Possibilità di riutilizzo di un vecchio iPhone

Qual è la motivazione che ci spinge a cambiare smartphone? I primi mesi che seguono la presentazione di un nuovo smartphone top di gamma, sono sempre un po’ critici; c’è chi aspetta almeno un paio di generazioni prima di cambiarlo e chi appassionato di tecnologia non aspetta nemmeno l’ufficializzazione della data di commercializzazione per andare a mettersi in fila davanti ai punti vendita.

Le pubblicità, gli articoli e le pagine internet ti invogliano in ogni caso ad abbandonare il tuo “vecchio” smartphone funzionante – che a seguito di continui aggiornamenti ha iniziato ad essere più lento, anche per svolgere le operazioni quotidiane più comuni – e acquistare il nuovo oggetto del desiderio dal costo leggermente spropositato.

Ma cosa fare dunque del vecchio dispositivo? Quest’ultimo infatti è dotato di display, fotocamera, processore di ultima generazione (o quasi) e sarebbe un vero peccato riporlo nel dimenticatoio. Le sue caratteristiche tecniche, utilizzate continuamente fino a poco prima, ora potrebbero essere sfruttate per compiti più semplici, come permetterci di leggere un ebook, farci da radiosveglia, da gps o addirittura da controllo domotico per la nostra abitazione.

Qui di seguito sono riportate alcune idee di riutilizzo del vostro iPhone oramai vetusto.

Riutilizzo degli iPhone: idee per la casa

Le operazioni che possiamo fare in casa con il nostro vecchio iPhone sono tantissime. La maggior parte di queste, necessitano di un collegamento all’alimentazione elettrica, e a lungo andare potrebbero portare la batteria a una sollecitazione evidente.

Possiamo dunque iniziare dalla sveglia, quella che ci fa alzare al mattino e ci permette di arrivare puntuali a lavoro o ad un appuntamento. La maggioranza dei possessori di uno smartphone utilizzerà quella del sistema operativo, dovendo lasciare inevitabilmente acceso il dispositivo anche di notte. iReadyO è una radiosveglia che permette di alloggiare al suo interno iPhone 4, 4S, 5 e 5S; Questa ci potrà svegliare con le canzoni della nostra playlist personale o potrà essere utilizzata durante il giorno come player musicale come le più note Dock Station di Bose, Jbl, Belkin…

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Un altro sistema molto utile in casa, è la domotica. Il nostro vecchio iPhone può diventare la centralina che comanderà tutte le periferiche posizionate nella nostra abitazione. Disponendo il dispositivo su un muro, e alimentandolo dalla vicina presa elettrica, possiamo accedere ai diversi servizi che il sistema ci offre, come alzare/abbassare le tapparelle, controllare l’intensità luminosa delle luci, chiudere le serrature o riprodurre la musica tramite bluetooth in diverse stanze della nostra casa.

Esistono poi produttori di sistemi di vigilanza e termostati che possono essere controllati con il nostro iPhone. Le videocamere intelligenti, previa registrazione della sagoma del viso, riconoscono chi accede in un’area e avvisano in caso di intrusioni; il termostato, invece, dialoga continuamente con lo smartphone e permette di controllare in remoto la temperatura e l’orario di accensione/spegnimento del sistema di riscaldamento

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Il vostro vecchio iPhone può anche diventare una telecamera che controlla e veglia sul vostro bebè con Cloud Baby Monitor. Quest’app, invia notifiche in caso di rumori provenienti dalla camera da letto, controlla il respiro e permette di cantare una ninna nanna, in diretta, tramite video.

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Se per qualche ragione invece siete a lavoro e avete dimenticato il vostro mouse, nessuna paura, ci sono alcune applicazioni che ci vengono in soccorso reinventando il trackpad del computer e mettendo a disposizione con esso, anche una tastiera

Un decennio fa circa, un noto brand introdusse sul mercato un cellulare che avrebbe dovuto spopolare tra i giovani videogiocatori. Così non fu, e pochi anni dopo, gli smartphone diedero una svolta a questo mercato introducendo molti degli strumenti di utilizzo comune al loro interno. Con agende, blocco note, calendario, libreria personale e molto altro, si iniziarono a soddisfare anche le richieste della generazione più giovane attraverso l’introduzione di videogiochi che a distanza di quasi otto anni, non hanno nulla da invidiare a quelli presenti su console.

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Per venire ulteriormente incontro al popolo videogiocatore, la ion ha prodotto l’Ion iCade Mobile Game Controller, una manopola nella quale è possibile inserire il proprio iPhone convertendolo in una console portatile. Per aumentare il numero e la tipologia di giochi, l’utente può andare su iemulators e scaricare decine di giochi trasformando il proprio dispositivo in un vecchio game boy o un mini coin-op.

Riutilizzo degli iPhone: idee outdoor e per lo sport

Fuori casa il vostro iPhone può essere utilizzato per una molteplicità di funzioni, dalle più comuni come utilizzo su social network, chat o chiamate su skype, per leggere un ebook in viaggio o articoli precedentemente salvati a casa, per guide offline se siete in vacanza, o addirittura come memoria aggiuntiva sulla quale trasferire immagini e video per non rimanere mai a corto di spazio sulla memoria flash del vostro dispositivo principale. Ovviamente potete usarlo anche lettore mp3 o come modem hotspot, e in caso di surriscaldamento, è sempre un dispositivo che avete deciso di rimpiazzare con uno di nuova generazione. Tutte queste funzioni a lungo andare logorano la batteria e la durata del vostro dispositivo principale, quindi perché non cercare di preservarla leggermente?

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Su appStore si trovano numerosissime app per il fitness. Il tuo vecchio iPhone può diventare un contachilometri che geotagga i tuoi spostamenti in bicicletta misurando calorie, velocità e tempi della tua escursione. Se sei un amante del footing, puoi riporre il tuo vecchio smartphone in una classica fascia da braccio per poter godere della tua musica durante il tuo allenamento quotidiano, senza preoccuparti di bagnarlo o impregnarlo di sudore.

Ultima cosa, da non sottovalutare, può anche essere la rivendita. In genere i modelli che alle spalle hanno una sola generazione, sono molto appetibili sul mercato.

E voi cosa ne farete del vostro vecchio iPhone?

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Il film più sostenibile del 2015 vince il Green Drop Award

Una terra al limite fra Mongolia e Cina, un paesaggio lacerato da attività estrattive, una popolazione divisa fra pastori e minatori. È il suggestivo sfondo di Behemoth, il destabilizzante film che, denunciando provocatoriamente lo sviluppo insostenibile delle società industrializzate, è il vincitore ad elevata carica emotiva del Green Drop Award 2015.

THE HUMAN SCALE: IL FILM SULLE CITTÀ VIVIBILI

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Il riconoscimento, assegnato alla pellicola più green in concorso nella selezione ufficiale della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, consiste in una goccia soffiata da un maestro vetraio muranese ospitante un pugno di terra la cui provenienza, diversa di anno in anno, è nel 2015 un paese simbolo di siccità quale il Senegal.

Il documentario del pluripremiato regista cinese Zhao Liang secondo la giuria è il film che meglio “interpreta i valori dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alla conservazione del Pianeta e dei suoi ecosistemi per le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i popoli”.

Vivendo in una città inquinata come Pechino, egli muove dalla propria esperienza personale per trasmettere allo spettatore, attraverso la dura verità di immagini “in bilico fra poesia e riflessione metafisica”, un insegnamento ambientale traendo spunto dallo scempio che si sta compiendo con l’avanzare delle miniere in Mongolia.

La sequenza di potenti immagini svela nella sua assurda concretezza come lo sfruttamento intensivo dei giacimenti ad opera di imprese cinesi, russe, canadesi stia divorando non solo il paesaggio, ma anche l’antico patrimonio culturale nomade, fatto di capanne tradizionali, tipiche usanze e produzione d’eccellenza di cashmere. Il ricordo della tradizione è ormai solo un lontano canto gutturale mongolo Xöömej che fa da surreale contrappunto alla visione apocalittica dello sbriciolamento in aria delle rocce causato da una deflagrazione.

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La Mongolia è ormai destinata ad una progressiva decadenza: la terra trema inerte al fragore di ogni nuova esplosione che – incurante delle proteste degli sciamani che pregano contro la Booming economy in nome di Tenger, il Cielo onnipotente -, continua con forza diabolica a sventrare le montagne.

La metafora infernale d’altronde permea tutto il film: il titolo stesso “Beixi Moshuo – Behemoth” (Mostro gigante), essendo il riferimento a un’entità mitologica identificabile con il diavolo, ne è sintesi simbolica.

Questa bestia invisibile, in continuità con il repertorio iconografico medievale in cui spesso è rappresentata con una “bocca divorante” dalla natura insaziabile, simboleggia col suo fagocitare le montagne l’ingordigia dell’uomo che nel suo incedere sregolato verso un’industrializzazione senza criteri ha creato un progresso devastante sia dal punto di vista ambientale che sociale. Concretizzandosi nell’insano “inferno in terra” delle miniere, Behemoth continuerà inesorabilmente, nel fragore di trivelle, gru, pale meccaniche e camion, ad inghiottire in alienanti ingranaggi chapliniani l’uomo suo generatore.

“Attraverso lo sguardo contemplativo del film, analizzo le condizioni di vita dei lavoratori e l’insensato sviluppo urbano. È la mia meditazione critica sulla civiltà moderna, in cui si accumula ricchezza mentre l’uomo perisce. […] Il comportamento umano si contraddistingue per follia e assurdità. Non siamo mai riusciti a liberarci dall’avidità e dall’arroganza, così il viaggio a spirale della civiltà si viene a riempire di deviazioni e regressioni”, afferma il regista.

Assurdamente, i pastori che, privati dei terreni su cui allevare i propri capi di bestiame in favore dell’avanzare di nuove miniere, fuggono per salvarsi, portano con sé durante il viaggio i simboli –non essenziali alla vita- del progresso: un uomo trascina una moto, mentre un altro a stento riesce a trasportare una televisione!

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Malinconicamente, la voce narrante che descrive i fotogrammi ricorda: “una volta cantavamo nel sole e nella dolce, gaia, aria. Ma adesso, io mi affliggo per l a terra mandata in frantumi”. E come la montagna viene distrutta, l’immagine ritratta è vista verosimilmente attraverso un vetro rotto. Questa disintegrazione dello schermo è un effetto sorprendente: in realtà si tratta infatti di uno specchio portato sulla schiena dalla voce-guida che nel suo percorso ritrae nel riflesso il dramma.

Lo specchio frantumato diventa una metafora della pluralizzazione, dell’estensione della portata del messaggio non solo al territorio specificamente ritratto dalle immagini, ma universalmente a tutti i paesi industrializzati; il termine Behemoth stesso è d’altronde un probabile pluralis excellentiae, tecnica usata nell’ebraismo per amplificare la potenza di un elemento rendendo il nome al plurale.

I frammenti riflettono un’immagine tanto evocativa nella sua distopica liricità da lasciare senza fiato: viene ritratto di spalle un nudo adagiato su un prato tanto verde da sembrare psichedelicamente irreale, rivolto verso il mondo industriale della miniera sullo sfondo, che inghiottirà con i suoi infernali rumori, le sue nubi di polvere tossica e i suoi colori tetri il bucolico paesaggio in cui vivono i pastori.

Passibile di diverse interpretazioni l’ambigua figura, ripiegata su se stessa in un raccoglimento che ricorda una posizione fetale.

Uomo o donna? Umano o diabolico?

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“Benché i monti gli offrano i loro prodotti e tutte le bestie domestiche vi si trastullino, egli si sdraia sotto i loti, nel folto del canneto e della palude”. Come nell’immagine evocata biblicamente da Giobbe, nella figura distesa sul prato, fra distese di lapidi o fra capanne, forse in realtà si cela il mostro, allegoria del progresso di cui l’uomo è al “tempo stesso vittima e carnefice”, perché “sembra di essere posseduti da una forza mostruosa e invincibile, invece siamo noi a creare questa bestia invisibile. È la nostra volontà.

E’ quindi inevitabile che dove ci sia l’uomo ci sia il mostro; Behemoth è nel male polmonare che divora l’uomo, è nelle ungulate macchine infernali che scavano le rocce, è nelle file di camion che senza soluzione di continuità salgono e scendono senza tregua lungo la spirale dei tornanti che collegano la fonderia e la zona di estrazione, in cui gli addetti lavorano incessantemente e meccanicamente secondo i serrati ritmi di riempimento e svuotamento degli autocarri.

“Gli uomini, le donne, l’ambiente, la natura sono rappresentati come sacrificio in nome di un progresso che, con un colpo di scena finale, si rivela inesistente”. L’illusione di trovare il paradiso, l’aspettativa di vivere quindi un “uscimmo a riveder le stelle” della contemporaneità dopo l’inferno di una vita di duro lavoro sempre svegli in una miniera attiva anche di notte e dopo il purgatorio inflitto dalla fatica e dalla sofferenza delle inevitabili malattie associate al lavoro si disintegra infatti nel momento in cui si svela che l’obiettivo è innalzare senza una razionale pianificazione futuristiche “città fantasma”, investimento dei proprietari delle miniere di carbone nel settore immobiliare.

Paradossalmente, mentre l’inquinamento acustico ed ambientale e la presenza di tante persone in movimento caratterizzano la miniera, queste spettrali distese di asfalto e cemento sono dominate dall’immobilità e dal silenzio e registrano una bassissima densità abitativa.

Ordos è una di tali cristallizzate megalopoli simbolo della contraddizione del capitalismo estrattivo: essa non solo non è la metropoli da un milione di persone per il quale sono stati costruiti grattacieli altissimi, servizi pubblici, monumenti di Gengis Khan conquistatore della zona in passato, ma non è nemmeno una città perché è completamente disabitata.

Ossimoricamente poi, la città in cui viene girato il film significa “Paradiso”.

La metafora infernale

D’altronde vari aspetti del documentario sono, come affermato dal regista, di derivazione dantesca: “nella Divina Commedia, Dante attraversa in sogno l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. In Behemoth ho descritto un’enorme catena industriale, in cui i colori rosso, grigio e blu rappresentano rispettivamente i tre regni danteschi”.

