità degli acquirenti, questi blocchi in polipropilene autoestinguente possono essere utilizzati con estrema facilità per costruire mobili, pareti, scaffali, banconi, intere stanze o strutture perfettamente funzionanti. I mattoncini infatti possono essere assemblati come tutti gli altri componenti modulari, ma in scala più ampia. L’unico limite di questi componenti sta nella dimensione dell’oggetto finale. La costruzione a questa scala non discrimina la semplicità compositiva, che rimane invariata; rimane da dire però, che il crollo di una parete di una decina di centimetri di altezza non è minimamente da paragonare a ciò che potrebbe provocare la caduta di una parete di tre metri.

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La costruzione con questi blocchi non è particolarmente impegnativa o di difficile esecuzione; giustamente però, le domande di molti utenti riguardano la stabilità e alcuni problemi a essa connessi. Costruire una struttura con muri portanti significa seguire lo stesso iter per la costruzione di una classica muratura armata in laterizio, usando i cavedi preposti all’interno dei blocchi in plastica come alloggio di barre in acciaio che hanno il compito di legare al meglio il piede del muro con la sommità e aumentarne la stabilità strutturale. Come ultima prescrizione, vale la classica regola delle costruzioni con mattoni o simili; il corretto assemblaggio avviene coprendo la giunzione tra le teste dei blocchi della fila sottostante con un mattoncino.

Il cavedio del mattone in plastica, può essere utilizzato, in caso di assemblaggio di elementi di arredamento o partizioni interne, per l’inserimento di piccoli impianti, di modo da non dover più ricorrere alle tracciature.

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Globalmente, l’idea di riproporre un elemento che fa parte della nostra infanzia, ma ad una scala più ampia, è decisamente da perorare. Questi blocchetti prefabbricati un giorno potrebbero aiutare a costruire moduli (pensiamo ai rifugi di emergenza) con una velocità ed una semplicità strabilianti riuscendo magari a coinvolgere più persone in quello che potrebbe diventare il gioco delle costruzioni modulari.

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Super Skyscrapers: nuova vita ai vecchi container

Affrontare la carenza di alloggi in regioni sovrappopolate, è stato questo il tema del recente concorso denominato SuperSkyScrapers svoltosi nella città di Mumbai, in India, che ha visto impiegati diversi studi d’architettura nell’elaborazione di un progetto che potesse rispondere a questa imminente necessità combinandola, contemporaneamente, con l’obiettivo di dare un contributo all’ambiente e garantire uno sviluppo sostenibile.

PERCHÉ COSTRUIRE EDIFICI CON I CONTAINER

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I VINCITORI DEL CONCORSO

Ad aver vinto il concorso internazionale circa queste idee per l’edilizia abitativa negli slum indiani è stato il progetto per un grattacielo di 32 piani dello Studio Ganti+associates che si sono aggiudicati il primato presentando un ambizioso progetto curato in ogni dettaglio con l’idea di riutilizzare i container navali nel campo dell’architettura. Tale progetto è stato giudicato come risultato di una profonda comprensione globale di tutte le componenti che entrano in gioco nel disegno di un progetto: comprensione del sito, rispetto della comunità e della propria cultura e soprattutto la sua necessità di garantire migliori condizioni di vita.

Dichiarato una proposta che giustamente affronta i temi della sostenibilità, del consumo energetico, dell’illuminazione e della ventilazione naturale, il progetto è stato giudicato vincente in quanto soluzione semplice e convincente per forma, configurazione e funzione. Nasce dunque così, da un principio compositivo apparentemente casuale, un vero e proprio organismo architettonico capace di toccare i temi del riciclo e della sostenibilità, nonché di bellezza ed eleganza.

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IL PROGETTO DEL GRATTACIELO DI CONTAINER

Proprio come nel gioco del tetris queste piccole unità elementari arrivano a combinarsi in modi continuamente differenti dando vita a nuovi organismi riciclati e sostenibili, non rinunciando ad esprimere un alto valore estetico.

Il punto di forza di tale proposta progettuale non è che la facilità con cui le cellule abitative possono combinarsi ed autoportarsi: questi corpi elementari presentano la caratteristica di poter essere impilati senza alcun sostegno fino ad un numero di 16 volte se vuoti, e 10 nel caso in cui siano riempiti. Al fine di rendere la struttura utilizzabile in ambito residenziale, la scelta progettuale è stata quella di erigere teli portanti collegati con travi d’acciaio ogni 8 piani, senza dunque  dover necessariamente adoperare grandi sostegni aggiuntivi.

Questo nuovo grattacielo presenta una struttura capace di elevarsi per oltre 100 metri, mostrando una grande flessibilità planimetrica per stratificazione orizzontale, ottenuta dal continuo diverso accostamento di queste unità elementari che vengono tagliate, conformate e combinate secondo necessità.

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ORGANIZZAZIONE DELLA CELLULA ABITATIVA

Nonostante i numerosi spazi ridotti, nati dalla combinazione di questi tasselli colorati della misura di 12mx2,6mx2,4, il progetto garantisce abitazioni confortevoli per famiglie fino a quattro componenti. Entrando nello specifico nell’analisi di una tipologia abitativa, i primi ambienti che si incontrano nel container d’ingresso sono una sala da pranzo ed un soggiorno, seguiti dalla seconda unità elementare capace di ospitare una camera da letto per due bambini, un bagno ed un piccolo studio. Il terzo ed ultimo container, invece, è l’ambiente destinato alla camera matrimoniale, un bagno ed una cucina.

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CRITERI DI SOSTENIBILITÀ

Tutto viene studiato nel dettaglio, nessun aspetto progettuale viene tralasciato e grande importanza viene riservata ai metodi sostenibili per garantire il massimo rendimento di questa macchina abitativa. Sistemi per il raffrescamento passivo garantiscono la possibilità di arieggiare la struttura e favorire la ventilazione naturale attraverso una serie di pianerottoli che si configurano come passaggi riparati da schermi forati in laterizio.

Infine, l’inserimento nel lato ovest di una serie di pannelli solari, affiancati alla sapiente tecnologia delle turbine eoliche presenti nel lato opposto, riescono a coprire tutti i consumi di questo grande organismo architettonico.

Anche se i container non sono più i nuovi protagonisti del riutilizzo nel campo dell’architettura, grazie alla facilità di creare un vero e proprio processo compositivo, il loro utilizzo nelle costruzioni  è ancora ampiamente diffuso. L’effettiva flessibilità del modulo unita ad un sistema a secco sempre più gettonato sono gli elementi chiave che ne hanno permesso il forte sviluppo negli ultimi anni. Sebbene anch’essi risentano particolarmente del processo mediatico, che li ha portati in breve tempo al successo e in altrettanto breve tempo ad essere quasi dimenticati, i diversi campi, in cui la loro applicazione è possibile, ha permesso a queste strutture di trovare spazio in quei contesti particolarmente difficili dal punto di vista delle risorse a disposizione.

