Il giardino sul tetto della stazione: Crossrail Place di Foster + Partners

Da tempo ormai, l’immagine di Londra non è più soltanto legata alla storia ed ai suoi monumenti. Big Ben, Westminster, Buckingham Palace e Tower Bridge restano le attrazioni turistiche per eccellenza, ma stanno pian piano lasciando spazio alla Nuova Londra, costruita da maestri e archistar dell’ultima generazione. La stazione di Crossrail Place a Canary Warf progettato dallo studio Foster + Partners è uno dei simboli della nuova città, con il suo giardino sul tetto già ultima e visitabile.

IL GIARDINO TROPICALE DELLA STAZIONE ATOCHA RENFE DI MADRID

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Viaggiando in questa strabiliante città, si ha l’occasione di assaporare una realtà completamente diversa da quella italiana. Tutto a Londra è architettura, innovazione, ricerca. Perdersi per le sue strade oggi vuol dire anche attraversare aree circondate da cantieri in corso, nuove costruzioni che si affiancano a quelle esistenti o che sempre più spesso ne prendono il posto per contribuire al cambiamento ed alla nuova immagine di Londra.

L’area di Canary Wharf è una delle aree che negli ultimi anni ha consolidato la sua immagine e che si propone come una delle tappe obbligate per chi decide di visitare la Londra contemporanea.

A Canary Wharf, la prima parte del complesso Crossrail è stata finalmente aperta al pubblico: si tratta di una delle 40 stazioni della rete di collegamento fra l’est e l’ovest della città di Londra, progettata dallo studio di architettura Foster + Partners.

L’edificio sostenibile chiamato Crossrail Place ospita un centro commerciale che arricchirà la zona tra il quartiere residenziale e quello finanziario. L’intero complesso sarà costituito da un edificio a 7 piani che si estenderà per circa 300 metri lungo il molo. La conclusione è prevista entro il 2018 ed oltre alla stazione, ci saranno negozi, cinema, ristoranti, caffè e un giardino sul tetto.

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Sono stati inaugurati 4 piani del Crossrail Place tra cui l’ultimo, dove trova collocazione il meraviglioso giardino disegnato dallo studio londinese Gillespies, specializzato in progettazione del verde, che offre una passeggiata panoramica in un bellissimo giardino protetto dalle piogge londinesi. “Il disegno del giardino risponde al linguaggio architettonico del tetto nella creazione di un ambiente adibito a parco originale e riparato. Offrirà ai visitatori un punto di vista del tutto nuovo per guardare i canali e la zona circostante”. Ha spiegato uno dei partner dello studio Gillespies che ha collaborato al progetto con Foster + Partners.

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Passando attraverso ponti di collegamento è possibile l’accesso a questo suggestivo mondo verde popolato da essenze vegetali originarie dei paesi visitati dalla Gran Bretagna durante le esplorazioni marittime: le essenze scelte per il giardino sul tetto del Crossrail Place di Foster, infatti, sono state selezionate per ricordare l’ambiente marittimo della zona e provengono dai paesi visitati dagli inglesi nel XIX secolo per commerciare le navi che furono costruite nei magazzini della zona della stazione dalla West India Dock Company. Questi tre depositi furono abbandonati nel 1960 fino alla chiusura del 1980, con il piano per riqualificare la zona e farne un polo finanziario.

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Il parco che sovrasta la costruzione di sette piani di Foster + Parners è coperto da una struttura in legno lamellare che mediante moduli triangolari consente il posizionamento delle lastre di ETFE, etilene-tetra-fluoro-etilene, una plastica autopulente e riciclabile che non ostacola l’ingresso delle componenti dello spettro luminoso che servono alla crescita delle piante del tetto verde. La copertura della stazione è, inoltre, aperta al centro per il passaggio di luce, aria e acqua meteorica.

L’effetto è davvero suggestivo sia per il contrasto con l’architettura circostante di vetro e acciaio che per la tranquillità che emana il giardino del Crossrail Place, facendo da contrappunto al rumore della metropoli all’esterno.

Un modo tutto nuovo per guardare Londra con occhi diversi.

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La scuola materna che insegna a coltivare: Nursery Fields Forever

Non si è mai troppo piccoli per imparare ad occuparsi delle piante e degli animali. È questa il motto della Nursery Fields Forever, l’asilo dove si impara anche a coltivare l’orto, progetto vincitore del concorso di idee londinese AWR International Ideas Competition. L’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di trovare una proposta interessante e innovativa per una nuova scuola materna nella città di Greenwich, alle spalle della più famosa accademia di danza Laban Centre, firmata da Herzog & De Meuron. 