Il rosso infatti è un riferimento non solo al sangue ma anche alla lava dell’inferno, e all’incandescenza delle viscere del sottosuolo delle steppe mongole in cui l’uomo è costretto a lavorare in condizioni insopportabili dalla mostruosa energia maligna; il grigio è il purgatorio di macchie, lividi, bombole e calli su mani segnate dal lavoro dei “musi neri”, che nascosti dietro alle loro inutili mascherine sono ridotti a fantasmi nei gironi infernali delle miniere.

I minatori sono tutt’uno col nero delle particelle di carbone che ne cancella l’identità. Essi non hanno né nome né voce, e i volti sporchi e muti sono svelati in primissimo piano solo dopo un’inquadratura posteriore. “La gente passa tutta la notte a spalmarsi trucco scuro… il risultato non dipende dal loro umore ma da come tira il vento”. Per quanto gli operai possano procedere a una pulizia, essa non potrà essere che superficiale.

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E in ogni caso la polvere continuerà ad essere inalata e a annidarsi nei polmoni, con l’effetto di esporli a gravi rischi di salute come la pneumoconiosi, che costringendoli a letto attaccati a una macchina li conduce all’annichilimento. Le miniere inoltre mietono vittime non solo fra i minatori, ma anche fra coloro che usufruiscono di falde inquinate da sostanze utilizzate per l’estrazione.

“In mezzo alla foresta di lapidi, forse ci sono persone che conosco, o che non ho mai visto, che stanno soffrendo o sono già libere, in questa passiva moltitudine ci sono anime tristi! Non c’è posto per loro, all’inferno!” , afferma nella prima sequenza una voce fuori campo, il Virgilio, che esordisce con un “amid, in the middle” come l’incipit della Divina Commedia dantesca.

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Il viaggio, altro topos ripreso da Dante, è profeticamente l’unica prospettiva per i pastori per sfuggire all’effetto dell’impatto ambientale delle attività estrattive.

Ma mentre in Dante il viaggio è percorso di purificazione e speranza, compiuto dal poeta universalizzando la propria impresa per tutti gli uomini, che espiano i propri peccati ripercorrendone idealmente il viaggio, “nel viaggio dantesco simulato nel film non c’è salvezza, ma insegnamento morale, un monito per gli spettatori di ogni latitudine del globo”. 

Sostenibilità e futuro del cinema

Sensibilizzazione degli spettatori che è un mezzo per diffondere i valori del rispetto ambientale: “il cinema è un veicolo eccezionale di stili di vita e di sensibilità e da diversi anni ormai le tematiche ambientali sono entrate a farne parte; il nostro scopo è valorizzare quelle opere e quegli artisti che lo hanno fatto in maniera più evidente ed efficace”, afferma Marco Gisotti, direttore del concorso.

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L’ottica è quella di produrre film sempre più attenti all’ambiente, orientando le scelte secondo una crescente tensione alla sostenibilità cinematografica: “credo che tutti dovremmo fermarci a riflettere dopo la visione di questo film, che non parla solo della Cina ma di tutti noi. Di come il lavoro e la produzione industriale non siano il fine ma il mezzo. Probabilmente ‘Behemoth’ è il film più politico di tutta la Mostra di quest’anno”.

Inoltre, in occasioni come il Green Day Venice, giornata della sostenibilità nell’industria cinematografica, si discute la possibilità della la creazione di un codice mondiale di produzione di film ecosostenibili per identificare film green sia per i temi trattati che per le modalità di produzione degli stessi (secondo criteri orientati a: minimizzazione dell’impatto ambientale, dell’uso di risorse, dei consumi energetici, delle emissioni e delle distanze, rispetto per la natura, efficacia della gestione dei rifiuti, riutilizzo anziché acquisto di materiale di scena….).

È una direzione che diventerà obbligatoria, perché “sono pochissimi i film che oggi possono sfoggiare certificazioni di produzione ‘green’, ma l’attenzione verso stili di vita più sostenibili è sempre più importante. In futuro un film che voglia raccontare una storia a sfondo ecologico dovrà essere coerente fino in fondo e dimostrare, attraverso adeguate certificazioni, non solo di non aver inquinato, consumato energia, sprecato cibo, ecc., ma anche di aver fatto qualcosa per migliorare l’ambiente”.

Per chi vuole vedere un estratto del film, un link al primo estratto di Behemoth.

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Floating Flower Garden, il giardino sospeso interattivo

Magica, sorprendente, onirica: è l’installazione “Floating Flower Garden” proposta dal TeamLab, collettivo giapponese guidato da Toshiyuki Inoko. I visitatori sono invitati a passeggiare in un eden botanico di 2300 orchidee fluttanti per diventare un tutt’uno con la natura. Petali, fiori e pistilli sbocciano silenziosi, mutando di ora in ora ed si animano alla presenza degli spettatori. Il giardino interattivo e in continuo movimento permette un’immersione totale, un percorso onirico in cui perdersi e ritrovare l’origine del tutto. Mazzi di orchidee colorano lo spazio, mentre profumi delicati e una musica soft risvegliano i sensi. L’installazione gioca un forte impatto sulle emozioni umane, un insieme di piaceri atavici che si fondono per suscitare sentimenti sereni e ricordare la potenza armonica della natura. Le orchidee Phalaenopsis, importante dall’Olanda, possono essere sospese in aria perchè piante in grado di assorbire acqua e nutrienti, senza aver bisogno del suolo. Collegate ad un sistema digitalizzato, si sollevano e si abbassano captando i movimenti dei presenti.

IL QR CODE NASCOSTO IN GIARDINO

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La cortina, infatti, scende lentamente quando i sensori avvertono l´avvicinarsi dello spettatore, perchè ne diventi il protagonista nello spazio emisferico creatosi. Se più persone si avvicinano le une alle altre, la cupola si allarga in un unico spazio. Appena, però ci si allontana dalla nicchia, i fiori scendono ricreando il denso baldacchino, dolcemente ondulato e coloratissimo.

L´installazione interrativa è stata presentata a Miraikan presso il “Museo nazionale di Tokyo della scienza emergente e dell’innovazione”, trasportata e nuovamente sospesa in occasione del Paris Design Week. La mostra, conclusasi a maggio, ha  riscosso un comprensibile successo. Come non rimanere estasiati dalla lenta danza di fiori in ascesa e discesa?

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Flowers and I are of the same root, the Garden and I are one´

(Io e i fiori abbiamo la stessa radice, il Giardino e io siamo un tutt´uno)

Il collettivo si ispira ad un Kōan zen, la breve fiaba “Il fiore di Nansen” che narra l’incontro tra un maestro e il suo discepolo. Come racconta Toshiyuki Inoko, nel XIII secolo un monaco zen lascia il suo ritiro meditativo sulla montagna alla ricerca del risveglio. Un giorno indica con il dito un fiore in un giardino: “Noi e tutto ciò che ci circonda siamo fatti della stessa sostanza, abbiamo la stessa origine”.

La morale della metafora buddista, trasposta nel labirinto botanico 3d dal collettivo, è che ogni ricerca delle origini ci riporta sempre alla natura. La serenitàe la meraviglia suscitata dal giardino pensile, prova la necessità di ripristinare il senso di unità con la natura e ricucire le relazioni con l´ecosistema

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Il giardino “sotto-sopra” presentato dal gruppo dei tecno-artisti, curatori anche dell´installazione nel padiglione giapponese dell´Expo, gioca sull´interazione tra emozione, tecnologia digitale e natura. La sorprendente, ma comunque artefatta, rappresentazione edenica, come tutte le installazioni di TeamLab, si rifà ai paesaggi mozzafiato esistenti in natura, come i tunnel di alberi intrecciati, i canopi di bamboo, le cortine di glicine e di ciliegi.

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Lavori in casa? Trova i professionisti su Fazland

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In copertina: The tool and materials for sanitary work, di Dmitry Bodyaev via Shuttestock.

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Dopo i siti web per lo shopping online, anche i servizi per i lavori in casa hanno un loro spazio nella rete per aiutare a risparmiare tempo e denaro nei lavori di manutenzione delle nostre abitazioni.

La start up nasce per fare incontrare richiesta ed offerta di un mercato che fatica a spostarsi sul digitale. Chi è alla ricerca di un determinato tipo di servizio risparmia tempo e denaro, mentre i professionisti e le imprese del settore, talvolta non grandissimi, riescono ad ottenere visibilità e clienti senza costi fissi e senza spendere troppo tempo davanti al pc.

Perché passare a Fazland? Perché qualsiasi sia il tuo progetto, il portale risponde alle tue richieste in 3 semplici step e ti trova il professionista ideale per metterlo in pratica. Dopo la registrazione, basterà specificare la tua richiesta, confrontare la qualità delle offerte ricevute e scegliere aiutandoti anche con le schede informative dei professionisti a disposizione e delle recensioni lasciate da altri clienti. Fazland esamina per te i profili di aziende e imprese nella tua città e ti permette di confrontare online i preventivi di professionisti che hanno risposto alla tua richiesta di aiuto. Nella scheda delle imprese troverai tutte le informazioni necessarie a scegliere consapevolmente la migliore offerta sul mercato, la storia delle aziende, le loro certificazioni e le referenze. Una volta scelto il professionista, potrai fissare un appuntamento per il sopralluogo, e il tutto gratuitamente.

Un video esplicativo di come funziona Fazland.

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Fazland non è solo un portale di servizi per la casa, i servizi disponibili sul sito sono più di 300 e spaziano dal settore del lavori in casa alla cura della persona e la gestione della tua attività fino all’organizzazione di eventi: dal trasloco casa al commercialista, dall’installazione di un impianto fotovoltaico sul tetto ad un DJ per il matrimonio, compleanno o qualsiasi altro evento, Fazland sarà la tua mano destra e ti aiuterà a trovare i professionisti migliori per realizzare i tuoi sogni e progetti. 

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Free electric: la cyclette per l’autosufficienza energetica

Si chiama “Free Electric” la nuova cyclette che permetterà di produrre l’energia necessaria a coprire i consumi medi giornalieri di un’abitazione pedalando per un’ora. L’energia cinetica prodotta con il movimento corporeo della pedalata aziona una turbina che genera elettricità e la immagazzina in una batteria. Così una sana e regolare attività fisica potrà garantire l’autosufficienza energetica anche a chi a stento ha accesso all’energia elettrica.

LA LAVASTOVIGLIE A MANOVELLA CHE LAVA IN 1 MINUTO

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Già a partire dal prossimo anno l’imprenditore indiano Manoj Bhargava sperimenterà il suo modello innovativo distribuendo 10 mila prototipi tra i cittadini indiani più bisognosi. Le prime 50 cyclette verranno prodotte in India e distribuite in una ventina di villaggi dello stato di Uttarakhand, nel Nord del Paese, dove l’assenza di infrastrutture per la distribuzione dell’elettricità ne rende l’accesso da sempre difficile e costoso. In tal modo l’illuminazione e l’uso degli elettrodomestici sarà possibile anche nei villaggi remoti al confine con il Nepal. Secondo le previsioni del milionario, terminata la fase della sperimentazione, la bici potrebbe essere prodotta su scala mondiale e venduta a soli 100 dollari in tutto il mondo.

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L’imprenditore sessantenne Bhargava, attualmente residente in Michigan, ha frequentato per un anno la Princeton University prima di abbandonare gli studi e proseguire le sue ricerche con un team di ingegneri con cui studia progetti ambiziosi nel campo delle nuove tecnologie: non solo produzione di energia pulita con la “Free Electric” ma anche il “Rain Maker”, uno strumento che renderebbe potabile l’acqua inquinata e il “Renew”, un dispositivo medico che migliorerebbe la circolazione del sangue. Nel suo documentario “Billions in change” spiega che mettere le proprie ricchezze a disposizione dei più poveri è un imperativo morale a cui non possiamo più sottrarci, con una popolazione mondiale di 7 miliardi di persone che sta consumando progressivamente le risorse del pianeta. “Chi ha di più deve aiutare le persone che hanno avuto meno, e deve agire ora”! 

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Il ruolo della scienza nello sviluppo sostenibile: l’opinione di Janez Potocnik

Venerdì 2 ottobre  2015, presso la sala Tessitori della Regione FVG a Trieste, il dott. JanezPotocnik  ha tenuto una conferenza sul tema:  “Transition to a resource efficient economic model and the role of science in the process”. L’evento è stato organizzato dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS)insieme alla ISRR di Ljubljana ,all’EU Plan GEIE di Trieste e la partecipazione di alcuni sponsor privati, fra i quali l’impresa italo-spagnola Sustainable Technologies.

CINA E SVILUPPO SOSTENIBILE

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Chi è Janez Potocnik

Commissario europeo per l’Ambiente dal 2010 al 2014, JanezPotocnik è stato precedentemente commissario europeo per la Scienza e la ricerca (2004-2010) e ministro degli Affari europei nell’esecutivo sloveno (2002-2004).Come commissario europeo per l’Ambiente, JanezPotočnik ha promosso infatti linee politiche che hanno contribuito alla conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale ed è riuscito a inserire l’ambiente ai primi posti dell’agenda politica. Oggi è copresidente dell’International Resource Panel (IRP), un gruppo di esperti in materia di gestione delle risorse naturali, istituito nel 2007 dal Programma delle Nazioni Unite (UNEP) per condividere ed accrescere le conoscenze necessarie per migliorarne l’uso e garantirne la salvaguardia. L’IRP ha individuato l’economia circolare, basata sull’uso efficiente delle risorse, in particolare la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse marine, tra le aree strategiche per la ricerca futura.

caption: Janez Potocnik durante la ronda di domande e risposte

I contenuti della conferenza

Dopo una presentazione generale sulla struttura, scopi e traiettoria dell’IRP, il relatore ha presentato molto schiettamente  “la scomoda verità”  che  banchieri, politici e grandi multinazionali si ostinano a non voler vedere: non basta un Pianeta per assicurare il benessere di una popolazione, che cresce a ritmi inimmaginabili: eravamo 7 miliardi nel 2011 e saremo 8 miliardi nel 2024. La figura 1, basata su delle indagini dell’ IRP, è molto eloquente: nessun Paese al mondo si trova attualmente nella fascia di sostenibilità compatibile con il concetto di benessere sociale (rettangolo verde in basso a destra).

In particolare, i paesi membri dell’UE  si trovano tutti nell’area di massima insostenibilità. La Cina invece, ha superato di poco la linea di equilibrio fra consumo e disponibilità delle risorse, ma con un tenore di vita di poco superiore ad altri paesi sottosviluppati. 

caption: il problema fondamentale dello sviluppo umano, domanda di risorse superiore alla disponibilità del Pianeta.