In questo senso il progetto dello Studio Ganti+associates è riuscito a dare una risposta forte alle esigenze dell’abitare, non dimenticando mai l’importanza del contesto in cui si va ad operare e garantendo un risultato capace di dare risposta all’esigenza dell’abitare.

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Caminetti a bioetanolo: funzionamento, efficienza, normativa italiana

Ogni inverno si pensa a strategie da adottate nelle abitazioni per riscaldarle e mantenerle calde evitando grandi sforzi economici, oltre che cercando di contribuire alla riduzione di emissioni di CO2 e di polveri sottili in atmosfera. I caminetti a bioetanolo sono un’ottima soluzione da integrare al preesistente sistema di riscaldamento, per il basso impatto ambientale e il valore estetico che aggiunge agli ambienti domestici.

COME SCEGLIERE IL SISTEMA DI RISCALDAMENTO PIÙ ADATTO

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In Italia si stima che ogni anno siano circa 20.000 i casi di incendio legati a malfunzionamento di stufe e caminetti. A fronte di questi dati, prima dell’inizio della stagione invernale occorre manutenere o quantomeno revisionare il sistema di riscaldamento per evitare danni. Oggi il mercato offre soluzioni di diversa tipologia per chi pensa ad un nuovo impianto domestico: tra queste il cosiddetto caminetto ecologico.

Sul mercato ormai ve ne sono molte varietà che si differenziano tra loro soprattutto in termini di efficienza e impatto ambientale ma anche per altri particolari. 

Tra le opzioni più complete c’è la possibilità di installare camini o stufe connessi a canalizzazioni che permettono di diffondere il calore in tutti gli ambienti, senza disperdere i benefici della combustione. 

I caminetti a bioetanolo

Rispetto a tutti gli altri sistemi di riscaldamento di tipo “bio”, i caminetti a bioetanolo sono quelli che possono essere definiti “ecologici” poichè alimentati da una fonte che non aggiunge nell’aria prodotti nocivi derivanti dalla combustione del petrolio, carbone, gas, né polveri sottili derivanti dalla combustione delle biomasse solide quali legna, pellet, ecc.

Se la scelta dell’impianto riguarda, oltre che un’integrazione del sistema di riscaldamento anche un valore dal punto di vista estetico allora il caminetto ecologico a bio etanolo è l’ideale, visto che non ha la pretesa di risolvere il problema riscaldamento: non è infatti progettato per sostituirsi ad un impianto di riscaldamento completo, bensì è un’ottima integrazione a basso costo, che permette di riscaldare ambienti domestici specifici, senza l’incomodo di dover trasportare legna o avere una canna fumaria di dimensioni notevoli e sempre pulita per consentire il tiraggio, unendo così funzionalità e valore estetico .

I caminetti ecologici  sono sistemi a fiamma libera che richiedono una presa d’aria esterna per apportare il necessario ricambio di ossigeno all’interno degli ambienti. 

Il funzionamento dei camini a bioetanolo

Il bioetanolo è composto da alcool etilico denaturato ottenuto attraverso la fermentazione di biomasse dalla quale si ottengono sostanze zuccherine di origine vegetali (patate, mais, vinacce, barbabietola da zucchero etc…).

Il funzionamento del caminetto a bioetanolo segue ilprincipio della vecchia spiritiera (o fornello ad alcool): l’alcool è contenuto in un serbatoio mentre pietre porose, che funzionano come il tradizionale stoppino, sono imbevute di questa sostanza consentendo la combustione dei suoi vapori.

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Si tratta di una combustione che genera solo CO2 e vapore acqueo, perciò i caminetti ecologici non necessitano di canna fumaria.

Inoltre la resa calorifica è enorme visto che le tradizionali canne fumarie portano fuori oltre ai prodotti di combustione anche una notevole quantità del calore prodotto dalla combustione. In genere:

  • 1 Litro di bio etanolo produce una fiamma che dura dalle 3 alle 5 ore in base tipo di bruciatore;
  • 1 Litro di Bio combustibile produce circa 3-4 kW/h.

 Tipologie di camini a bioetanolo

In commercio sono disponibili molti modelli di caminetti a bioetanolo, ma il campo si restringere a tre tipologie fondamentali:

  • caminetti a bioetanolo da terra (a ridosso di una parete)

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  • caminetti a bioetanolo ad isola (posizionabili in qualsiasi punto del pavimento di un ambiente e, all’occorrenza, dotati di ruote per essere spostati);

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  • caminetti a bioetanolo sospesi (a ridosso di pareti o collocati in posizione sospesa come se fossero dei quadri);

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La sicurezza dei caminetti a bioetanolo

Come si è evidenziato, i caminetti ecologici necessitano di una presa di aria esterna, visto che la combustione è in grado di consumare a lungo andare l’ossigeno.

I caminetti ecologici, infatti, non sono particolarmente complicati da installare e l’installazione può essere fatta a cura dell’acquirente, poiché sono dotati di elementi singoli assemblabili in maniera semplice seguendo le istruzioni date dal fornitore, salvo che non ci sia necessità di effettuare particolari lavori di preinstallazione, come opere murarie.

La normativa italiana

Il CTI – Comitato Termotecnico Italiano ha messo a punto la norma UNI 11518 che regola i requisiti di sicurezza, le caratteristiche, i metodi di prova e le indicazioni tecniche e funzionali dei camini a bioetanolo in forma liquida o gel, utilizzati a scopo decorativo e con funzionamento intermittente.

Quando acquistate questi apparecchi, verificate che abbiano  l’etichettattura e la documentazione che ne attesti la conformità alla norma UNI 11518, la placca segnaletica delle caratteristiche dell’apparecchio (consumo orario, tipo di combustibile, nome e indirizzo del fabbricante), la placchetta di sicurezza che fornisce informazioni sul caricamento (posta vicino al serbatoio) e i relativi manuali di manutenzione, installazione ed uso.

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La domotica per una gestione intelligente dell’edificio. Tutti i vantaggi

Spesso, erroneamente, si crede che una progettazione architettonica attenta sia sufficiente a garantire una riduzione dei consumi energetici degli edifici. Si sottovalutano gli aspetti di gestione, talvolta responsabili di ingenti perdite di calore e di elevati consumi energetici.

L’utente, che utilizza l’edificio e lo gestisce (dal semplice gesto di apertura e chiusura delle finestre alla scelta dell’accensione del riscaldamento) è responsabile tanto quanto il progettista del successo (in termini energetici) del progetto.

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L’utente e la gestione dell’edificio: il caso del Quartiere Casanova

In tal senso è rilevante il caso del Quartiere Casanova di Bolzano, un progetto modello di 950 appartamenti, tutti certificati in classe A, con consumi che si discostavano così tanto da quelli di progetto da portare l’EURAC, Istituto per le energie rinnovabili di Bolzano, ad effettuare una verifica. È stato rilevato che gli appartamenti non presentavano alcune pecche dal punto di vista progettuale: erano stati realizzati secondo disegni e specifiche elaborati dagli architetti, ma le abitudini degli inquilini (l’errata regolazione dei termostati, l’arbitraria apertura di finestre e lo spreco d’acqua) erano tali da giustificare i consumi extra.