E così, dopo gli asili nido nel bosco, le fattorie didattiche e altri esperimenti progettuali nati con l’intenzione di portare sin da subito i piccoli a contatto con la natura, nasce la scuola che inizia all’agricoltura, che riesce a mixare perfettamente l’agricoltura urbana, la pastorizia e l’istruzione materna.

FATTORIE URBANE: A SINGAPORE ORTI E ALLOGGI PER GLI ANZIANI

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La scuola che insegna a coltivare: un team tutto italiano

Il tema del concorso lanciato da AWR e che ha visto trionfare il progetto della scuola materna Nursery Fields Forever è attuale più che mai. Al giorno d’oggi i bambini, che dovrebbero essere lasciati liberi di vivere la propria innocenza e la propria ingenuità, oltre che la spensieratezza tipica della loro tenera età, vengono costantemente spinti nell’inferno della tecnologia. In questo modo i piccoli tendono ad allontanarsi sempre più dalla natura e a cercare sempre meno nuove tecniche per curarla e, soprattutto, per rispettarla. In questo scenario, se il presente appare triste, ancora peggio sembrerebbe il futuro che, molto probabilmente, verrà lasciato nelle mani di giovani, ora bambini, incapaci di comprendere fino in fondo quanto è stata buona e clemente con l’uomo Madre Natura e inadatti ad impegnarsi per sfruttare le risorse naturali a loro disposizione rispettandone l’essenza. 

È per questo motivo che il team tutto italiano, precisamente romano, composto da Edoardo Capuzzo Dolcetta, Gabriele Capobianco, Davide Troiana e Jonathan Lazar per per la scuola materna di Greenwich ha pensato di presentare un progetto forte e innovativo, nato dall’intenzione di preservare l’infanzia dei bambini, ma anche la bellezza della natura. L’asilo con il suo orto didattico insegna ai piccoli umani a coltivare il giardino imparando così la reale provenienza del cibo. 

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I tre principi della scuola “agricola”

Secondo i componenti della squadra vincitrice, l’istruzione materna dovrebbe avere tre approcci paralleli: imparare dalla natura, imparare dalla tecnica, imparare dalla pratica. È soprattutto quest’ultimo principio a fare la differenza, a guidare verso una progettazione che permetta ai piccoli di comprendere, praticamente, un aspetto molto importante della vita dell’uomo, qualunque sia la sua età: la provenienza del cibo che si mangia

Il progetto Nursery Fields Forever, infatti, non prevede aule chiuse e tutte uguali tra di loro, ma ampi spazi aperti, adibiti a coltivazione di verdure e ortaggi, oltre che a pascolo per gli animali che si aggirano liberi tra una pianta e l’altra. In queste macchie verdi si inseriscono delle strutture coperte, con tetto a doppia falda, caratterizzate da ampie vetrate rivolte verso il paesaggio naturale circostante. Questi spazi sono destinati alle attività da svolgere al chiuso, quando le condizioni climatiche e le temperature non permettono di godere appieno della bellezza dell’aria aperta. 

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Imparare a coltivare a scuola: sostenibilità ambientale e sociale

La Nursery Fields Forever rappresenta un manuale di buon comportamento per i bambini nei confronti del pianeta, un memorandum su come agire rispetto a quella natura così benevola da offrire, a loro e alle famiglie, cibo da mangiare, animali da accudire, energia per sopravvivere. I bambini, infatti, oltre alle attività tipicamente agresti, come la coltivazione dell’orto e la cura degli animali, saranno introdotti anche al tema dell’energia rinnovabile. Gli allievi dell’asilo scopriranno il potere nascosto del vento e del sole, imparando il funzionamento delle turbine eoliche e dei pannelli fotovoltaici installati in loco.

Ma la Nursery Fields Forever è anche e soprattutto un progetto che punta alla sostenibilità sociale. Collaborando con i compagni nella cura di piante e animali presenti nella “scuola-fattoria”, infatti, i bambini avranno la possibilità di socializzare, di imparare l’importanza di lavorare insieme, di cooperare, di comunicare e di aiutarsi a vicenda per raggiungere un obiettivo comune, quello di coltivare la pianta o di accudire l’animale in questione.