La causa del problema risiede in un fatto culturale, che è necessario cambiare al più presto: “L’economia (tale come la si intende attualmente) ignora le leggi fisiche”.  Sorprende una tale affermazione in bocca di un economista ed ex-politico, ma secondo il dott. Potocnik il passaggio da un sistema produttivo ancorato nei vecchi paradigmi della rivoluzione industriale ad un mondo di economia circolare  è una questione di sopravvivenza della specie. Siamo abituati a vedere l’economia circolare rappresentata simbolicamente come un cerchio, ma secondo il relatore tale approccio è troppo semplicistico e riduttivo. Un sistema produttivo davvero sostenibile si rappresenta meglio con il cosiddetto “diagramma a farfalla” mostrato nella figura 2.

caption: il diagramma a farfalla dell’economia circolare, caratterizzato da diversi cerchi (le  ali della farfalla) e un pozzo finale (la coda della farfalla) nel quale converge tutto ciò che non può essere riutilizzato o valorizzato in qualche modo.

In particolare, è  importante sottolineare come le posizioni di alcuni gruppi politici ecologistici siano ugualmente irreali a quelle dei liberisti estremi , in quanto è fisicamente  impossibile raggiungere la condizione “RIFIUTI ZERO”. Anche questa è una legge della fisica, estensione del principio termodinamico dell’entropia. Lo scopo della scienza e della tecnologia è minimizzare -per quanto possibile- i rifiuti, intesi come rifiuti materiali o energia irrecuperabile.  Molto interessanti ed attuali i due esempi di economia circolare ed economia lineare, già in atto nell’industria europea, presentati dal relatore. Nel primo caso, la testata dei motori a scoppio: ad esempio, alcune case automobilistiche già progettano motori in modo che alcune loro parti critiche -non soggette ad usura- possano essere riutilizzate. Utilizzare  una testata recuperata da un vecchio motore, per ri-fabbricarne uno nuovo, comporta economie quasi miracolose, rispetto a fabbricare un motore ex novo con le stesse prestazioni, ossia riduzioni: del 50% di emissioni di CO2, del 90% nel consumo di acqua e dell’ 80% di energia. L’esempio contrario ovvero economia lineare: l’industria più insostenibile attualmente è quella dei telefonini: la popolazione europea cambia dispositivo spesso, circa una volta ogni 6 mesi , fino ad un massimo di una volta ogni 3 anni, ma  solo il 10% dei telefonini dismessi viene riciclato, mentre il resto rimane in qualche cassetto, in quanto in molti casi è ancora funzionante. Si stima che nei cassetti delle abitazioni europee ci sia un tesoretto pari a 2,4 tonnellate di oro, 25 tonnellate di argento, 1 tonnellata di palladio, 900 tonnellate di rame, e quantità non facilmente stimabili di lantanidi, materiali estremamente rari che l’UE importa per oltre il 90% (si legga in proposito l’articolo “La guerra dei lantanidi“).

Conclusioni

La conferenza si è conclusa con un animato dibattito grazie alle numerose domande da parte del pubblico. Nelle parole della d.ssa Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell’Istituto:  “Le attività dell’ OGS, da sempre rivolte alla salvaguardia e alla valorizzazione delle risorse naturali , promuovono progetti internazionali di ricerca in questo settore. E l’uso sostenibile delle risorse naturali è una delle priorità a cui fanno riferimento sia le politiche europee che le nuove strategie economiche per lo sviluppo”.

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Clean Power Plan: il grande piano di Obama per regolare le emissioni

L’EPA (diventato famoso in questi giorni per lo scandalo Volkswagen) ha rilasciato il testo finale del “Clean Power Plan”, il piano che regola per la prima volta le emissioni di carbonio delle centrali elettriche negli USA. Ed è più forte della bozza presentata nel Giugno del 2014.

Il Presidente Obama si dichiara soddisfatto ed ha motivo di esserlo date le dichiarazioni fatte dai gruppi ambientalisti e di sanità pubblica che lo hanno definito “una politica lungimirante che imposta la nostra nazione sul cammino dell’energia pulita”.

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Il Piano attua una vera e propria “guerra al carbone” e si pone l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica delle centrali elettriche del 32% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030, valore che è stato aumentato di ben due punti percentuali rispetto alla norma proposta un anno fa ma i suoi vantaggi non si fermano qui, verranno, infatti, incentivate le produzioni da fonti rinnovabili (in cui facciamo notare è inclusa anche l’energia nucleare). 

Ogni Stato sarà tenuto a presentare un proprio Piano per il rispetto delle regole entro il Giugno 2016, anche se può essere richiesta una proroga di un anno, fino al Giugno 2017. Inoltre i singoli Stati potranno creare un piano intestatale per collaborare insieme in sinergia con i confinanti con cui potranno anche scambiare crediti di emissione.

Uno dei primi effetti del Clean Power Plan sarà rapida decarbonizzazione della produzione di energia elettrica, incentivando la produzione da fonti rinnovabili e penalizzando quella che deriva dalla combustione del carbone. 

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Per la prima volta l’emissione di CO2 viene legata ad ogni MW prodotto dai singoli Stati, al fine di concedere maggiore flessibilità alle istituzioni che potrebbero tuttavia trasformare questo tasso in un obiettivo totale di tonnellaggio.

Inoltre la norma risolve una debolezza della proposta originaria che poteva portare a rinunciare al carbone fossile a favore del gas naturale il cui utilizzo ha degli impatti ancora più massicci sull’atmosfera del pianeta se calcolato nel suo intero ciclo di vita: dall’estrazione (metodi invasivi come il Fracking) all’immissione di metano in atmosfera durante la raffinazione e l’immissione in rete.

Oltre alla lotta diretta al cambiamento climatico questo piano avrà un notevole effetto sul sistema sanitario traducendosi in oltre 100.000 attacchi di asma e 2.100 infarti evitati solo nel primo anno di attuazione grazie alla diminuzione di combustione del carbone che inquina l’atmosfera con tossine quali mercurio e zolfo, responsabili di problemi neurologici e malattie respiratorie.

I Gruppi industriali e alcuni procuratori generali sono già sul piede di guerra e intendono sovvertire le nuove regole centrali tramite i loro avvocati e anche se il pacchetto è blindato sperano in un nuovo Presidente repubblicano in grado di indebolire gli effetti del piano.

Il destino spetterà quindi al successore di Obama con la speranza che faccia il bene di una nazione che è responsabile di gran parte dell’inquinamento globale.

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I pipistrelli urbani, bioindicatori dei ponti termici

Gli abitanti degli spazi urbani sono ormai poco abituati ad interagire con le specie animali, viste in genere più come molestie e vettori di malattie (zanzare, piccioni, passeri) che come componenti di un habitat, dotati di un ruolo ecologico a tutti gli effetti.  La mia vicenda cominciò con la difficile impresa di identificazione dell’intruso responsabile del deposito di escrementi, apparso sul mio poggiolo. Non essendo un biologo nè un veterinario pensai prima alle rondini, ma guardando in dettaglio le deposizioni, si intravedevano resti di ali di insetti mal digeriti. Eppure nessuna traccia di qualsivoglia pennuto. Piuttosto le tracce facevano pensare ad un animale simile ad un topo. Ma nessun roditore, per quanto ardito ed affamato potrebbe arrampicarsi in un muro liscio e perfettamente verticale fino ad un altezza di circa 7 metri. Il sospetto cadde dunque sui pipistrelli.

SERPENTI E RINNOVABILI: UN RETTILE ISPIRA NUOVE TURBINE EOLICHE

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Dove mai potrebbe rifugiarsi un mammifero volante in un terrazzo disadorno e privo di alcuna cavità consona alla sua natura? Sapendo che i pipistrelli prediligono spazi angusti, l’occhio si è focalizzato  su una fenditura di circa 3 cm fra il parapetto del poggiolo del vicino al piano superiore e la parete. Un ottimo riparo, sotto grondaia, inaccessibile ai predatori e… con “riscaldamento a parete” grazie alle inevitabili dispersioni di calore dei ponti termici, ed al calore solare accumulato durante il giorno, in quanto esposto a sud ovest.  Facendo attenzione era possibile distinguere una sagoma scura che a momenti sembrava muoversi, poteva essere anche un uccellino intrappolato, ma mi sembrava di intravvedere due orecchiette appuntite.  Per uscire dal dubbio, niente meglio che scattare una termografia. Grazie al sito dell’associazione di soccorso della fauna ho potuto capire che la temperatura corporea del pipistrello, come in tutti i mammiferi,  si aggira attorno ai 36 ºC, ma con una peculiarità: mentre dorme, la sua temperatura scende fino a 15-20 ºC, e durante il letargo invernale può raggiungere anche i 2 ºC. In questo modo l’animale risparmia energia, fondamentale per sopravvivere con una frugale dieta di qualche grammo di proteina al giorno, faticosamente ottenuta con otto ore di volo acrobatico.

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Foto 1: il punto rosso indica una temperatura di 28 ºC, segno inequivoco di attività biologica in corso (la termografia è stata scattata all’alba quando probabilmente l’animaletto era appena tornato dalla battuta di caccia e iniziava ad addormentarsi). Al crepuscolo fu possibile comprovare che in realtà si trattava di  tre esemplari. I compagni si sono svegliati, puliti meticolosamente e uno alla volta si sono librati in volo per la consueta battuta di caccia.

Pipistrelli: fauna specialmente protetta

Per coloro volessero approfondire lo studio di questi teneri animaletti, suggerisco il sito della Onlus Tutela Pipistrelli, dove troviamo un elenco di tutte le normative applicabili, nazionali e comunitarie. Risulta che la chirotterofauna italiana (cioè i pipistrelli, gli unici mammiferi in grado di compiere volo attivo) è tutelata dal 1939 con una legge che, già allora, ne impediva l’uccisione e la detenzione. I chirotteri, infatti, vengono considerati “bene indisponibile dello Stato” per cui nessuno può detenere, comprare o vendere pipistrelli, è vietato cacciarli e ucciderli.

I pipistrelli non si possono dunque prendere e piazzare in un luogo, loro scelgono liberamente i luoghi più confortevoli. Per la loro utilità ecologica, nel divorare importanti quantità di zanzare e altri insetti molesti, sono perciò considerati “fauna specialmente protetta”, ma è consentito offrire loro un riparo affinché nidifichino vicini a noi. Attualmente sono minacciati dal largo impiego di pesticidi dovuto all’ agricoltura “moderna”, e alla deforestazione crescente, ma la loro estrema adattabilità li ha portati a colonizzare gli ambienti urbani,  quindi noi tutti possiamo contribuire alla loro tutela.

Bat box: le casette per pipistrelli

In Svezia, uno dei 38 parametri per avere punteggio sufficiente per poter costruire nel quartiere ecologico di Vestra Hamnen a Malmö era precisamente includere cassette per pipistrelli nei progetti. Dal 2009 anche in Italia assistiamo ad una crescente sensibilizzazione delle persone nei confronti di questi animaletti, vittime in passato dell’ignoranza e le superstizioni, grazie ad un progetto dei ricercatori del Museo di Storia Naturale di Firenze per promuovere  l’installazione di bat box, cioè cassette speciali per pipistrelli. Disegnate in modo adeguato le casette possono offrire un ottimo ed invitante rifugio per aiutare le colonie  di pipistrelli a procreare e svernare in un ambiente antropizzato. A differenza dei nidi per uccelli, che consentono agli amanti del “fai da te” di sbizzarrirsi con varietà di forme e colori, le cassette per pipistrelli devono rispondere a certe caratteristiche dimensionali e costruttive che le rendano adatte ai particolari requisiti biologici dei chirotteri. Esistono due tipologie di bat box, quelle per pipistrelli arboricoli e quelle per pipistrelli “urbani”. La bat box più semplice è quella proposta dalla LIPU.  La cassetta per pipistrelli  progettata e raccomandata dal gruppo di chirotterologi del Museo Storia Naturale di Firenze  è adatta alla maggior parte delle specie italiane “antropofile”. I disegni costruttivi si possono scaricare dal sito. Quelli più pigri o poco propensi ai lavori in legno la possono acquistare per pochi euro nei supermercati Coop, i quali aderiscono al Progetto Bat Box, promosso dall’Università di Firenze, e contribuiscono in questo modo a finanziare la ricerca su questi affascinanti animaletti. Nel sito della Onlus Tutela Pipistrelli, invece, troviamo preziosi consigli su come installare correttamente la bat box, in quanto è necessario che si trovi ad almeno 4 m dal suolo, e lontana da alberi o pareti, perché i pipistrelli cercano sempre luoghi protetti dai loro potenziali predatori.

La bat box, anche se costruita e posizionata a regola d’arte, non necessariamente verrà subito colonizzata dai pipistrelli, poiché sono animali gregari e cambiano la loro dimora a seconda delle stagioni. Il seguente video illustra la sociabilità dei pipistrelli  con un semplice esperimento: due bat box uguali  vennero installate una accanto l’altra: la prima segnò il record di pipistrelli in un’unica bat box, con ben 86 esemplari, mentre la seconda rimase vuota tutto il tempo, forse per “l’odore da nuovo”.

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Dal 2009 le bat box installate in Italia sono migliaia, ed i dati forniti ai ricercatori dai tanti amatori aiutano a capire quali siano le abitudini dei pipistrelli.  Per esempio, otto  bat box installate in un posto apparentemente idoneo come il torrino del Museo di Science Naturali di Firenze, rimasero vuote per 3 anni prima di essere tutte colonizzate dai chirotteri. Per noi tecnici , abituati a vagliare schede di prodotti per l’edilizia, il video del prof. Paolo Agnelli fornisce uno spunto che forse è sfuggito agli zoologi: i pipistrelli sembrano non gradire i VOC (composti organici volatili). Infatti, sembra che preferiscano occupare i nidi che hanno perso “l’odore da nuovo”, tipico di  una cassetta in legno laminato come quella proposta dai ricercatori e commercializzata dalla Coop,  le cui colle, inevitabilmente emetteranno della formaldeide. Le bat box ideali forse risulteranno più attraenti per i chirotteri se realizzate in legno massello non trattato, o con pannelli di legno agglomerato con cemento o masonite, e piazzate in corrispondenza di qualche ponte termico. Nel siti web summenzionati sarà poi  possibile segnalare ai ricercatori se le casette da noi realizzate vengono colonizzate in poco tempo o meno. 