La domotica per una gestione intelligente dell’edificio

Gestendo l’edificio in modo più efficace se ne potrebbero controllare e ridurre i consumi, con un conseguente beneficio in termini economici ed ambientali. È per questo e non solo che nasce la domotica: la disciplina che studia e sviluppa le tecnologie in grado di migliorare i livelli di comfort nelle abitazioni, ridurre gli sprechi energetici e rendere le abitazioni più sicure. La domotica, in sintesi, ottimizza la fruizione del proprio habitat.

Altri vantaggi di un impianto domotico

  • Sicurezza – con la domotica è possibile registrare delle informazioni sull’edificio che ne aumentino il livello di sicurezza. Per esempio, impostando la chiusura automatica delle valvole che comandano la fuoriuscita dell’acqua e spegnendo le prese che controllano gli elettrodomestici si può bloccare un allagamento ed evitare che causi danni ingenti. Un impianto anti intrusione con sensori di movimento, di volume o infrarossi, allarmi telefonici e satellitari, può scongiurare il rischio di un furto in abitazione. Anche gli ingressi all’abitazione possono essere regolati come indicato a questa pagina dove trovare tutto sull’automazione cancelli. Anche delle fughe di gas possono essere bloccate, il sistema di ventilazione attivato, le finestre aperte, le prese comandate bloccate per evitare esplosioni; 
  • Accessibilità – la domotica può aiutare le persone disabili, gli anziani e chi ha una ridotta capacità motoria a compiere le azioni quotidiane con più semplicità. Basti pensare a sistemi a comando vocale per attivare apparecchi elettronici, accendere le luci, spegnere l’aria condizionata, o ad unità programmabili collegate a carrozzine o letti elettrici con cui controllare non solo la propria mobilità ma anche l’ambiente circostante, per una maggiore autonomia; 
  • Intrattenimento – attraverso telecomandi, pannelli touch screen, ma anche dal proprio cellulare, è possibile gestire una serie di servizi per l’intrattenimento come l’impianto audio della casa, l’home theater, l’accesso ad internet, la registrazione di programmi in tv.
  • Risparmio energetico – con la domotica e la gestione intelligente di apparecchiature per la climatizzazione, impianti ed elettrodomestici, è possibile risparmiare energia.

Domotica e risparmio energetico

Con la domotica è possibile per esempio attivare apparecchiature ed impianti solo in determinate circostanze o in precisati orari così da risparmiare energia e denaro. E’ il caso degli elettrodomestici, per cui è possibile stabilire l’accesione solo in alcune fasce orarie, o dell’impianto di riscaldamento, che può essere impostato in modo che si attivi solo per determinate temperature. Anche i sensori di presenza che attivano le luci della casa sono parte della domotica, come pure un sistema per cui, superato il tetto massimo di spesa mensile, le apparecchiature elettroniche si disattivano in un ordine stabilito. Sono solo alcuni esempi del risparmio energetico che si può ottenere sfruttando la domotica.

Tale risparmio energetico è misurabile con un sistema introdotto dalla norma CEN UNI EN15232 “Energy performance of buildings-Impact of Building Automation, Controls and Building Management” (Prestazione energetica degli edifici – Incidenza dell’automazione. La norma evidenza come i sistemi di controllo e automazione degli edifici, agendo principalmente su riscaldamento e raffrescamento, ventilazione, produzione di acqua calda e illuminazione, comportino una riduzione dei consumi energetici.

La norma propone due metodi di calcolo: calcolo dettagliato e quello più semplice e diffuso che è il “Metodo dei coefficienti di correzione” (BAC factors) basato su simulazioni e rilievi sperimentali, offre un accettabile grado di approssimazione.

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Architettura utopica: i progetti sostenibili di Vincent Callebaut

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La connessione tra architettura e utopia, nella cultura occidentale, è caratterizzata da fondamenta molto radicate.

L’utopia è prima di tutto il progetto di una società ideale; possiamo trovare riferimento a luoghi felici nel dialogo platonico della città ideale, ma solo con Thomas More, XVI secolo, venne introdotto il senso del termine com’è conosciuto oggi. Oggi l’opera visionaria di Vincent Callebaut unisce ricerca formale alla riflessione sui temi dell’ecologia.

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L’architettura utopica nel passato

Platone faceva riferimento a progetti che avrebbero dovuto tenere conto di tutti gli aspetti delle attività umane, compreso il rapporto con la natura, descrivendo un’architettura in armonia con quella greca del suo tempo.

More, invece, nei suoi trattati spiega di trovarsi in disaccordo con l’architettura moderna, che a suo giudizio simboleggiava unicamente le strutture di potere. Le sue idee per la realizzazione di una società utopica variano continuamente, trovandosi spesso a contestare/proporre l’ornamento in genere, e quello prodotto dalla presenza della natura.

Se spostiamo lo sguardo all’attività architettonica più recente, possiamo trovare alcuni riferimenti tra i progetti dei pionieri dell’architettura contemporanea. L’organico Wright progetta la sua Usonia per descrivere un particolare Nuovo Mondo libero da tutte le precedenti convenzioni architettoniche, Le Corbusier studia una città con tre milioni di abitanti, standardizzata fin nei minimi spazi, mentre Sant’Elia nel 1914, con La Città Nuova, riesce ad esaltare il concetto della verticalità con disegni di grattacieli che mettono in relazione tra loro servizi e funzioni.

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Questi tre studiosi, resisi conto delle enormi potenzialità di una progettazione consapevole propongono alcune idee per modificare lo sviluppo della società. Anche se molto distanti tra loro, per forme e concezioni, i loro progetti, mirano al cambiamento di un sistema antropico che si è evoluto in un modo insostenibile, e che viene ritenuto il principale responsabile della crisi ecologica globale.

Il principio utopico utilizzato in architettura, si trova oggi, spesso accostato al prefisso eco. Il tema di questa programmazione ideale, e forse troppo futuristica, viene portato avanti dagli anni Ottanta da Jacque Fresco e dal suo “The Venus Project”

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Noi, come architetti e progettisti del XXI secolo, dobbiamo tentare di accelerare il processo naturale e cicatrizzare le ferite degli ecosistemi attraverso tecniche pluridisciplinari di architettura e ingegneria ecologica. Di fronte all’esaurimento delle risorse naturali, la distruzione degli ecosistemi, la riduzione della biodiversità, l’inquinamento delle acque, la concentrazione del gas ad effetto serra e il riscaldamento globale, si possono trovare efficaci strumenti di rinaturalizzazione come le energie rinnovabili (solare, eolica, idraulica, geotermica) e le biotecnologie (bio-mimetismo, bio-risanamento, genetica).

I progetti utopici e sostenibili di Vincent Callebaut

Nonostante i progetti di Fresco risultino ancora oggi molto avvincenti e futuristici, immagino che pochi rimarranno impassibili davanti ai progetti di Vincent Callebaut. I concetti espressi, le analisi e le interazioni tra gli elementi, naturali e artificiali, all’interno dei suoi progetti, lo rendono l’architetto eco-utopico più attivo dei nostri tempi. Tutti i suoi progetti sono riconoscibili poiché presentano forme d’avanguardia e pongono una “maniacale” attenzione alle tematiche ambientali.

Hydrogenase

Hydrogenase, ad esempio, è un progetto dello studio parigino di Callebaut, per la zona meridionale del mare della Cina. Questi complessi che si attestano tra ingegneria e biologia, saranno energeticamente autosufficienti e a zero emissioni di carbonio. Attraverso l’utilizzo dell’Idrogeno, ottenuto dalla fotosintesi di alcune alghe, questi edifici saranno in grado di sollevarsi e spostarsi dalla loro piattaforma (costruibile in qualsiasi punto del globo, oceano o deserto che sia). Si stima che queste fattorie di micro-alghe saranno in grado di produrre oltre 1000 litri di Idrogeno ogni 330 grammi di clorofilla (un ettaro di alghe potrebbe produrre 120 volte il quantitativo di biocarburanti prodotto da un ettaro di soia o di girasole). Inoltre, una fattoria di alghe è una vera e propria stazione in miniatura capace di assorbire grandi quantità di CO2 accelerando il processo di fotosintesi, e consumando oltre l’80% del gas carbonico prodotto dal complesso. L’edificio si ispira alle tecnologie della biomimetica e vanta un leggerissimo e resistentissimo materiale composito (fibra di vetro e carbonio) che ha lo scopo di ridurre al massimo il peso della sua struttura. La pelle del complesso, sarà composta da strati intelligenti, ispirati alla pelle dello squalo che oltre ad essere autopulenti, soddisfano i requisiti di sostenibilità.

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La struttura della torre pneumatica, è composta da quattro grandi archi, che in superficie sono coperti da scudi solari termici e fotovoltaici con integrate 20 pale eoliche che passando dalla normale posizione verticale, alla posizione orizzontale, sono in grado di far decollare il dirigibile e farlo spostare ad un massimo di 175 km/h, per distanze massime di 10.000 km a 2000 metri di altezza.

Sotto la piattaforma, trovano alloggiamento 32 idro-turbine che trasformano l’energia delle maree e delle correnti marine in energia elettrica.

Questo dirigibile semirigido non pressurizzato si estende verticalmente attorno ad una colonna vertebrale di 400 m di altezza, con archi che arrivano a ricoprire oltre 180 m di diametro, il tutto a formare come un grande fiore, che divide a croce i vari spazi che accoglie abitazioni, uffici, laboratori scientifici o di intrattenimento. Sul gambo trovano spazio i servizi per gli spostamenti verticali, i locali tecnici e i magazzini merci.

Questo progetto segna inoltre l’inizio di una nuova era per i dirigibili ibridi, può essere costruito e quindi utilizzato per missioni umanitarie, operazioni di soccorso, trasporto aereo, eco turismo, hotel e sorveglianza delle acque territoriali.

I progetti di Lilypad, Dragonfly e Flavours Orchard

In caso il tema vi abbia incuriosito a dovere, consiglierei di visitare il sito di Vincent Callebaut e leggere le schede progettuali di Lilypad, Dragonfly e Flavours Orchard.

Il sito, inoltre, nella sezione “Profile”, raccoglie una serie di saggi che vi porteranno a capire l’essenza del lavoro dell’architetto e vi trasporteranno in un fantastico sogno eco-utopico.

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Tetti verdi: le piante più adatte ai green roof

Il Giardino botanico di Chicago  ha reso pubblici i risultati di una ricerca sui tetti verdi con cui sono state valutate quali sono le piante più adatte ai green roof.

COME PROGETTARE UN TETTO GIARDINO

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La valutazione ha interessato ben 216 specie di piante ed è stato il più approfondito studio sull’argomento. Le piante sono state vagliate sia sui tetti verdi intensivi (strato di terra da 7 a 14 cm) sia sui tetti verdi estensivi (strato di terra da 15 a 20 cm).

Tutte le analisi e le sperimentazioni sono state condotte presso il Conservation Science Center Plant, un laboratorio certificato LEED Gold della superficie di ben 3500 mq, con due tetti verdi da 750 mq, esposti uno a nord ed uno a sud.

I laboratori posti sulle coperture riescono a monitorare:

  • La temperatura dell’aria interna appena sotto il piano di calpestio del tetto
  • Temperatura dell’aria esterna sopra del suolo e sopra il tetto rialzato
  • La temperatura del suolo a varie profondità e l’isolamento del tetto
  • Flusso di calore del suolo
  • Radiazione solare
  • Umidità e vento sopra il tetto rialzato
  • Precipitazione

Il datalogger CR1000 (collegato a due camere CR800 con rispettivi sensori) si collega alla rete Ethernet dell’edificio, e il software LoggerNet raccoglie i dati; analizzando poi le informazioni generate, i ricercatori hanno potuto determinare i benefici dei diversi tipi di giardini pensili. Si sono potuti confrontare anche i risultati di vari spessori suolo, le diverse quantità di acqua, e, soprattutto, le diverse reazioni dei vari tipi di piante. Con così tanti dati resi disponibili, i progettisti dei garden roof sono stati in grado di fare dei confronti sperimentali su altri giardini della stessa tipologia.  

I PARAMETRI DI VALUTAZIONE

I parametri di valutazione per la scelta delle piante per i tetti verdi sono stati i seguenti:

  • la sopravvivenza complessiva,
  • la salute ed il vigore
  • la tolleranza del caldo e della siccità
  • la resistenza al freddo
  • la sopravvivenza nell’intero periodo di valutazione

Richard Hawkedirettore della valutazione dell’impianto del giardino botanico di Chicago ha spiegato che “In ultima analisi, il successo del tetto verde è dovuto al successo delle piante che crescono su di esso. […] Gli studi sulle piante come quelli intrapresi qui sono fondamentali per approfondire le informazioni riguardo le piante migliori per la coltura del green roof.”

LE PIANTE PIÙ ADATTE AI TETTI VERDI

La ricerca per capire quali fossero le piante più adatte ai tetti verdi è durata cinque anni durante i quali varie piante sono state valutate.  Alla fine sono state nove specie vegetali a raggiungere il punteggio massimo (5 stelle su 5) per aver dato prova delle migliori prestazioni di sopravvivenza e di adattamento:

caption: Antennaria dioica

caption: Calamintha Nepeta ssp. Nepeta

caption: Juniperus chinensis var. sargentii ‘Viridis"

caption: Phlox sublata "Apple Blossom"

caption: Phlox subulata "Emerald Blue"

caption: Phlox subulata "Snowflake"

caption: Rhus aromatica "Gro-Low"

caption: Sporobolus heterolepis

caption: Sporobolus heterolepis "Tara"

Il Giardino Botanico di Chicago sta continuando nelle sue ricerche per trovare nuove soluzioni e fare ulteriori scoperte in merito ai Green roof. Un settore importante dell’architettura ecosostenibile e, come cita un motto dei Giardini Botanici di Chicago, Salva le piante. Salva il pianeta“.