Con un po’ di fortuna anche uno squallido condominio potrà diventare più ecosostenibile ospitando qualche bat box, preferibilmente sulle facciate esposte a sud ovest.

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Decorare casa in modo eco-friendly: fiori, piante ed elementi di riciclo

Oltre a scegliere i materiali giusti per le finiture, che non contengano sostanze tossiche e siano quanto più possibili naturali, e a selezionare con cura l’arredamento in modo che rispetti gli stessi criteri, si può migliorare la propria casa anche decorandola in modo eco-friendly. Vi proponiamo quindi delle alternative per decorare utilizzando fiori, piante e vari elementi di riciclo.

Decorare con fiori e piante

Piante e fiori sono la scelta più tradizionale per arredare. Scegliendo un vaso di fiori o una bella piantina da sistemare in qualsiasi ambiente della casa, è difficile sbagliare! Donano colore, rilassano e calmano. Esistono anche alcune piante dalle proprietà antinquinanti, in grado di purificare l’aria e altre che assorbono il proprio nutrimento dall’umidità dell’aria. Ma come inserirle nelle nostre case in maniera decorativa ed originale, andando oltre il solito vaso? Le alternative sono diverse ma ve ne proponiamo due che ci piacciono particolarmente: i mini terrari ricavati dal riciclo delle vecchie lampadine e i giardini sospesi.

  • I mini terrari – Da settembre 2014, quando le lampadine a incandescenza sono state bannate dall’Unione Europea, gli amanti del fai-da-te si sono ingegnati per dare loro una seconda vita. Una delle possibilità di riuso delle vecchie lampadine è quella di trasformarle in piccoli terrari realizzati semplicemente eliminando i filamenti dall’interno della lampadina e riempendola con della terra e delle piantine a piacere. Decorano la casa condiscrezione ed originalità. Da provare! Qui un tutorial su come realizzarne di bellissimi.

riciclo lampadine realizzare un mini terrario

  • Giardini sospesi – I giardini sospesi sono un altro sistema originale per decorare con le piante. Si possono utilizzare delle semplici ampolle di vetro riempite con terra e semi da avvolgere a corde intrecciate per appenderle in diversi angoli della casa. Anche i classici vasi in ceramica, dipinti o decorati a piacere e riempiti con delle piantine possono essere sospesi piuttosto che appoggiati tipicamente a terra. Lo si può fare con corde colorate o intrecci macramé. Gli stessi mini terrari, oltre che essere poggiati su una superficie orizzontale, possono essere sospesi appendendoli ai mobili o al soffitto.

Decorare con elementi di riciclo

Le possibilità di decorare con elementi di riciclo sono infinite. Abbiamo recentemente parlato del riciclo di porte e finestre, che può dar luogo a tantissime soluzioni in grado di migliorare la propria casa. E’ il caso di porte riverniciate utilizzate come pannelli a cui appendere oggetti o levigate e trasformate nel ripiano di scrivanie.

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Anche i pallet, i bancali utilizzati per il trasporto merci, diffusi in ambito mercantile, possono essere utilizzati in diversi modi per decorare la propria casa. Pochi materiali donano alle case lo stesso calore in grado di trasmettere il legno. Le sue superfici naturali, levigate o meno, rendono ogni ambiente più accogliente, confortevole. Usati all’interno o all’esterno, per esempio per creare un orto verticale, i pallet sono così versatili da essere il miglior alleato di ogni appassionato di fai-da-te.

Questi sono solo due esempi perché le possibilità di utilizzare elementi di riciclo sono tantissime, tocca a voi liberare la fantasia per scoprirle tutte!

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Paesi abbandonati in Italia: dove la natura riprende i suoi spazi

Paesaggi fantasma, paesi abbandonati, ruderi di una quotidianità interrotta. L’uomo con le sue città e le sue attività tende ad invadere sempre più il terreno naturale, occupando talvolta spazi che da sempre sono stati destinati a boschi e campagne. Stiamo parlando di confini urbani sempre più al limite delle campagne, di strade montane o costiere, di residenze e strutture ricettive in paesaggi poco urbanizzati e di interi centri abitati che si spingono vicino al mare o alle pendici dei monti, forse un po’ troppo vicino. 

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Tale modalità costruttiva e di occupazione del suolo ha talvolta portato a distruzioni di interi paesi e tragedie anche di grandi proporzioni, dovute a frane, allagamenti o altri eventi naturali incontrollabili.

È la natura che riprende i suoi spazi. I movimenti della natura, il suo impadronirsi di spazi prima urbanizzati non è sempre sinonimo di disastro: talvolta è un processo molto utile alla rigenerazione del paesaggio.

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Dopo un grave incendio boschivo ad esempio, di cui il nostro territorio soffre specialmente nelle regioni meridionali, la foresta viene profondamente danneggiata e con essa tutto l’ecosistema di fauna e flora. La natura non si ferma e fa ricrescere i primi alberi dopo una decina di anni. Un ritorno alla situazione di partenza invece è più lento e può richiedere anche periodi di tempo che si aggirano intorno al secolo. Se invece consideriamo il ritorno del bosco in zone prima rese pastorali o agricole i tempi si accorciano di molto.

Dopo 5-10 anni i campi e i sentieri nelle aree aperte vengono invasi dalle erbacce e parzialmente nascosti. Nei successivi 10 anni le strade sterrate diventano inutilizzabili, le radure e le aree aperte si riempiono di arbusti che rendono irriconoscibili i campi una volta coltivati. Trascorsi circa 50 anni dall’abbandono del territorio da parte dell’uomo il bosco è cresciuto e non restano che poche tracce del passaggio umano.

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I PAESI ABBANDONATI IN ITALIA

Nel corso della storia sono numerosi i casi di villaggi o intere città abbandonate dall’uomo che per le ragioni più varie si è spostato in altri luoghi a lui più congeniali. Storicamente noto è il caso di Pompei, abbandonata definitivamente dopo l’eruzione disastrosa che ha subito in epoca antica.

Molti però sono anche i casi di paesi abbandonati recentemente.

È il caso per esempio di Roscigno Vecchia, nel Cilento, fatta sgomberare agli inizi del novecento per la minaccia di una frana, oppure Pentedattilo in Aspromonte che ha visto iniziare l’abbandono alla fine del Settecento dopo un terremoto e che ora è un paese fantasma. Consideriamo ancora l’esempio di Resia, in Val Venosta, che ancora oggi vede riaffiorare dalle acque dell’omonimo lago il campanile del vecchio borgo.

In tutti questi luoghi un tempo abitati, la natura lentamente riprende possesso del territorio.

Dopo l’abbandono, il deperimento delle abitazioni è evidente: in qualche decina di anni cominciano a cedere, a partire dai tetti. Dopo un secolo le costruzioni umane, anche se un tempo solide e robuste, spesso rovinano al suolo e negli anni seguenti restano solamente i muri più imponenti o le costruzioni più resistenti come le opere di sostegno o i terrazzamenti, che hanno inciso in maggior modo sul territorio.

La natura quindi, prima o poi, riprende possesso dei propri luoghi, cancellando il passaggio umano.

Questo non deve essere una buona scusa per costruire ovunque e senza pensare alle conseguenze delle proprie opere che talvolta, come visto, possono portare a disastri naturali.

Anche la normativa italiana tenta di arginare i fenomeni di abusi edilizi in zone marine o montane ma anche di frenare pratiche come l’incendio doloso per speculazioni edilizie. Si cita a questo proposito la legge 428/1993 che vieta qualsiasi costruzione in zone boschive danneggiate da incendio e la loro conversione in aree a destinazione diversa da quella precedente l’evento.

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La serra verticale dell’Expo di Milano

L’ENEA, Agenzia per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, il 10 luglio ha inaugurato all’Expo di Milano una Vertical Farm, una serra verticale ecosostenibile alta quasi cinque metri in cui si riproduce l’agricoltura del futuro, in altre parole: pesticidi zero, km zero e consumo di suolo zero.

VERTICAL FARM: TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE

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LA TECNICA IDROPONICA

La lattuga e il basilico, qui coltivati su dodici livelli, di un metro quadro ciascuno, secondo la tecnica della coltura idroponica (zolle di torba pressata e immerse totalmente in acqua con soluzioni nutritive a riciclo continuo), forniscono una produzione praticamente doppia rispetto alle colture tradizionali, passando da sei a quattordici cicli di raccolta all’anno per ogni livello e ottenendo un risparmio del 95% di acqua; solo due litri per un chilo di lattuga contro i tradizionali 40-45 litri!

Zero sprechi, zero rumori

A Expo, ogni tre settimane, si producono cinquecento piante di ottima qualità senza aver bisogno di grosse quantità di concime. La coltivazione a ciclo chiuso permette di non avere sprechi e di non produrre scarti o rifiuti, evitando sostanze inquinanti come pesticidi o fitofarmaci. La serra, in materiale multistrato su piani sovrapposti, è un prototipo di 3 x 3 x 4,5 metri di altezza, replicabile a livello industriale e non produce nemmeno rumori molesti, tranne un leggero ronzio. L’ambiente è chiuso da vetrate ed è completamente sterile, non entrano insetti e parassiti, perciò la qualità dei prodotti è eccellente.

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I led per la fotosintesi

Le piante crescono anche grazie all’uso di un sistema d’illuminazione artificiale a LED, altamente efficienti e a basso consumo. Le lampade a led a luce fredda, nelle colorazioni blu e rosse, sono in funzione per tutta la giornata e rappresentano il modo ideale per riprodurre le condizioni necessarie alla fotosintesi clorofilliana; l’anidride carbonica emessa è riassorbita dalle piante durante la notte quando i led sono spenti. I consumi energetici sono comunque elevati ma facilmente risolvibili con biomasse prodotte con il riciclo dei rifiuti urbani o utilizzo di energia da fonti rinnovabili.

La fertirrigazione

Ogni ora si attiva un ciclo d’irrigazione detto “a flusso e riflusso”, che eroga l’acqua per l’allagamento dei bancali, consentendo alle radici delle piante di assorbirla. Questo tipo d’impianto computerizzato si compone di un fertirrigatore, cioè un’unità di miscelazione che integra nell’acqua la quantità necessaria di sostanze nutritive e controlla periodicamente il PH e la salinità della soluzione.

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Tecnologia robotizzata

Il sistema è interamente robotizzato e la presenza dell’uomo è richiesta al minimo. Nella Vertical Farm di Expo il robot non è stato previsto, perciò ogni tre settimane un agronomo si preoccupa della produzione, della raccolta e del ricambio delle piante. Anche la climatizzazione è ottimizzata attraverso un impianto che verifica costantemente temperatura e umidità e tutto è collegato a un computer di controllo, anche per eventuali anomalie o blackout.

Il maggior vantaggio di queste tecnologie è poter produrre in paesi con caratteristiche climatiche molto diverse fra loro, essere un fondamentale contributo dove esistono problemi di scarsità d’acqua e di materie e abbattere i costi di trasporto.

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“Salviamo le coste italiane”: il dossier di Legambiente

Legambiente ha pubblicato nel mese di Agosto il dossier Salviamo le coste italiane che contribuisce a fotografare lo stato attuale del paesaggio costiero del territorio italiano. Il dossier fa seguito ad una serie di studi, condotti nel merito della campagna “Mare monstrum”, volti a identificare e quantificare le situazioni di maggiore criticità nelle diverse regioni, dovute alla eccessiva urbanizzazione.

SALVARE LE COSTE: I DANNI DI ABUSIVISMO

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QUADRO NORMATIVO

L’occasione per cui Legambiente ha sviluppato questo nuovo Dossier 2015 è stata l’approvazione della Legge Madia del 4 Agosto.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede ad oggi che per costruire in zona costiera sia necessario ottenere una autorizzazione di carattere paesaggistico dalla Soprintendenza e non solo una autorizzazione del Comune di pertinenza. Con questa nuova riforma, trascorsi 90 giorni dalla richiesta di autorizzazione, senza risposta della Soprintendenza, scatta il silenzio assenso e la costruzione può essere messa in cantiere.

Se da un lato probabilmente la legge è volta a ridurre i tempi burocratici generalmente lunghi e a far smuovere gli uffici competenti, dall’altro rischia di portare ad una serie di autorizzazioni concesse a veri e propri ecomostri, solo per ritardi nella pubblica amministrazione.

In merito, il vicepresidente di Legambiente Zanchini dichiara: “Occorre cambiare le regole di tutela, che si sono rivelate del tutto inadeguate a salvaguardare i paesaggi costieri dalla pressione edilizia, e istituire un sistema di controlli adeguati e di condivisione delle informazione tra i Ministeri dei beni culturali e dell’ambiente, Regioni e Soprintendenze, Comuni e forze di polizia. Occorre poi completare la pianificazione paesaggistica, perché oggi solo Puglia, Sardegna e Toscana lo hanno fatto introducendo chiare indicazioni di tutela, attraverso un’intesa con il Ministero dei Beni culturali”.

LO STATO ATTUALE DELLE COSTE

Legambiente ha analizzato i processi di costruzione, legali o meno, nelle diverse regioni italiane e ha valutato come ci sia stato negli ultimi decenni un notevole aumento percentuale del suolo costiero occupato. La tabella riporta gli aumenti percentuali.

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Un caso emblematico è la Liguria dove su un totale di 345 km di il 65% del totale è stato modificato da interventi edilizi, specialmente riguardanti strutture legate alle attività portuali.

Nel Lazio risulta occupato il 63% della costa, di cui il 20% è stato urbanizzato dopo l’entrata in vigore della Legge Galasso. La maggior parte delle costruzioni sono residenze turistiche e seconde case.

Segue la Toscana con il 44% di suolo costiero occupato. Solo il 15% del suolo costiero totale risulta oggetto di tutela ambientale.

Situazione analoga in Abruzzo e Calabria, dove più della metà del suolo costiero è occupato da abitazioni di carattere temporaneo e turistico, la maggior parte abusive nel caso della Calabria.

In Abruzzo tali costruzioni costituiscono una vera e propria barriera tra il mare e il territorio circostante, impedendo la vista, l’accesso e la normale modalità di utilizzo delle coste.