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Tiny houses: i vantaggi di un appartamento molto piccolo

Le cosiddette tiny-houses (da tiny, minuscolo e house, casa) altro non sono che delle case molto piccole. Su ruote, in condominio, monofamiliari, sugli alberi e galleggianti, ne esistono di tanti tipi, accomunate dalla loro caratteristica principale: le dimensioni ridottissime. 

PICCOLO È BELLO: VIVERE IN UNA MANCIATA DI MQ

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Ecosostenibilità inversamente proporzionale alla dimensione delle abitazioni: pare essere questa l’equazione vincente, quella che offre la soluzione ai problemi legati ai consumi energetici e alla gestione degli sprechi di ogni tipo. Non è cambiata solo la metratura degli interi edifici e dei singoli appartamenti ma anche la loro distribuzione interna; dall’eliminazione dei corridoi, agli angoli cottura che rimpiazzano le cucine abitabili, ai soggiorno-sala-cucina che in un unico spazio inglobano una triplice funzione.  

Sulla base di una statistica quinquennale pare che nel periodo tra il 2007 e il 2013 le superfici degli appartamenti, in Italia, si siano ridotte mediamente del 10%.

PERCHÈ SCEGLIERE UNA TINY HOUSE?

  • Motivazioni economiche: le case più piccole rappresentano al momento un tendenza, ma da sempre sono state l’alternativa per chi non voleva spendere per acquistarne di grandi. Una casa piccola ha un costo più basso, sia per l’acquisto che per l’affitto, e basse sono anche le spese di gestione, sia che si tratti di un’abitazione monofamiliare che in condominio, dove sono si hanno meno millesimi relativi ad una proprietà e bollette condominiali più basse. Anche i mutui per l’acquisto sono più contenuti e questo è un grosso vantaggio soprattutto per l’accesso ai finanziamenti per comprare una casa.

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  • La gestione domestica: Non solo i giovani cercano casa, ma anche gli anziani. C’è tutta una parte di popolazione che spesso per motivi fisici e/o organizzativi si ritrova a dover modificare la propria abitazione o a cercarne una nuova. Scegliere una soluzione con spazi ridotti all’essenziale è utile sia alle persone anziane che hanno ridotte capacità motorie e possono muoversi più agevolmente in spazi dove ogni cosa è rapidamente raggiungibile, che ai giovani che lavorano ed hanno poco tempo per le faccende domestiche. Va da sé che alla dimensione dell’immobile andrebbero poi associate altre caratteristiche utili a migliorare la fruibilità e l’accessibilità, quali ad esempio l’assenza di dislivelli e di ostacoli difficilmente superabili.
  • Riduzione dell’impatto ambientale: Una casa di dimensioni ridotte, se attentamente progettata e gestita si rivela un ottimo strumento per combattere l’impatto ambientale. Meno energia rispetto alle abitazioni spaziose non significa soltanto risparmio in termini di denaro, ma anche ridotto impatto sull’ambiente (LCA dei materiali ridotto, tempi di costruzione e/o manutenzione più rapidi, etc…).
  • Location d’eccezione: a volte le tiny houses, per via delle loro ridotte dimensioni, riescono a collocarsi in posizioni eccezionali, con una vista mozzafiato. Se sono su ruote poi, la vista può cambiare tutti i giorni. 

La soluzione ecosostenibile e anti-crisi quindi sono le case di dimensioni ridotte, ovviamente con le dovute attenzione a particolari costruttivi e alla scelta delle soluzioni materiche; potrebbe accadere per assurdo che un miniappartamento abbia dei costi di costruzione e gestione maggiori di quelli di una villa ben progettata. 

Un esempio paradossale

Sembrerebbe incredibile e nel nostro paese non sarebbe neppure dichiarata abitabile, ma una tiny-house davvero estrema è quella realizzata dal giovane Scott Brooks, che dopo anni trascorsi a vivere in tenda ha scelto un’abitazione stanziale a Shaw Island, nell’arcipelago di San Juan nello stato di Washington, vicino al Canada, delle dimensioni poco più grandi di quello che era il suo alloggio temporaneo. 

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Il bello di questa minuscola casetta -che non arriva neppure a 8 Mq-  è che è stata molto curata nei dettagli e pensata in materiali riciclabili e riciclati. Il costo di costruzione? Stenterete a crederlo, ma si aggira intorno ai 500 euro.

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Hotel ad Energia quasi Zero. Il programma UE per riqualificare gli alberghi

Per raggiungere l’obiettivo della riduzione delle emissioni in atmosfera di gas serra, l’Unione Europea, in risposta alla direttiva europea 2010/31/EU, EPBD riguardante le prestazioni energetiche degli edifici, ha previsto il programma IIE (Intelligent Energy Europe Programme) che agirà su diversi settori, tra cui quello edile, causa dell’emissione del 36% di gas serra.

“Edifici ad Energia quasi Zero” (Nearly Zero Energy Buildings – nZEB), rientra tra le iniziative previste dall’UE per accelerare gli interventi di efficientamento energetico degli edifici. Tra gli edifici su cui intervenire, anche gli hotel, a cui è dedicata attenzione con il programma “Hotel ad Energia quasi Zero” (Nearly Zero Energy Hotels – neZEH) per la programmazione di interventi di ristrutturazione volti a ridurre il fabbisogno energetico delle strutture alberghiere (il programma ha come target strutture medio-piccole).

Dal lancio del progetto Nearly Zero Energy Hotels (neZEH), nel Maggio 2013 (il progetto ha durata triennale), i risultati riportati sono i seguenti:

  • Realizzazione di 10-14 progetti pilota dislocati in 7 diversi Paesi (Croazia, Grecia, Francia, Italia, Romania, Spagna, Svezia) che dimostrano la fattibilità e la sostenibilità, anche economica, del programma neZEH per le realtà alberghiere medio-piccole. Ai gestori degli hotel sarà fornito supporto tecnico da parte di esperti in grado di guidarli nel miglioramento delle prestazioni energetiche della struttura.
  • Creazione di una rete in grado di mettere in contatto gli albergatori con i fornitori di materiale edile e altro tipo di fornitura utile per la riqualificazione energetica delle strutture.
  • Predisposizione di uno strumento elettronico da fornire ai gestori di hotel per aiutarli a valutare l’efficienza energetica attuale della propria struttura e ad identificare le soluzioni più ottimali per trasformarla in un Hotel ad Energia Quasi Zero.
  • Diffusione dell’iniziativa tra oltre 15 mila strutture. Tutti gli alberghi interessati potranno avere accesso alle analisi e ai risultati del programma.

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Consapevole dell’importanza dell’efficientamento energetico, il Park Hotel Ermitage Hotel, con vista mare è un hotel in cui l’efficienza energetica (è alimentato ad energia solare) si sposano con un ambiente elegante e confortevole. 

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Raffrescamento estivo: costruire sostenibile nei climi caldi

Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti per il risparmio energetico delle abitazioni, specialmente nel periodo invernale, ma nelle zone caratterizzate da climi caldi i consumi energetici sono da imputare maggiormente al raffrescamento estivo.  Quali sono i riferimenti normativi e i parametri per una corretta progettazione in queste zone climatiche?

SISTEMA DI RAFFRESCAMENTO RADIANTE A PAVIMENTO: COME FUNZIONA?

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Sono stati studiati e adottati innumerevoli sistemi di isolamento e tecnologie innovative per gli impianti di riscaldamento per le costruzioni che devono resistere ai climi più rigidi: cappottature di differenti materiali (EPS, fibre di legno, lane sintetiche, lane naturali) e impianti di diversa concezione (sistemi radianti, pompe di calore ad aria, geotermia, solare termico).

L’adozione di impianti di riscaldamento e  sistemi di isolamento porta un ingente beneficio in termini energetici ed economici: basti pensare che, per esempio, nella città di Trento, il fabbisogno energetico per il riscaldamento invernale è pari al 95% del fabbisogno totale annuo.

Il risparmio viene notevolmente ridotto o addirittura quasi annullato quando si considera Palermo, dove il 70% del fabbisogno energetico totale annuo è invece da imputare al raffrescamento estivo (fonte: atti convegno Promolegno, Napoli 2011). 

Evidente quindi come per raggiungere l’obiettivo di “edifici a energia quasi zero” sia d’obbligo non fermarsi allo studio del solo comportamento invernale.

PARAMETRI TECNICI PER IL COMPORTAMENTO ESTIVO

La norma italiana, in particolar modo si fa riferimento al DPR 59/2009, per lungo tempo ha normato i parametri utili a definire il comportamento invernale, trascurando il lato estivo. Con il D.Lgs. 192 si sono poi andati a definire i valori minimi di trasmittanza degli elementi, in riferimento alle diverse zone climatiche.

Le indicazioni che le normative forniscono in riferimento al comportamento estivo si riducono a tre punti fondamentali:

  1. Il valore della massa superficiale superiore a 230 Kg/mq;
  2. Il valore del modulo di trasmittanza termica periodica Yi,e inferiore a 0,12 W/mqK
  3. Relativamente agli elementi opachi orizzontali il valore del modulo di trasmittanza termica periodica Yi,e inferiore a 0,20 W/mqK.

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La massa superficiale, valutabile anche in termini di capacità termica areica, influisce sul comportamento estivo dell’edificio in quanto fornisce una buona inerzia termica all’involucro, capace quindi di assorbire il calore durante il giorno e rilasciarlo solo nelle ore più fresche della notte.

La trasmittanza termica periodica è invece il parametro che definisce la capacità di un elemento, parete verticale o chiusura orizzontale, di sfasare e attenuare l’onda termica: con lo sfasamento si ottiene l’ingresso “ritardato” nell’abitazione dell’onda di calore rispetto al picco di temperatura esterna (si considera un buon valore uno sfasamento superiore alle 10 ore) mentre con l’attenuazione si ottiene la riduzione della quantità di calore in ingresso.

UN CASO STUDIO

L’Università degli Studi di Cagliari ha promosso una tesi di dottorato, pubblicata in seguito sulla rivista Klimahaus (Giugno 2015), finalizzata allo studio del comportamento termoigrometrico di un edificio in CLT (Cross Laminated Timber) realizzato in climi caldi. L’edificio di studio ha pianta quadrata di 10x10m, due piani fuori terra, tetto a due falde inclinate di 30 gradi. 

A fronte di un consumo annuo per il riscaldamento di 21 KWh/mqa è stata valutata l’influenza di vari elementi sul comportamento estivo. In merito alla trasmittanza delle chiusure opache verticali è stato dimostrato come un aumento dell’isolamento esterno comporta una riduzione del fabbisogno termico estivo del solo 1%. La ventilazione notturna, specialmente se passante, comporta invece una riduzione del consumo per il raffrescamento da 26,4 a 18,9 KW/mqa (pari circa al 28%). Analoga influenza, intorno al 30%, hanno la schermatura degli infissi e l’aumento della capacità termica areica (che migliora anche il comportamento invernale). Per quanto riguarda i carichi interni invece (produzione vapore, apparecchi elettrici, elettrodomestici, illuminazione) questi provocano un aumento considerevole del consumo per il raffrescamento che può arrivare anche a più del 100%.

Lo studio mostra come una combinazione mirata di questi accorgimenti porta ad una condizione di comfort estivo, definita come il non superamento nelle ore più calde del giorno di una temperatura interna di 26 °C.

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Scale: progettazione oltre l’aspetto funzionale

Che siano spettacolari oppure leggere, quasi invisibili, che siano in legno, in acciaio o vetro, a sbalzo o meno, le scale hanno affascinato architetti di ogni epoca

Questo elemento architettonico riveste un ruolo fondamentale nella progettazione di ambienti su più livelli, non solo come indispensabile elemento funzionale di connessione verticale tra i piani, ma anche per la capacità che ha di migliorare, impreziosire e a volte anche stravolgere l’aspetto degli ambienti. 

Ci sono edifici di cui le scale sono il fulcro, come l’hotel Les Haras di Strasburgo, dove una scala centrale in listelli di legno è il cuore della ristrutturazione del vecchio edificio settecentesco, progettata dallo studio di Parigi Jouin Manku. 

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Esistono anche case in cui alla scala è data un’importanza tale, da definire tutti gli spazi e modellare letteralmente gli ambienti. È il caso della Stair House (casa-scala), non a caso chiamata proprio così dagli architetti dello studio olandese Onyx, che hanno pensato di sfalsare i piani di soli 75 cm l’uno dall’altro, per evitare parapetti di sicurezza. 

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I COMPONENTI DELLE SCALE

Le scale sono composte da una serie di elementi quali: 

La struttura portante – è la struttura che sorregge la scala. Storicamente realizzata in muratura portante, attualmente è in calcestruzzo armato, legno oppure acciaio. 

La rampa – la struttura inclinata che collega i due pianerottoli a livelli diversi. La superficie inferiore della rampa, se presente, è detta intradosso;

I gradini – i gradini, elementi che costituiscono la rampa. Esistono scale con gradini portanti (solitamente a sbalzo da una trave a ginocchio, un muro o un pilastro) ed altre con gradini portati (generalmente accoppiati a solette rampanti). I gradini sono a loro volta costituiti da alzata e pedata. Per dimensionare i gradini di una scala interna, si utilizza la formula di Blondel per cui la somma del doppio dell’alzata e la pedata è compresa tra i 62 e i 64 centimetri. Questo determina una pendenza, per le scale interne, solitamente compresa tra i 20 ed i 45 gradi, caratteristica che le differenzia dalle scale a pioli (con una pendenza superiore ai 77 gradi), dalle scale tecniche (con pendenza compresa tra i 50 ed i 77 gradi) e dalle cordonate, con una pendenza solitamente compresa tra i 7 ed i 15 gradi. La scala più diffusa ha una pedata di 30 cm (consigliata per scale comode e sicure) ed un’alzata di 17 cm per una pendenza pari a 29 gradi. 