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GLI OBIETTIVI DEL DOSSIER “SALVIAMO LE COSTE ITALIANE”

Nel Dossier recentemente pubblicato Legambiente pone alcuni obiettivi necessari per la salvaguardia del patrimonio costiero italiano.

Il primo obiettivo è una maggior tutela a livello normativo, come già accennato in precedenza.

Ulteriore passo è la riqualificazione della costa, ovvero la messa in opera di interventi concreti per migliorare, ove ormai non compromesso, il territorio.

Ripensare l’offerta turistica, adeguare le strutture spesso costruite senza attenzioni estetiche o qualitative, eliminare le strutture abusive, pianificare la mobilità di accesso alla costa sono tutti interventi necessari per tutelare il patrimonio costiero che è identitario del nostro paese.

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La stampante 3D da cui nascono piante

L’inchiostro è un miscuglio di fango, semi e acqua ed è in grado di imitare qualsiasi forma: dalla stampante 3d il composto organico s’inverdisce e produce nuova vita. Il progetto PrintGREEN nato nell’università di Maribor in Slovenia, sostituisce il vecchio motto “Think before you print” (Pensa prima di stampare) con “Print, because is green” (Stampa, perché è verde) mettendo insieme la creatività dei designer, la tecnologia 3d e l’amore per la natura.

STAMPA 3D CON ARGILLA E MATERIALI NATURALI

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I designer si trasformano in giardinieri del terzo millennio sostituendo al gesso e resine (inchiostri in continua evoluzione utilizzati per le stampanti 3d) un composto organico per oggetti viventi vegetali.  Le stampe sono definite al computer per forma e dimensione, si inumidiscono e diventano prati personalizzati.   

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Il progetto è una logica applicazione industriale dei bellissimi graffiti ecologici (moss graffiti) realizzati con il muschio, polvere di gesso, latte e altri materiali naturali da utilizzare per installazioni artistiche e  “pubblicità sostenibili.

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Inoltre gli oggetti creati dalla tecnologia 3d perdureranno oltre la moda e sperimentazione perché contengono principio e semi di vita. Basti pensare a prototipi, modellini architettonici (stupendi per i tetti giardino!) e arredi realizzati con questa tecnologia, in cui perso l’entusiasmo e motivazione originale invece di essere buttati via potranno portare verde in città.

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Concepito dagli studenti Maja Petek, Tina Zidanšek, Urška Skaza, Danica Rženičnik e Simon Tržan con la supervisione del professore Dušan Zidar, PrintGREEN ( in sloveno “Tiskaj Zeleno”) funziona con un portatile collegato alla stampante che rilascia, strato dopo strato, il composto marrone su un piatto. Gli oggetti tridimensionali realizzati per ora dal team sono testi, loghi verdi, vasi, riproduzioni di città e volti.

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Il team ha modificato la stampante CNC che eroga l’ “inchiostro organico” lungo l’asse z, incorporando nello strato ultimo i semi che germoglieranno. Verdi di stampa i nostri giardini portatili potranno facilmente seguire pattern arzigogolati, sensibilizzare aziende e privati ai temi ambientali e spostare le nuove tecnologie 3d verso materiali naturali e organici.

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Sunroof: il Google Maps per il fotovoltaico

Il 20% dell’energia globalmente prodotta, deriva da fonti rinnovabili. L’insieme di energia elettrica prodotta tramite la conversione della radiazione solare, fortunatamente, è una quantità costituita da una variabile che raddoppia il suo valore ogni due anni. Con Sunroof, un software lanciato da Google disponibile per ora sono negli USA, sarà possibile calcolare l’energia prodotta con il fotovoltaico dai tetti delle nostre case.

ENERGYCITY, IL SOFTWARE PER LA MAPPATURA TERMICA D’EUROPA

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Fonti governative (U.S. Energy Information Administration) prevedono che in trent’anni il consumo mondiale di energia aumenterà del 56%. La Cina e l’India si trovano a dover soddisfare da sole il fabbisogno energetico di oltre settecento milioni di coltivatori (circa il doppio di quelli che conta l’intera Unione Europea). Inoltre, circa 1,6 miliardi di persone, che abitano nei paesi emergenti, non sono ancora connesse ad una rete elettrica. Ciò fa presumere che entro il 2050 la richiesta mondiale di energia sarà più che raddoppiata, triplicandosi entro la fine del secolo.

In un mondo che preferisce investire sulle fonti energetiche non rinnovabili e sui combustibili fossili, e dove la sola quantità di energia solare che riesce a raggiungere la superficie terrestre in un’ora, equivale al consumo energetico di un anno dell’intero pianeta, Google lancia il progetto Sunroof.

Con il nuovo servizio di Sunroof, l’imponente società americana, vuole offrire alcuni dati e suggestioni, per contribuire alla riduzione del consumo di energia prodotta tramite combustibili fossili, mostrando i vantaggi di un’ipotetica installazione di pannelli solari fotovoltaici sui tetti delle nostre case.

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Grazie al suo database di mappe aeree, Sunroof, la nuova piattaforma di Google riesce a stimare la quantità di luce solare che ricevono le coperture degli edifici, tenendo conto dei parametri più elementari come l’inclinazione delle falde, le ostruzioni naturali (montagne, colline…) o quelle prodotte da elementi limitrofi come alberi, camini o edifici. Tutto questo per restituire una serie di dati utili a calcolare la quantità di pannelli solari necessari per avere un buon risparmio in bolletta. Alla fine del calcolo, il web-software mette in contatto l’utente con alcuni installatori di impianti fotovoltaici locali, in modo da riuscire a costruire, partendo da questo risultato preliminare, un modello tecnologicamente ed economicamente valido realizzato da esperti del settore. Google non è una società che vanta di un proprio mercato “solare” e non è molto chiaro come il software riesca a restituire valori legati ai prezzi di installazione o alla quota di risparmio in bolletta.

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Il progetto Sunroof per ora è disponibile solo in alcuni centri urbani (Boston, San Francisco e Fresno) ma l’idea, come si può capire dalla fine del video riportato qui sotto, è quella di estendere il servizio a tutte le città americane e “forse” in un prossimo futuro, in tutto il mondo. I paesi fuori dagli USA, dovranno aspettare di più per godersi questo nuovo strumento di analisi.

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Con aggiornamenti e miglioramenti adeguati, Sunroof potrebbe rivelarsi un’ottima piattaforma per studi e concezioni preliminari. Questo strumento però, non scoraggerà sicuramente la maggior parte dei professionisti, che a seguito di un accurato modello tridimensionale e ad un successivo studio “ambientale” su Ecotect, riusciranno a fornire ai vari committenti un insieme di dati utili all’installazione di sistemi solari sia attivi che passivi.

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Smart City e Social networks: di cosa si parla in rete?

Sui social networks si parla sempre di più di “smart city“. I social sono capaci di offrire una piazza di discussione molto ampia e sui vari Facebook, Twitter, Pinterest… intervenire è consentito ad un pubblico sempre più vasto. 

SMART CITY IN ITALIA: QUALI SONO LE CITTÀ PIÙ INTELLIGENTI?

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SOCIAL E SMART CITY

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Con uno studio condotto utilizzando gli strumenti di analisi della WelikeCRM, amcservices ha evidenziato 4 domande per capire come viene trattato il tema dagli utenti della rete e come questo sistema possa essere funzionale alla crescita delle smart cities, in relazione soprattutto ai cittadini, utenti primari del servizio.

  1. Cos’è per gli utenti italiani del web e dei social network una città smart?
  2. Cosa li incuriosisce quando si parla di città intelligente?
  3. Chi parla di smart cities in Italia e da quali zone del nostro paese?
  4. A quali argomenti a quali tematiche sono maggiormente interessati?

Quello che di importante emerge da questo studio non è tanto capire che idea hanno i cittadini sulla smart city, che spazia tra i concetti di sostenibilità, digitalizzazione condivisione ed inclusione sociale, ma quali sono i temi più sentiti, capaci di creare interesse e permettere quindi di affrontare l’argomento in maniera strutturata. Capire di cosa parlano le persone quando pensano al tema smart city diventa quindi fondamentale per la pubblica amministrazione e per le altre aziende per sapersi porre in modo corretto sul mercato, creando servizi che sono il risultato delle opinioni dei cittadini in qualità di utenti finali.

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A tale scopo sono state selezionate delle figure chiave capaci di influenzare ed individuare degli ambiti di interesse per creare e sviluppare una sempre più viva partecipazione attiva da parte dei cittadini. Gli influencers o influenzatori sono persone capaci di influenzare i pensieri e le decisioni delle persone grazie a commenti, articoli e opinioni che godono di una considerazione piuttosto alta. Non esiste un profilo specifico, la natura degli influencer può essere di vario tipo ed ognuno di essi è capace di imporsi in modo forte in base alle proprie peculiarità: si passa dalla celebrità, che viene seguita da milioni di persone per la sua fama, all’autorità, che esprime un parere molto forte e considerato autorevole, e ancora all’attivista, in grado di creare veri e propri movimenti. La funzione degli influencer risulta essenziale per promuovere azioni di comunicazione e politica sociale che mira ad arricchire non solo la pubblica amministrazione, ma anche quelle imprese che operano nei settori chiave dello sviluppo e della gestione delle smart cities.

A partire dai sei temi portanti individuati della commissione europea (economy, living, environment, mobility, people, governance) ecco come gli influencer attirano l’interesse dei cittadini:    

  • Ecologia 39%
  • Cultura 38%
  • Educazione 6%
  • Government 5%
  • Anziani 6%
  • Altro 6% 

È chiaro come i temi dell’ecologia e della cultura riescano a coinvolgere e ad interessare un maggior numero di persone rispetto ad altri e questo perché spesso si è parlato di smart city e di sostenibilità solo passando attraverso un’idea di rispetto dell’ambiente. Diventa quindi sempre più necessario sfruttare la figura dell’influencer per mettere in gioco tutte le tematiche importanti per lo sviluppo di un nuovo modello di città intelligente e rendere i cittadini consapevoli degli elementi che compongono un panorama il più completo possibile.

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La decrescita felice che impaurisce i governi

Cresce la  decrescita, racconta Serge Latouche, l’economista e filosofo francese che negli ultimi 10 anni ha fatto sì che il termine “decrescita” diventasse uno slogan fortemente critico e analitico nei confronti di alcuni fenomeni contemporanei. Eppure c’è ancora chi, come i nostri governanti, ne teme gli esiti. 

LA DECRESCITA FELICE NON È UNA BUFALA

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“La globalizzazione è mercificazione. Il libero scambio è come la libera volpe nel libero pollaio“, ha dichiarato Latouche.

Nel corso del festival della sostenibilità “Borgofuturo”, tenutosi a fine Luglio presso Ripe San Ginesio (MC), Latouche ha sviscerato le sue teorie circa i grandi temi attuali: dalla crisi economica a quella ambientale, dall’accordo di libero scambio fra Unione Europea e Stati Uniti e tanto altro. Perfino il significato dell’EXPO 2015 è stato approfondito: l’evento – secondo Latouche ma anche sentiti sociologi ed economisti del settore del cibo e di quelli affini – è una vetrina per le multinazionali che poco lascia alla visibilità e al progresso dei piccoli produttori.

Secondo Latouche è necessario che la tecnologia resti “uno strumento svincolato dalle logiche di mercato. Finché a finanziare la tecnologia saranno le grandi imprese multinazionali essa non potrà che rispondere ad esigenze diverse da quelle del progresso sostenibile di una società. L’evoluzione tecnologica può aiutare ad affrontare dei problemi, ma i grandi problemi di oggi sono di natura sociale, che nessuna tecnologia può risolvere”.

Non è ben visto dalla classe dirigente, ma a sorpresa, pare che Latouche abbia avuto dei riscontri positivi dal Pontefice circa le teorie sulla decrescita e questo è un segno di come le coscienze si stiano svegliando sul tema. In particolare è accaduto con l’enciclica di Papa Francesco ” Laudato Si”, nella quale ha incoraggiato a un cambio di modello, proponendo come soluzione proprio il movimento della decrescita.

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Un sistema economico per coltivare la felicità

Saper soddisfare i propri bisogni imparando a coltivare la felicità con quello che abbiamo a disposizione non è semplice vista la nostra mentalità prettamente concorrenziale. Come fare?

“Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati […]”. Come discendenti degli antichi greci, noi abbiamo ereditato il sistema economico modificatosi durante il periodo dei grandi filosofi ed evolutosi nel periodo medioevale, divenendo poi la base di quello capitalista moderno. Sembrerebbe che lo stesso Aristotele avesse capito che continuando a usare quel sistema capitalista (se pure ancora arcaico) si sarebbe distrutta la società. Non è del tutto impossibile impostare un nuovo sistema economico, ma occorrerà molto tempo.

La crisi dell’Architettura e dell’Urbanistica

Nell’ambito dell’urbanistica, la situazione sta sfuggendo di mano ad Architetti, Urbanisti, Paesaggisti e professionisti del settore, questo perché loro stessi – secondo Latouche – hanno cercato e cercano tutt’oggi di porre rimedio al degrado in cui versano i centri urbani e l’ambiente, con tentativi che si sono rivelati vani, essendone spesso essi stessi spesso la causa. È mancato è stata un’analisi globale sul fallimento dell’Architettura e la lucida consapevolezza di doversi mettere anche contro la politica per sconfiggere alcuni stereotipi che impediscono all’Architettura di essere fatta in maniera positiva.

Cos’è la città in decrescita

“La città decrescente dovrebbe essere una città con una impronta ecologica ridotta, trattenendo un rapporto forte con l’ecosistema [una bio-regione]. Piuttosto di sognare la costruzione di città nuove, bisognerà imparare ad abitare le città in modo diverso”.

realizzare questa città non è semplice, perchè occorre educare i cittadini e non imporre logiche pre-confezionate. Bisogna partire da zero per costruire una società autonoma di decrescita. Esistono dei presupposti e dei programmi fra cui quello noto come programma delle otto «R»: rivalutare, ridifinire, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Sono questi otto target tra loro collegati che attivano una decrescita serena, conviviale e sostenibile. Chiamarlo “programma” è già fin troppo avanzato: con le otto R siamo al livello di ideazione, ma è essenziale partire da qualcosa di ben studiato.

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La città in decrescita, opposta a quella capitalizzata che i governi ci impongono, non è quindi la metropoli.