In immagine uno schema dei tipi di scale in funzione della pendenza

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I pianerottoli – sono gli spazi alle estremità delle rampe. Ce ne sono di intermedi, quando interrompono le rampe, e di arrivo, quando le rampe terminano in essi. 

Il parapetto ed il corrimano – sono gli elementi che aiutano durante la salita e proteggono dalla caduta. 

A partire da questi elementi di base ci si può sbizzarrire in una serie di combinazioni e varianti.

LE SCALE NOVALINEA

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Novalinea, produttore specializzato sin dal 1979 in scale in legno e leader in Italia per le scale su misura, propone oggi scale anche in acciaio e vetro.

Nella collezione Futura rientrano alcune scale a sbalzo, vincolate da un solo lato, di grande effetto, leggere, quasi fluttuanti, gradini in legno (faggio, rovere, larice o su richiesta altre essenze) ed alzata sia aperta che chiusa. In foto, una versione in rovere naturale, quella elicoidale e una con alzate chiuse in rovere spazzolato. 

caption: una versione in teak, quella elicoidale in rovere tinta campione e una con alzate chiuse in rovere decapato.

Per la collezione Laser (cosciali in acciaio), la compagnia, che applica rigide politiche produttive di rispetto dell’ambiente, prevede scale che combinano diversi materiali per un risultato elegante e moderno. Laser Executive, che rientra in questa collezione, presenta bellissimi gradini in vetro ed un look ultra moderno. Per un effetto più caldo ed accogliente, propone Laser Decò con gradini chiusi in legno (nella foto di apertura dell’articolo) e Laser Wing, con inserti in pelle. Elegantissima. 

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Tutte le vernici utilizzate per gli elementi in legno, estratte da boschi cedui sottoposti a rimboschimento, sono atossiche, all’acqua

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Il tetto reciproco: preparazione e realizzazione

Ingegneri ed architetti italiani in un workshop a Roma per conoscere e sperimentare esempi di strutture geodetiche e reciproche, dalla teoria alla pratica.

Si è svolto il 9 ed il 10 maggio il workshop “Il tetto reciproco”, una delle tante occasioni per approfondire, progettare e realizzare in modo concreto, messe a disposizione dallo studio Beyond Architecture Group (BAG), specializzato nell’ambito dell’architettura sostenibile. Il workshop è stato pensato ed organizzato dallo studio BAG e da Kalipè, che ha messo a disposizione il suo nuovo laboratorio permanente di sperimentazione e condivisione di esperienze professionali, tecniche e pratiche artistiche.

I TETTI A SELLA IN BAMBÙ E PAGLIA DELLE TONGKONAN

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Docente d’eccezione è stato Biagio di Carlo, architetto famoso a livello internazionale per i suoi studi sui poliedri e sulle strutture geodetiche e reciproche. Biagio tiene conferenze ed è invitato ad eventi che si svolgono in tutto il mondo, oltre a scrivere per numerose riviste nazionali ed internazionali. Nel 2003 la rivista “Bioarchitettura” (n. 34, nov-dic 2003) ha pubblicato infatti il suo articolo “Strutture reciproche”, il primo articolo italiano a trattare tale argomento.

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Un’occasione unica di approfondimento e sviluppo tecnologico di alto profilo professionale che Architettura Ecosostenibile ha voluto sostenere anche con la sua partecipazione diretta, per raccontarlo ai suoi lettori.

Nodo reciproco: dalla teoria alla pratica

Il 9 Maggio, primo giorno del workshop, l’architetto Biagio di Carlo ha tenuto una lezione sui poliedri ed in particolare sui 5 solidi platonici: tetraedro, ottaedro, icosaedro, cubo e dodecaedro. I primi tre poliedri, spiega Biagio, essendo interamente triangolati, sono stabili e indeformabili, mentre, il cubo e il dodecaedro possono essere stabilizzati ricorrendo alla triangolazione delle facce instabili.

Attraverso questo semplice, ma in realtà complesso concetto, Biagio ha introdotto i corsisti nel mondo dei solidi archimedei e catalani, per giungere ai poliedri più complessi ed infine ai poliedri sviluppati nello spazio tridimensionale e verso lo spazio in 4 dimensioni.

La stretta connessione tra i poliedri e le “strutture reciproche” passa attraverso lo studio della struttura della materia; in particolare l’analisi dell’organizzazione delle connessioni e delle disposizioni delle cellule organiche, la cui architettura, incentrata sull’auto-generazione di elementi simili e continui, ha da sempre affascinato i più innovativi progettisti del secolo scorso da Richard Buckminster Fuller (inventore, architetto, designer, filosofo e scrittore statunitense) a Pier Luigi Nervi.

Biagio ha infatti studiato per anni le teorie ed i progetti di Richard Buckminster Fuller il quale è stato il primo progettista a sviluppare il concetto di cupola geodetica, brevettata nel 1954 ed applicata poi dal governo americano per la costruzione di cupole per le installazioni dell’esercito.

Le strutture spaziali reciproche, già indagate da Leonardo da Vinci, sono strutture realizzate con elementi che si sostengono, per l’appunto, reciprocamente, mediante vincoli di semplice appoggio. Tali strutture sono adatte alla progettazione di coperture con grandi luci ed a strutture temporanee, poiché sono composte da nodi che possono essere facilmente smontati e ricomposti, riformulando gli spazi anche a diverse altezze.

caption: Ecovillaggio GAIA, Navarro, Buenos Aires, Argentina 2006

caption: La Maloka, presso Re-green, Grecia

Durante il workshop, sulla base della lezione di teoria, è stato possibile per i corsisti sperimentare esempi di strutture in scala, mediante l’utilizzo del nodo reciproco, per comprenderne le potenzialità e le regole spaziali.

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Preparazione e realizzazione tetto reciproco

La struttura del tetto reciproco realizzata è composta da due poligoni, uno interno ed uno esterno, di 8 lati ognuno. Il poligono interno, quello creato dal nodo reciproco e che costituisce l’occhio centrale, è caratterizzato dall’intersezione delle travi.

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Il poligono esterno, con numero di lati pari a quello interno, è definito dalle parti finali delle travi stesse, da cui partono gli elementi di collegamento con la struttura verticale.

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La seconda giornata ha visto i corsisti cimentarsi nella preparazione e lavorazione degli elementi utili alla realizzazione del tetto reciproco. Questo lavoro, prettamente di artigianato, che ha molto a che vedere con il concetto di autocostruzione, è stato seguito direttamente da uno dei responsabili del laboratorio Kalipè, l’arch. Giulio Mattioli.  

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Ultimata la preparazione degli elementi, attraverso un modello di studio in scala, realizzato seguendo specifici requisiti architettonici caratteristici di questo tipo di costruzioni, è stato possibile riprodurre ed “alzare”, il tetto reciproco.