“Invece delle megalopoli attuali, bisogna immaginare una città ecologica, fatta di villaggi urbani dove ciclisti e pedoni utilizzano un’energia rinnovabile. Nella città decrescente, gli abitanti ritroveranno cosi il piacere di gironzolare, come sognavano Baudelaire o Walter Benjamin. Riapprendere di abitare il mondo è quindi un imperativo”. Facile a dirsi, ma come risolvere il problema del sovraffollamento? Sicuramente preferendo il recupero dell’esistente alla continua edificazione, essendo il tessuto urbano già saturo di edilizia. Occorre pensare a recuperare i vuoti urbani abbandonati e non credere che le città verticali siano una soluzione al problema perché i grattacieli sono energivori e altamente insostenibili per il nostro pianeta, anche quelli pensati per funzionare con le logiche della Bioarchitettura, sia per i costi e i tempi di costruzione che per la manutenzione e la loro gestione che abbassano notevolmente il loro ecovalore presunto.

Presente e futuro delle città decrescenti

Mentre si attende – non si sa se invano – il cambiamento di rotta dei governi a scala mondiale verso un comportamento più improntato verso i modelli della decrescita felice, numerosi sono gli attori locali che hanno intrapreso la via della decrescita, in maniera consapevole e a volte anche inconsapevolmente ma riconoscendone poi i risultati positivi.  A titolo informativo possiamo menzionare la rete delle città lente (le cosiddette Slow cities), le città in transizione (le Transition towns, il cui modello di crescita è probabilmente quello che maggiormente si avvicina ai presupposti della decrescita ), le Città Post Carbone.

Tutti questi tipi di città cercano soluzioni in previsione dell’esaurimento di energie fossili. In altre parole ricercano la resilienza che altro non è che la capacità di adattamento al cambiamento, utile alla sopravvivenza in qualsiasi condizione.

La città decrescente, primo passo verso una società di parsimoniosa delle proprie risorse, preserverà l’ambiente che è alla la base di tutta la vita. Non secondari saranno gli aspetti di rafforzamento dei rapporti sociali dovuti ad una solidarietà crescente e un livello di occupazione in ricrescita.

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Accessori sostenibili per la scuola

Si torna a scuola, riprende per molti una routine fatta di compiti in classe, interrogazioni e assegni per casa, oltre ovviamente a socializzazione, amicizia, divertimento e, perché no, attenzione alla natura, anche in classe, come sempre.

Abbiamo selezionato qualche accessorio di design utile per le giornate di scuola, che accompagni in modo sostenibile bambini e ragazzi nella nuova avventura che stanno per intraprendere. Si tratta di accessori sostenibili per la scuola come quaderni, matite, astucci per le penne e altri prodotti di cancelleria realizzati con materiali naturali, utili per educare al rispetto della natura sin da piccoli.

MATITE E COLORI DA PIANTARE

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Sprout è una matita da disegno realizzata con legno, argilla, grafite. Contiene al suo interno dei semi biologici in modo tale che, una volta finita, la matita può essere piantata e, dopo essere stata innaffiata, germoglia. Si può scegliere tra una diversa varietà di essenze tra cui timo, pomodoro, basilico e salvia. 

Acquista la matita che germoglia

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Sprout è disponibile anche in versione colorata: non solo una matita da disegno ma anche belle matite per colorare, da piantare una volta finite. Ad ogni colore è associata una piantina: verde per il basilico, azzurro per il non ti scordar di me, giallo per la calendula. 

Acquista il set di colori che germogliano 

QUADERNI E TACCUINI RICICLATI

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Rhino è un quaderno in carta 100% riciclata e di qualità che non solo favorisce il riciclo della carta ma lotta anche contro la caccia di frodo dei rinoceronti. 30 anni fa c’erano 70 mila rinoceronti nel mondo. Oggi ci sono solo 18 mila esemplari. Con l’acquisto dei prodotti Rhino contribuisci alla raccolta fondi per l’organizzazione “Save the Rhino”, che si batte per la salvaguardia di questi animali. 

Acquista il quadernone Rhino 

Anche Sterik propone un oggetto alternativo (anche se non altrettanto eco). Si tratta di un diario Settembre 2015 – Agosto 2016 con copertina realizzata per il 93% da prodotti naturali. Peccato per l’interno, su cui, oltre alla presenza di 10 pagine “a sorpresa” non sono disponibili specifiche informazioni sui materiali utilizzati. La copertina del diario, oltre ad essere realizzata con materiali naturali, è bianca perché personalizzabile con disegni, scritte e colori. 

Acquista il diario Sterik 

ALTRI ACCESSORI SOSTENIBILI

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Per ridurre gli oggetti usa e getta e favorire quelli che una volta acquistati durano a lungo, proponiamo una bottiglia termica molto resistente, realizzata in acciaio inox, da portare con sé a scuola, anche durante gite scolastiche o escursioni. Sostituisce la tipica e insostenibile bottiglietta di plastica, è riutilizzabile, mantiene fresca l’acqua grazie all’isolamento avanzato e non altera il sapore del contenuto. Disponibile in rosso, blu e rosa. 

Acquista Chilly’s Bottle 

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Sostituisce uno standard portapenne in plastica, è originale e divertente. Questo portapenne a forma di temperino è realizzato esclusivamente in legno ed acciaio. 

Acquista il portapenne 

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Per delle note veloci o lasciare dei messaggi agli amici prova i post it riciclati. Aderiscono allo stesso modo dei post it tradizionali ma sono realizzati con carta riciclata. 16 blocchetti colorati da 100 fogli ciascuno.

Acquista i post it riciclati 

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Infine un suggerimento per i più grandi, che già possiedono un cellulare di ultima generazione: è possibile proteggerlo dai possibili urti che potrebbe subire tra i banchi di scuola con una naturalissima custodia in sughero.

Acquista la custodia per iPhone  

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Riuso dei viadotti: due proposte progettuali

Tutte le attività dell’uomo consumano. Tutte le costruzioni, gli edifici e le infrastrutture occupano porzioni di suolo, che, irreversibilmente, una volta modificate, non potranno tornare alla loro funzione originale.Due progetti, discutibili e forse troppo futuristici, propongono il riuso dei viadotti autostradali per accogliere abitazioni e uffici, salvando spazio e collegando in verticale la strada al fondo valle.

IL RIUSO DI UN VIADOTTO DELLA SALERNO-REGGIO CALABRIA 

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Il consumo di suolo è una problematica che affligge tutto il globo, e radica, nel vecchio continente, le sue più antiche fondamenta. Le città oramai congestionate, spingono l’urbanizzazione e l’antropizzazione di aree sempre più marginali talvolta inadatte per uno sviluppo edilizio massivo. Questo processo oltre ad aumentare sempre più la distanza tra l’uomo e la natura, opera il consumo dei terreni che dovrebbero essere utilizzati in agricoltura per produrre il nostro sostentamento.

Quante persone reputano gli spazi e le aree verdi, caratteristiche imprescindibili da inserire all’interno di un centro urbano per caratterizzarne uno sviluppo sostenibile, e quanti sono disposti a rinunciarvi per fare spazio a un’infrastruttura che migliori la vita di tutti i giorni, gli spostamenti e le velocità di percorrenza? Sogno di non pochi a mio avviso dovrebbe essere quello di vivere in uno spazio ben servito, ma anche con molto verde, per una vita più salubre e in armonia con la natura.

Se ci atteniamo a queste prerogative, progettualmente, la risposta arriva da Ja Studio, che durante un concorso per l’utilizzo di energie rinnovabili, propone il riuso di un gigantesco viadotto e dei suoi piloni, inserendo tra questi alcuni piccoli edifici.

Secondo Ja Studio, i ponti e i viadotti, sono opere in calcestruzzo che allontanano le vicine città alle valli della zona. Da qui la loro proposta, quella di inserire case, uffici e locali commerciali su una rampa-piattaforma che collega il sedime stradale, al fondo valle, con l’obiettivo di recuperare lo spazio inutilizzato ma parzialmente costruito in un’opera di tale portata, e piazzare una paciosa e tranquilla vita in netto contrasto con la frenesia della sede autostradale.

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caption: in alto, il progetto per l'A3 Salerno-Reggio Calabria di Oxo Architects.

Oxo Architects invece propone un ambizioso progetto per riqualificare l’A3; trasformare un’infrastruttura dismessa in una città verticale, con case, negozi, e vari servizi su uno dei viadotti abbandonati della Salerno-Reggio Calabria.

Il progetto prevede di utilizzare strutture già esistenti evitando il depauperamento delle risorse esistenti, e almeno su carta, risulterebbe completamente autosufficiente. Impianti geotermici, fotovoltaici e solari termici garantiranno acqua calda e corrente, le acque grigie dovranno subire il processo della fitodepurazione e i gas perverranno dalla metanizzazione dei rifiuti organici. Gli spazi verdi e gli orti in progetto per le abitazioni, potranno attingere all’acqua piovana raccolta da grandi cisterne interrate tramite sistemi minuziosamente studiati.

Il Viadotto-Condominio funziona come un grattacielo al contrario, l’accesso non avverrà più dalla base ma dalla sommità – il vecchio sedime autostradale ospiterà i parcheggi privati – regalando ai proprietari degli appartamenti con immediata vicinanza all’ingresso, un’incredibile vista sull’ambiente circostante.

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Fortunatamente i due progetti rimangono, per ora, unicamente su carta, e se la pensate un pochino come me, riterrete opportuno pensare che il riutilizzo non è sempre la scelta migliore che si possa effettuare. Se il progetto ideato da Oxo Architects nel suo “piccolo” cerca di provvedere autonomamente al proprio sostentamento, parallelamente abbassa di molto il livello dell’abitare di un possibile fruitore. Il progetto può essere definito ecosostenibile in tutte le sue parti, ma è probabilmente l’idea a non esserlo affatto. Immaginiamoci solo per un secondo di vivere in un appartamento aggrovigliato come un parassita su un pilone di un viadotto dismesso. Quanti effettivamente sarebbero disposti ad abitare in un luogo del genere, in circostanze del genere. Per non parlare dell’elevato costo di realizzazione; verrebbero prodotti una serie di appartamenti con servizi annessi, accessibili solo a persone facoltose che per nulla al mondo rinuncerebbero al loro attico cittadino per trasferirsi letteralmente “sotto un ponte”. Se si vuole godere di un’incredibile vista del paesaggio limitrofo, perché non procedere all’abbattimento di questa infrastruttura così da ripristinare il paesaggio e il suo aspetto originale? Probabilmente come accade spesso, l’interesse di pochi è così elevato da riuscire a sovrastare i problemi che ci dovremmo porre per progettare il benessere di molti.

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Le case volanti: riqualificazione surreale dell’esistente

Si sono staccate da terra, chissà come e quando, e hanno preso il volo: sono le case di Laurent Chéhere, fotografa francese appassionata di “surrealismo”. Dall’hotel alla roulotte alla villetta piena di animali, tutte le case sono volanti, rimangono sospese nell’aria, alcune attaccate solo ai fili della corrente per non scappare via.

Fotografia e architettura: le opere di Dionisio Gonzalez

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Sono le Case Volanti dell’artista francese Laurent Chéhere che sogna di riqualificare a modo suo le periferie delle metropoli, spesso purtroppo degradate e abbandonate.

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Laurent vive a Parigi e ama rappresentare immagini di case volanti e altri tipi di abitazioni o oggetti che abbiano una funzione abitativa. Abitando nel quartiere della borghesia di Ménilmontant ha purtroppo da sempre concepito la società come divisa in due blocchi distinti: i ricchi e i non ricchi.

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Per ispirarsi l’artista ha peregrinato per i quartieri nascosti e più poveri di Parigi e preso spunto dalla cinematografia e dalla storia del suo paese cercando di far uscire queste case tristi dall’anonimato per aiutare chi le abita a raccontare la propria storia, reale o immaginaria, attraverso la raccolta di testimonianze. L’artista si è interessata ai pendolari in attesa alle affollate fermate dei mezzi pubblici, alla cultura africana trapiantata in questi edifici insalubri, alle periferie popolate dalle etnie zingare, dalla cultura nomade dei circensi di passaggio per i quartieri più periferici fino a quella degli occupanti degli edifici in stato di abbandono. 

Le sue opere hanno preso spunto anche è anche da alcune opere cinematografiche fra le quali il film Il palloncino rosso (del 1956 di Albert Lamorisse) e dalle vicende narrate da Hayao Myazaki (Il castello errante di Howl ). Le immagini, manipolate in maniera sia digitale che manuale, sono a dir poco affascinanti, raffigurano un mondo onirico in cui le case sembrano galleggiare in un cielo d’argento.

Le “Case Volanti” sono state volutamente riempite di animali, di oggetti e di persone, affinché ogni casa raccontasse visivamente una storia. Lo spettatore viene così spinto a chiedersi non solo come mai la casa stia volando via, ma anche dove sia diretta e chi ci viva dentro.

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Che cosa rende le Case Volanti delle case ideali, secondo Chéhere?

L’artista dice con semplicità di abitare in un edificio parigino, al sesto piano, senza ascensore. A suo parere, la casa ideale è da pensare volante e con un affitto dimezzato. Sicuramente una visione scherzosa ma non troppo lontana dall’esigenza di avere abitazioni vivibili e accessibili per tutti e con prezzi ragionevoli.

Laurent Chehere, nel suo progetto personale, ci regala una visione onirica, dove gli scorci suburbani fluttuano e fanno ripensare al viaggio, unico mezzo come fuga dai problemi. Alcuni di questi edifici inoltre si convertono in prigioni in fiamme, a testimoniare che spesso la fuga dalla realtà non è possibile!

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“Il rapporto architettura-ambiente nelle opere di Dionisio Gonzalez “

Dionisio Gonzalez, architetto e fotografo spagnolo, indaga approfonditamente il legame tra architettura e ambiente utilizzando la sua arte come azione sociale, tentando di offrire uno spunto di riflessione sui temi più attuali: dopo la sua serie intitolata Inter-acciones del 2013 con immagini in bianco e nero in cui sono rappresentati edifici collegati al suolo per mezzo di radici – attraverso le quali trarre le necessarie risorse dalla Terra – la sua ultima serie Trans-acciones vuole nuovamente approfondire il tema dell’architettura sostenibile.

RITRATTI DI CITTÀ: HONG KONG 

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Quello dell’architetto e del progettista è un mestiere di grande responsabilità nei confronti della società considerando il ruolo chiave che egli ha nei processi di trasformazione, valorizzazione, conservazione del territorio, del paesaggio e, in generale, dell’habitat antropico. Il tema del rapporto tra architettura e ambiente è pertanto estremamente delicato ed in questo periodo storico più che in ogni altro, non può più essere trascurato.

Le immagini dell’architetto spagnolo propongono dei progetti avveniristici, quasi surreali, con proprietà estetico-formali estremamente differenti tra loro ma con una caratteristica comune: abitazioni di “rietveldiana” ispirazione (Trans-acciones 7), luoghi di lavoro e dischi volanti (Trans-acciones 2) cercano tutti di limitare il consumo di suolo, poggiando su pilastri in cemento armato – o su altri elementi dal design strutturale sofisticato – che li elevano minimizzando l’impatto sul paesaggio naturale.

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L’elevazione costituisce uno svuotamento del piano basamentale in cui fluisce visivamente  il paesaggio: dall’esercizio progettuale più semplice a quello più articolato e contorto, i “vuoti” – non solo al piano terra ma anche le bucature e le trasparenze – dimostrano quale valore aggiunto possa dare la continua interazione tra natura e sistema architettonico.

Questo effetto viene amplificato se si considera che il panorama circostante non è sempre un luogo ameno bensì uno scenario ambiguo e senza caratteri distintivi particolarmente significativi, che viene però esaltato dal rapporto che si crea con le costruzioni.

Nelle sue immagini Gonzalez inserisce un osservatore, curioso quanto stupito dalle architetture artificiose, chiave per la comprensione dell’opera: sembra quasi che l’artista voglia stimolare l’immaginazione di un secondo osservatore, al di fuori dell’immagine, fino alla comprensione del pensiero e delle sensazioni del primo sul rapporto tra la costruzione e l’ambiente circostante. 

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3 app per coinvolgere i cittadini in una mobilità più sostenibile

Spesso si discute in quale misura le amministrazioni locali e territoriali debbano essere coinvolte nell’urbanistica di città e raccordi interurbani al fine di migliorare la mobilità sostenibile nei centri urbani. Ma a richiedere a gran voce una viabilità più vivibile nelle nostre strade non sono solo i governi, ma soprattutto gli stessi cittadini che su quelle arterie stradali spendono purtroppo buona parte delle loro giornate. E quale modo migliore di coinvolgere le cittadinanze, se non attraverso gli ormai onnipresenti smartphone? Inquinamento, traffico e parcheggi sono tre fattori importanti su cui la pianificazione della mobilità del futuro gioca molto, e a queste tre problematiche rispondono 3 app dedicate che coinvolgono gli stessi utenti, con un’interfaccia social che mette gli stessi cittadini al centro del cambiamento: si tratta di WeCity, Parkopedia e Waze.

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3 APP PER LA MOBILITÀ SOSTENIBILE

WeCity

WeCity è l’applicazione smartphone che premia la sensibilità ecologica in città. Come dicono gli stessi creatori, Paolo Ferri, Gian Maria Incerti e Fabrizio Monti, emiliani di origine, il suo “obiettivo è quello di diffondere la cultura della mobilità collaborativa a partire da quelle zone del tessuto urbano dove già esistono soluzioni tecnologiche e condizioni culturali favorevoli”. Ciò significa che qualora le città dispongano di servizi come car-pooling, car-sharing, bike sharing o trasporto pubblico elettrico, l’app inciterà al loro utilizzo per spostarsi nel modo più sostenibile . L’app si accorgerà dei chilometri percorsi in bici o condividendo il passaggio in auto con qualcun’altro e assegnerà dei punti, basati sul calcolo di emissioni evitate, da scambiare con regali e sconti. Il fine ultimo dell’app è di rafforzare il senso di comunità tra concittadini ed ottenere un miglioramento sostanziale a livello atmosferico e ambientale.

Parkopedia

Parkopedia è un ambiziosissimo progetto di catalogazione di tutti i parcheggi esistenti nel mondo, raggruppati in una “enciclopedia social” creata su segnalazione degli utenti. Mediante localizzazione GPS, chiunque cerchi parcheggio nella propria città o in trasferta può visualizzare i posteggi liberi, a pagamento o custoditi più vicini, compresi di dettagli su orari e prezzi. Un database in costante aggiornamento, che ad agosto 2015 conta una copertura di 52 paesi, 6.308 città e 38+ milioni di posti auto. Dove disponibile, Parkopedia avvisa di parcheggi liberi in tempo reale, guida fino alla destinazione e permette di filtrare con semplicità per tipo di parcheggio, metodo di pagamento, ecc. Per aggiungere all’enciclopedia un parcheggio non segnalato, basterà scattare una foto con orari e prezzi ed inviarla ai programmatori perché sia aggiunta il più presto possibile.

Waze

Infine, Waze si qualifica sicuramente come una delle migliori app per viaggiare in auto in assoluto, sia per pendolari che per viaggiatori occasionali. In perfetta filosofia social, Waze permette agli utenti di tenersi aggiornati l’un l’altro in tempo reale sullo stato del traffico, avvisando di rallentamenti, incidenti, condizioni stradali sfavorevoli e pericolose, cantieri e deviazioni, persino posti di blocco delle forze dell’ordine. Grazie a tali suggerimenti, l’utente può in pochi click calcolare un tragitto alternativo, informarsi sui prezzi attuali dei benzinai della zona, risparmiare tempo e denaro negli spostamenti, per un sollievo sia del portafoglio che dell’ambiente. L’app non solo può salvare da ritardi e ingorghi spiacevoli, ma anche, con una funzione pienamente social, collegarsi ai profili Facebook per aggiungere amici, condividere percorsi e tenersi aggiornati sugli eventi da raggiungere in macchina, in modo da salvare, oltre ad ambiente e finanze, anche le proprie amicizie.

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Il libro che si pianta e diventa un albero

Un libro che può essere piantato e diventare un albero. È l’iniziativa ecosostenibile promossa da una casa editrice argentina specializzata in libri destinati ai bambini.

In copertina: la copertina del libro

Disegna, consuma, pianta! La matita biodegradabile Sprout

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Il principio dell’iniziativa

I volumi vengono realizzati artigianalmente utilizzando carte che sono ecologiche perché derivanti da materiali di recupero, esenti da acidi e stampate con inchiostri biodegradabili, e in cui risultano inseriti semi di Jacaranda, un albero dalla suggestiva fioritura blu-viola originario delle regioni tropicali e sub-tropicali dell’America centrale e meridionale apprezzato come elemento decorativo in tutto il mondo.

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Il libro può essere interrato, la carta si degrada completamente attraverso un processo di compostaggio, e dalla germinazione dei semi cresce una jacaranda, in un incessante processo di rinascita e trasformazione aderente a uno dei motti dell’iniziativa secondo cui “per fare un libro ci vuole un albero ma, da oggi, anche per fare un albero può bastare un libro”.

Nelle librerie in cui l’eco-libro è distribuito è possibile comprendere direttamente l’iter che lo fa trasformare in albero grazie a un espositore in vetro contenente terra, sassi e il libro da cui germoglia una piantina.

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La promozione della lettura e del rispetto per l’ambiente

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Il testo per l’infanzia, scritto da Anne Decis e Gusti Llimpi e intitolato “Mi papá estuvo en la selva” (“Mio papà è stato nella giungla”), non poteva che trattare temi legati a biodiversità, ecosostenibilità ed equilibrio naturale, raccontando un viaggio reale nella foresta equatoriale attraverso la voce narrante di un bambino.

La valenza educativa assunta dal libro di sensibilizzazione verso argomenti ambientalisti della generazione che ci succederà e che avrà il compito di gestire le risorse è così duplicemente legata sia alla lettura del testo che al riutilizzo dell’oggetto cartaceo stesso, facendo da eco all’aforisma di Choderlos de Laclos secondo cui “il pregio di un libro consiste nella sua utilità o nella sua piacevolezza, o in ambedue le cose, quando ne ha le qualità”.

L’attività sequenziale leggere-piantare-innaffiare è svolgibile con estrema facilità da un bambino, non occorrendo particolari attenzioni durante la coltivazione della pianta, che si adatta a diversi climi, cresce rapidamente sia nel terreno che in vaso e resiste bene all’inquinamento.

caption: Fioritura di alberi di jacaranda a Pretoria, in Sudafrica, detta la “Città della jacaranda”, per la rilevante presenza di tali alberi.

Seguendo lo slogan “così cresce un albero. E anche un bambino” il progetto -denominato “Tree Book Tree” ad indicare lo stretto rapporto che si instaura fra albero e libro nel ciclo vitale del prodotto-, fornisce così attraverso un’esperienza ludica un insegnamento ecologico al piccolo lettore, il quale accresce le proprie conoscenze apprendendo in modo divertente l’importanza del ruolo rivestito dalle risorse, l’origine e il reciproco rapporto fra elementi naturali e prodotti e le modalità della tutela dell’ambiente.

caption: Una pagina del libro  

La conversione green dell’editoria

Nelle intenzioni della casa editrice argentina “con Tree Book Tree il libro restituisce alla natura ciò che le ha tolto”.

L’editoria quindi comincia ad allinearsi con l’ottica del riciclo che è alla base di diversi prodotti di ecodesign che hanno in comune fra loro la proprietà di poter essere piantati grazie alla presenza di semi nella cellulosa (bombe di semi, cartoline, scatole, scarpe, impermeabili, carte, filtri di sigarette, imballaggi, matite etc).

Il testo è simbolo del passaggio da un’editoria classica ad una ambientalmente consapevole. Non implicando alcuno spreco di risorse naturali, esso è infatti un’eco-versione creata con materiali di post-consumo di un volume che in passato fu pubblicato invece con carta ricavata totalmente dall’abbattimento di alberi.

Il libro seminabile tuttavia contribuisce solo in parte all’inversione della tendenza del Paese alla deforestazione, essendo essa legata non solo all’editoria (con stampe di libri che raggiungono numeri di 6 milioni ogni mese, per un totale annuo di 45.000 pagine), ma anche all’avanzare di piantagioni intensive.

“Quando usiamo gli alberi con rispetto e parsimonia, abbiamo una delle più grandi risorse sulla terra”. (Frank Lloyd Wright)

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Murales 3D con porte riciclate: la street art si fa green

Stefaan De Croock usa materiali di scarto per creare murales tridimensionali. Lo street artist -pseudonimo Strook- applica sulla facciata di edifici oggetti di legno riciclato, componendo un mosaico di cui vecchie porte, pannelli di mobili, pavimenti inutilizzati sono le tessere.

In copertina: “Wood&Paint” 

Murales: pittura, fotografia e verde verticale per riqualificare gli edifici

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La realizzazione dei murales 3D

La prima fase per la  creazione dei murales è un’accurata selezione del materiale, operazione che secondo l’autore è “importante quasi quanto la realizzazione dell’opera”; seguono la pianificazione del lavoro, il ritaglio del legno in officina ed infine l’assemblaggio in opera su una parete creando astratti profili di volti secondo uno schema di linee e piani cromatici il cui effetto ricorda il gioco del tangram.

caption: L’effetto cromatico e materico

caption: La preparazione del materiale

caption: La lavorazione del legno

caption: L’assemblaggio in opera

Si instaura un dialogo fra i diversi materiali presenti nella scena, ovvero quelli propri dei visi e quelli del supporto: legno e pittura in “Wood&Paint”, opera realizzata nel 2014 a Bruges, città dove Strook vive e lavora, in cui due soggetti di differenti materiali si guardano specularmente rappresentando le analogie e le differenze fra esseri umani (“noi siamo così differenti e così identici”); rispettivamente legno e mattoni in “Elsewhere”, opera dell’anno successivo, in cui la parete non finestrata di una vecchia fabbrica di mobili nella città belga di Mechelen diventa la fonte di ispirazione e la base per ospitare una sagoma che rompe la monotonia della trama in mattoni del muro.

caption: L’aspetto finale di “Elsewhere”

Risultati di efficaci fusioni fra murales e riciclo e di sintesi di ricerca scultorea-pittorica e contestualizzazione urbana, le figure sono volti enigmatici la cui incompletezza induce lo spettatore ad immaginare sineddoticamente la presenza di un corpo e la cui “malinconica, fragile posa simboleggia una persona nel comfort della sua casa, là dove è veramente se stesso”, come afferma l’autore.

caption: La cura artigianale per il dettaglio 

Opera e memoria

Una costante dell’intervento di Stefaan De Crook è il mantenimento della memoria sia dei luoghi che dei materiali coinvolti nell’opera perchè “ogni pezzo di legno ha la propria storia e assemblandosi con altri pezzi in una nuova composizione forma una nuova storia”.

Infatti, l’utilizzo di porte che un tempo costituivano un aspetto del contesto urbano contribuisce all’integrazione con i luoghi e il processo di trasformazione di un oggetto inutile in opera d’arte ready made non prevede alcun colorante o altra modifica, mantenendo così segni dell’usura, texture e pigmentazione originali dei materiali.

Inoltre l’opera, essendo en plein air, sarà sottoposta ad un ulteriore inevitabile processo di deterioramento, vivendo delle variazioni ambientali del contesto in cui è inserita.

caption: Particolare di una delle porte utilizzate per “Elsewhere” 

Il messaggio ecologico

Uno dei valori della performance è legato alla riflessione che essa induce sul ruolo che l’arte può assumere come veicolatrice di un messaggio ecologico criticando l’abitudine dell’uomo di liberarsi degli oggetti di cui non sa riconoscere un’utilità.

Inoltre la collocazione outdoor dell’opera permette di trasmettere tale messaggio a tutti gli abitanti che costituiscono parte dello spazio urbano (camminando, sostando, guidando…) e implica di conseguenza un rapporto artista-fruitore-opera-supporto-luogo, in una fluida interazione fra le istanze che producono contenuti e coloro che li recepiscono e li reinterpretano.