La realizzazione del tetto reciproco è stata seguita, in tutte le sue fasi, dall’arch. Giulio Mattioli e dall’arch. Paolo Robazza.

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Conclusioni e prossimi appuntamenti

Esperienze di questo tipo costituiscono senz’altro un valore aggiunto alla sfera dei corsi e delle esperienze professionalizzanti in campo architettonico, ingegneristico e progettuale del panorama italiano, anche perché occasioni di scambio culturale con professionisti, studenti e studiosi stranieri, che si recano appositamente in Italia per partecipare ai workshop sperimentali organizzati da Beyond Architecture Group (BAG).

Di seguito vi segnaliamo le due prossime esperienze proposte:

  • La tecnica in balle di paglia portanti, che si svolgerà dall’11 al 14 giugno 2015 presso il Villaggio Eva, uno dei progetti più importanti di BAG. Si tratta di un ecovillaggio autocostruito, realizzato dopo il terremoto dell’Aquila, a Pescomaggiore, con la tecnica delle balle di paglia. 
  • Terra, legno, sughero e surf, che si svolgerà dal 3 al 9 agosto 2015 presso Santo Isidoro (Portogallo). Il workshop si svolgerà all’interno del cantiere di uno dei progetti più importanti dello studio italo-portoghese Paratelier. Durante il workshop ci sarà l’occasione per sperimentare con la terra compressa, il legno, gli incastri ed il sughero pressato. Durante il workshop sono previste delle visite in laboratori artigianali locali.
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Costruire “permeabile” per limitare alluvioni ed inondazioni

L’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr ha pubblicato il “Rapporto periodico sul rischio posto alla popolazione italiana da frane e inondazioni” nel quale viene evidenziata la, ormai nota a tutti, drammatica situazione italiana in merito ai danni da alluvione e inondazione, arginabile con un’attenta progettazione di superfici permeabili.

PIOGGIA IN CITTÀ: I GIARDINI CHE RACCOLGONO L’ACQUA PIOVANA

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Nel 2014, citando il rapporto, “si sono avuti, a causa di frane e inondazioni, 33 morti e 46 feriti, e oltre 10 mila persone hanno dovuto abbandonare temporaneamente le loro abitazioni. Gli eventi che hanno causato morti, feriti, sfollati e senzatetto hanno colpito 220 Comuni in 19 delle venti regioni italiane”. Il triste primato è della Regione Liguria, prima per danni e feriti mentre il primato delle vittime spetta al Veneto durante la piena del fiume Lierza.

A fronte di un oggettivo aumento degli eventi meteorologici intensi e di breve durata, le cosiddette “bombe d’acqua” tanto nominate nei telegiornali, nulla, nel modo di intervenire sul territorio è cambiato.

COSTRUIRE “PERMEABILE”

Se è vero, almeno in parte, che non possiamo modificare le precipitazioni che investono il territorio italiano, è vero però che possiamo modificare il deflusso, il contenimento, il corso delle acque una volta precipitate al suolo in grande quantità. 

Il problema della “gestione” delle ingenti quantità di acqua cadute in breve tempo al suolo è suddivisibile in alcune tematiche principali:

  • Deflusso delle acque meteoriche; 
  • Recupero ed utilizzo delle acque meteoriche;
  • Infiltrazione delle acque meteoriche;
  • Immissione delle acque meteoriche in acque superficiali.

Tra questi, i problemi che possiamo affrontare dal punto di vista progettuale, sono soprattutto due: il deflusso e l’infiltrazione delle acque meteoriche. 

Primo fra tutti è il problema del deflusso delle acque meteoriche. È necessario contenere il più possibile la quantità di acqua che, una volta precipitata dopo un violento evento temporalesco, deve immettersi nel sistema fognario urbano. Le canalizzazioni non sono dimensionate per portate di acqua eccezionali, tipiche di eventi violenti, quindi più acqua riusciamo a intercettare prima del sistema fognario e minore sarà il rischio di danni. Accorgimenti utili e necessari a contenere il deflusso delle acque sono lo sfruttamento di ogni superficie residenziale, ma soprattutto delle grandi superfici commerciali e del terziario, come superficie permeabile. Grandi parcheggi di centri commerciali, piazzali aziendali, coperture di capannoni, aree completamente asfaltate, cortili, piste ciclabili o pedonali che devono essere riprogettate e riconvertite in aree drenanti. I sistemi per poterlo fare ci sono tutti: pavimentazioni a verde, sterrati, calcestruzzi drenanti, pavimentazioni a verde stabilizzato.

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La seconda tematica affrontabile dai progettisti di spazi urbani è l’infiltrazione delle acque meteoriche. Dalle linee guida della Provincia di Bolzano in merito alla gestione delle acque meteoriche leggiamo la classificazione esatta dei sistemi di infiltrazione: “Si distingue tra impianti d’infiltrazione superficiale e impianti sotterranei d’infiltrazione. L’infiltrazione superficiale avviene tramite immissione superficiale delle acque meteoriche in superfici piane, in fossi o in bacini. In questi casi di regola l’infiltrazione avviene attraverso uno strato superficiale di terreno organico rinverdito che assicura una buona depurazione delle acque meteoriche. Nei sistemi sotterranei d’infiltrazione l’acqua meteorica viene immessa in trincee d’infiltrazione o in pozzi perdenti. Questi sistemi hanno il vantaggio di avere un minore fabbisogno di superficie filtrante, però si perdono quasi tutti gli effetti depurativi perché non viene attraversato lo strato superficiale del terreno.”

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Al progettista e al pianificatore urbano non resta che adottare un metodo utile per favorire l’infiltrazione dell’acqua in breve tempo.

Possono essere utilizzati spazi verdi a fianco di strade, piste ciclabili, interni di rotatorie o svincoli, aiuole spartitraffico per realizzare dei fossi rinverditi ovvero degli avvallamenti di poco più di 30cm a verde dove l’acqua di un violento evento meteorico può essere raccolta e poi filtrata dal terreno.

Se si hanno a disposizione aree più estese come giardini o parchi pubblici si possono prevedere bacini d’infiltrazione più profondi, sempre a verde, ovvero delle aree progettate appositamente più basse del livello del terreno circostante in modo che, in caso di necessità possano essere allagate. L’acqua qui raccolta poi nel giro di qualche giorno viene drenata dal terreno invece di riversarsi in strade e piazze e essere rigettata dai tombini come siamo abituati a vedere.

Costruire “permeabile” significa quindi progettare il territorio in modo che sia in grado di affrontare l’emergenza idrica violenta ed improvvisa, predisporre aree cosiddette allagabili, convertire le ampie superfici in aree permeabili, realizzare fossi ai lati di strade o percorsi ciclo pedonali, studiare nei dettagli ogni possibile elemento urbano che possa fungere da raccoglitore d’acqua temporaneo al fine di evitare che l’acqua entri in grande quantità nel sistema idrico e provochi i danni che tutti purtroppo ben conosciamo.

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