L’intensificazione del messaggio avviene tramite l’amplificazione iperbolica delle dimensioni reali dei volti: un’operazione di figuratività retorica che è una delle strategie della comunicazione visiva delle narrazioni urbane della street art.

caption: L’opera e il contesto: “Wood&Paint”

caption: Le notevoli dimensioni di “Elsewhere”

Messaggio ecologico comune non solo al pensiero di Strook, ma a tutta quella corrente di artisti che riutilizzano non convenzionalmente materiali di scarto per realizzare murales e non solo, di cui sono esponenti ad esempio Moaffak Makhoul, Artur Bordalo e Choi Jeong-Hwa.

caption: A Damasco, il più grande murale del mondo fatto con materiali riciclati, realizzato da un team di artisti con a capo Moaffak Makhoul. Foto dalla pagina Facebook dell'artista. 

caption: Artur Bordalo all’opera nel creare un murale 3D costituito da una base lignea su cui è installato un collage di immondizia, pneumatici e cavi. Foto dalla pagina Facebook dell'artista.

caption: Il sistema di facciata per un edificio di Seul, ideato da Choi Jeong-Hwa, la cui trama è un patchwork di mille porte riciclate colorate e differenti fra loro. Foto da choijeonghwa.com 

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Piano mobilità sostenibile di Milano: i punti chiave

Il Piano di Mobilità Sostenibile (PUMS) di Milano è stato avviato nel 2013 e stilato sotto la supervisione di un Comitato Scientifico: è il risultato di un intenso confronto con la realtà cittadina e gli enti interessati. Ridisegna la mobilità di Milano del prossimo decennio e i confini stessi della città intensificando le connessioni con vaste zone extraurbane, che rappresentano il territorio di gran parte della vecchia provincia. L’obiettivo del piano è garantire servizi più efficienti e sostenibili. 

Mobilità sostenibile gratuita: casi studio

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Gli interventi previsti dal Piano di Mobilità Sostenibile di Milano riguardano i seguenti ambiti:

  • Previsti potenziamenti alla linea metropolitana della M2 Assago-Rozzano e Cologno nord-Brugherio con un rinnovamento delle stazioni e l’impermeabilizzazione delle gallerie; della M3 San Donato-San Donato est; della M5 San Siro-Settimo e della M4 San Cristoforo-Corsico. Inoltre è prevista la realizzazione di una M6 sull’asse nord/ovest-sud/est.

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  • Bike sharing: 240 stazioni attive con 3.600 biciclette. Un sistema di trasporto pubblico che funziona sinergicamente con metropolitane, tram, autobus: ha il vantaggio di offrire un tipo di trasporto più flessibile perché i percorsi sono facilmente personalizzabili. Come luoghi per i posteggi delle bici si privilegiano i nodi di interscambio, come le stazioni della metropolitana e ferroviarie e i luoghi frequentati da molte persone come scuole, uffici pubblici, cinema, supermercati: la prima mezz’ora di utilizzo è gratuita.
  • Car sharing: servizio introdotto nel 2013 che risulta il più ampio d’Italia: con 2000 auto in movimento, 6 operatori in servizio e 200.000 utenti uno dei migliori in Europa. Grazie alla comodità e al risparmio che garantisce, sono numerose le famiglie milanesi che negli ultimi tempi hanno deciso di non acquistare la seconda auto.
  • Scooter sharingrecentissimo servizio introdotto il 15 luglio 2015, grazie al quale è a disposizione dei cittadini una flotta di scooter: da un lato sono più veloci della bicicletta e dall’altro più agevoli nel traffico e meno ingombranti delle auto.

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  • Evoluzione delle linee tranviarie tradizionali in Linee T cioè linee più rapide grazie alla dotazione di un software a bordo dei tram che, collegato alla centrale dei vigili, permette di far scattare in automatico il semaforo verde. È previsto inoltre l’allungamento di alcune linee.
  • Sistemi veloci su gomma per mettere in comunicazione la città con alcune direttrici non servite come ad esempio Segrate-Pioltello e Arese-Lainate.
  • Nuove aree adibite a parcheggi che, realizzate lungo le linee ferroviarie dell’hinterland, riescano il più possibile a servire l’utenza all’origine degli spostamenti.
  • Realizzazione di una Low Emission Zone nell’area delle tangenziali. Un sistema composto da 100 varchi elettronici, posizionati all’ingresso della città che monitorano il passaggio dei veicoli e consentono solamente la circolazione di quelli meno dannosi per l’ambiente: è prevista l’applicazione di filtri antiparticolato sui veicoli più inquinanti.

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  • Gestione più smart della logistica merci, in particolare dei sistemi di carico e scarico, per favorire l’efficienza delle aziende milanesi e lombarde
  • Valorizzazione dello spazio urbano con interventi di moderazione della velocità dei veicoli per rendere più sicura la città.
  • Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA) con l’introduzione di applicazioni tecnologiche che informano sull’accessibilità dei percorsi stradali.

La  completa  attuazione del PUMS presenta i seguenti vantaggi: una diminuzione del 25% del traffico nelle aree a velocità moderata, una riduzione dell’10% della  congestione del traffico,  la riduzione del 28% delle emissioni di gas nocivi, un incremento del 140% sull’accessibilità  delle persone al trasporto pubblico e del 17% sulla sua celerità.

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Energie rinnovabili e autoconsumo: presa di posizione dell’UE

Sotto il titolo “Transforming Europe’s energy system – Commission’s energy summer package leads the way”, la Commissione Europea ha presentato un pacchetto di proposte per migliorare le condizioni dell’offerta d’energia per uso domestico. Si tratta di un nuovo modello del mercato elettrico europeo che prevede di aggiornare l’etichettatura dell’efficienza energetica e rivedere il Mercato dei Crediti di carbonio.

RIVOLUZIONE ENERGETICA: il PIANO AZIONE PER L’ENERGIA SOSTENIBILE

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Nel comunicato stampa, pubblicato il 15 luglio 2015 nel sito della UE, è possibile scaricare i vari documenti sulle diverse azioni programmate che vedremo brevemente in seguito:

1. Diritto del cittadino a percepire una retribuzione per l’elettricità versata in rete.

Tale retribuzione per la cessione in rete degli eccedenti dell’energia dovrà però tendere gradualmente al prezzo di mercato. In Italia abbiamo lo “scambio sul posto” e la “tariffa omnicomprensiva”, due meccanismi pensati per favorire rispettivamente le famiglie e le imprese. In Spagna, a meno che il consumatore diventi impresario e adempia alle stesse procedure burocratiche e fiscali proprie di una utility, è costretto a regalare le eccedenze d’energia prodotta all’ENEL (l’ente italiano è il principale azionista della omologa spagnola ENDESA).

caption: Una delle centrali a carbone rilevate dall'ENEL in Spagna. Immagine tratta dalla pagina web della controllata Endesa, che presenta questo ecomostro costruito sulle rive del Mediterraneo come gestito nel rispetto dell'ambiente in quanto "certificato ISO 14001" dall'ente spagnolo di normazione AENOR.

2. Eliminare le barriere burocratiche e amministrative per l’autoconsumo energetico.

Finalmente la Commissione Europea riconosce ufficialmente che le procedure amministrative e autorizzative complesse, e ingiustamente onerose, sono una barriera allo sviluppo delle energie rinnovabili. Pertanto, chiede ai governi nazionali l’istituzione di procedure semplificate per i piccoli impianti, in particolare la semplice comunicazione d’inizio lavori anziché la richiesta d’autorizzazione. La proposta di Bruxelles arriva in un momento in cui la Spagna ha reso, ormai da alcuni anni, virtualmente impossibile l’autoproduzione domestica di energia da qualsiasi fonte e, in controtendenza al resto del mondo industrializzato, l’attuale governo Rajoy prepara inoltre delle misure per impedire perfino l’accumulo elettrico in batterie durante le ore vuote, per il suo ulteriore utilizzo nelle ore di punta e anche per vietare gli impianti domestici autonomi (composti cioè da pannello fotovoltaico e/o generatore microeolico + batterie): ancora una misura a favore della lobby ENDESA-ENEL.

3. No a tasse e pedaggi discriminatori. 

Sebbene la Commissione Europea preveda una riduzione del gettito necessario per coprire i costi operativi della rete elettrica dovuta alla diffusione massiva dell’autoconsumo energetico, non propone oneri o tasse discriminatorie, né sull’ energia versata in rete e né sull’autoconsumo. Il documento propone una revisione della struttura delle tariffe elettriche affinché risultino più eque e trasparenti. “Casualmente”, la direttiva di Bruxelles arriva in un momento in cui, in Spagna, l‘amministrazione Rajoy vuole istituire la “tassa al sole”: 40% di tasse sull’energia autoprodotta, non solo quella versata in rete ma pure su quella autoconsumata, con il fine di compensare Endesa-ENEL per il mancato guadagno. Ne più e ne meno di quanto già accade in Italia, dove i consumatori pagano in bolletta gli incentivi alle rinnovabili che poi incassano perlopiù grossi gruppi di capitale, Banche e multinazionali. La buona notizia è che l’iniqua “tassa al sole” è stata bloccata da una massiccia raccolta di firme promossa da Aavaz, una piattaforma di cittadini, che in poco tempo è riuscita a fare collassare la casella di posta del ministro spagnolo dell’energia, José María Soria. Ora il governo spagnolo ha fatto leggermente marcia indietro, “scoprendo” che i massicci aumenti delle tariffe elettriche dell’anno scorso consentono al sistema elettrico nazionale (Endesa-ENEL, ma anche altri operatori minori) di ridurre del 2% la bolletta (strategicamente prima delle elezioni). Inoltre, l’emendamento alla bozza di decreto prevede anche la riduzione degli adempimenti burocratici per gli impianti di autoproduzione con potenza inferiore a 10 kW. Si tratta dunque di un piccola vittoria dei cittadini, un ottimo esempio che noi italiani dovremmo imitare.

4. Se si dovessero applicare cambiamenti alle tariffe o altri aspetti normativi, questi non potranno essere retroattivi.

Tale situazione di abuso legislativo non è ignota a noi italiani, mentre in Spagna è diffusa sin dai tempi dell’amministrazione Aznar. La retroattività era anche prevista nella bozza del  Real Decreto che, oltre ad istituire la ”tassa al sole”, avrebbe reso illegali a posteriori tutti gli impianti fotovoltaici autonomi già esistenti, costringendo i proprietari a riallacciarsi ad Endesa-ENEL.

5. Consentire l’autoconsumo energetico alle comunità di vicini e alle zone industriali e artigianali.  

La Commissione Europea considera fondamentale garantire un quadro normativo stabile che consenta l’aggregazione della domanda elettrica e l’autoproduzione condivisa, intesa come unione di vari produttori/consumatori, includendo lo stoccaggio d’energia condominiale o consortile. In Italia, i vincoli burocratici per la realizzazione di reti  private elettriche, di gas o di teleriscaldamento, sono quasi  insuperabili. In Spagna, la bozza di Real Decreto de Autoconsumo imponeva che il produttore ed il consumatore fossero la stessa persona, eliminando ogni possibilità di partecipazione dei gruppi di singoli cittadini nel settore energetico.

6. Promuovere lo stoccaggio decentralizzato delle energie rinnovabili. 

Lo stoccaggio decentralizzato dell’energia è fondamentale per armonizzare la produzione e la domanda d’elettricità. Inoltre, aumenta la capacità d’autosufficienza energetica dei cittadini e, in ultima istanza, anche la resilienza energetica di un Paese. Lo stoccaggio, dovrebbe dunque essere una priorità nazionale, ma per le utilities rappresenta una doppia minaccia: da una parte verrebbero a meno gli argomenti che giustificano gli incassi dell’ENEL (e in generale di tutte le aziende elettriche del mondo) per gli oscuri concetti definiti come “perequazione”, voci di spesa addebitate in bolletta incontestabili proprio per la poca trasparenza del metodo di calcolo utilizzato dal gestore e l’impossibilità di verificare i dati. In secondo luogo, perché la diffusione capillare di banchi di batterie rende inutile la costruzione di nuove centrali (spesso a combustibili fossili), che è parte del business delle compagnie elettriche, delle loro società d’ingegneria controllate e delle consorziate petrolifere e carboniere.        
In Europa l’unico governo ad avere una politica coerente e corretta in materia di accumulo dell’elettricità forse è quello tedesco. Infatti, concede ai suoi cittadini fino al 30% di bonus fiscale e prestiti agevolati per l’acquisto di batterie fino a 30 kWh di capacità per l’autoconsumo.  

7. Il diritto alla produzione energetica per autoconsumo è di tutti i consumatori, e in particolare i più vulnerabili.  

La Commissione Europea chiede l‘istituzione di strumenti finanziari che rendano possibile l’accesso alla produzione energetica per autoconsumo per tutti i consumatori, e in particolare per le fasce più deboli economicamente.

In altri termini, la direttiva arriva proprio quando la bozza del Real Decreto spagnolo doveva rendere incompatibile l’autoconsumo di energia rinnovabile, con il beneficio della “tarifa regulada” (uno schema tariffario simile alla nostra tariffa “maggiore tutela”)  comportando la perdita del diritto al Bono Social (l’equivalente del bonus energia per cittadini con reddito complessivo inferiore alla soglia di povertà). 

Si suole dire che la Spagna e l’Italia siano cugine. Curiosamente, il proverbio latino “Barbam propinqui radere, heus, cum videris, prabe lavandos barbula prudens pilos” sussiste nel castigliano come “Si las barbas de tu vecino ves cortar, pon las tuyas a remojar” (Se vedi tagliare la barba al tuo vicino, metti la tua a mollo), mentre è sparito dall’italiano moderno. A dimostrazione che nei secoli, i baroni, monarchi, dittatori e tiranni travestiti da democratici che hanno governato il Bel Paese, sono stati più abili dei loro colleghi spagnoli nell’assopire la coscienza collettiva, al punto di creare un popolo di “miopi globali”. La “tassa al sole”, l’IVA sulle imposte regionali, la perequazione, gli inceneritori che producono la maggior parte della loro energia bruciando plastica, carta, cartone e rifiuti industriali ma prendono gli incentivi come se bruciassero biomassa vergine (vedasi CIP6) le paghiamo da anni, ma nessun movimento civico ha mai spinto un governo fino a farlo tornare sui suoi passi e ottenere perfino una posizione chiara da parte della UE.

Amici lettori, rimaniamo vigili, non è da escludere che la casta nostrana tenti di rifilarci un’atra “tassa sul sole” nascosta in qualche decreto “salvaqualcosa” in qualsiasi momento, specialmente ora che le ferie di agosto sono vicinissime.

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