Conseguenza diretta di questo metodo di insegnamento è la presa di coscienza, da parte dei piccoli, delle proprie capacità. Tutti possono occuparsi della natura se correttamente istruiti e disposti a dedicare il proprio tempo a questa attività. La Nursery Fields Forever vuole formare piccoli eroi, bimbi dall’autostima ben sviluppata e consapevoli dell’importanza di quello che imparano nella scuola materna.

Il progetto non è ancora stato realizzato e già piace a tutti, come dimostra la vittoria del concorso per il team che l’ha partorito, ma la speranza comune è che questi bimbi, una volta terminato l’asilo e conosciuto il mondo delle “scuole tradizionali”, non dimentichino quello che hanno imparato e che, al contrario, da adulti, ne facciano tesoro, dimostrando al mondo intero come si può iniziare a rendere migliore il modo in cui si vive già da quando si è ancora bambini.  

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Il bianco nell’architettura tradizionale mediterranea

Le bianche architetture affacciate sul Mediterraneo non sono lì solo per deliziare i nostri occhi. L’uso del bianco nella tradizione costruttiva mediterranea è infatti frutto di sperimentazioni e di un sapiente uso dei materiali locali che oggi distinguono uno stile architettonico ben preciso, rispondendo anche requisiti legati al comfort e alla vivibilità.

In seguito alla Rivoluzione Industriale e ancora di più al giorno d’oggi grazie alle tecnologie digitali, gli standard progettuali si sono evoluti, a volte sono completamente cambiati e, sfortunatamente, a causa delle esigenze di mercato e per bisogni legati al crescente sviluppo industriale e demografico, dopo il XX secolo, le città hanno perso molti dei propri connotati originari e con essi le proprie caratteristiche architettonico-urbanistiche.

In copertina: Ostuni

TETTI BIANCHI: LA TECNOLOGIA COOL ROOF PER RIDURRE LA TEMPERATURA

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Nell’ambito del bacino Mediterraneo tuttavia restano ancora evidenti quelle peculiarità stilistiche che nascono da esigenze ben precise. I materiali per eccellenza dello stile mediterraneo sono la pietra, il ferro battuto ed il legno. I colori invece sono il blu, in tutte le sue sfumature che arrivano sino all’azzurro chiaro che richiama il colore cristallino del mare, ed il bianco. Il bianco resta quello che primeggia nei paesaggi urbani ed extraurbani e che spicca tra il verde della campagna e i colori limpidi del cielo e delle coste del Mediterraneo.

La scelta del colore bianco in architettura non è casuale e tantomeno legata a semplici fattori estetici: esso è un colore che ha delle qualità ben specifiche.

Il perché dell’uso del bianco

Il bianco riflette i raggi solari più degli altri colori, che a loro volta riflettono di meno tanto quanto sono più tendenti al nero. Più la radiazione solare viene riflessa tanto minore è il calore che si accumula nell’ambiente interno.

Visto che nell’antichità le leggi della fisica non erano note ma ogni scoperta era fatta casualmente o in maniera empirica, le ragioni che condussero a prediligere il bianco in edilizia furono principalmente due:

  1. la facile reperibilità, il basso costo e la semplice lavorazione/posa in opera della materie prime di colore bianco a disposizione;
  2. l’aver scoperto, mediante il suo utilizzo, che il bianco riflette la radiazione solare e fa apparire più estesi gli spazi in cui è utilizzato.

caption: Il grassello di calce

Cenni storici sull’uso del bianco nell’architettura mediterranea 

Il motivo dell’antica tradizione di imbiancare gli edifici sta nel fatto che le materie prime sono ancora oggi facili da reperire a basso costo, ma la necessità un tempo era soprattutto quella di riflettere i raggi solari e assicurare agli ambienti ristretti dei vicoli e delle strade dei centri storici di impianto medievale, maggiore igiene e luminosità, grazie alla luce sia diretta che riflessa.

Fra i luoghi che ospitano edifici dell’architettura tradizionale mediterranea noti per il proprio colore bianco e per essere realizzati con materiali naturali e tecniche della tradizione edilizia locale ricordiamo:

  • Alberobello con i suoi trulli;
  • Ostuni, detta “la città bianca”;
  • Le città siciliane, come Trapani e Siracusa, e le piccole isole degli arcipelaghi siculi;
  • Santorini e Mykonos, in Grecia, con le loro tipiche casette ed i mulini a vento;
  • I cosiddetti “villaggi bianchi” dell’Andalusia in Spagna;
  • I villaggi croati in riva al mare. 

caption: Santorini

Materiali e prodotti di colore bianco nell’edilizia mediterranea

La calce spenta

La calce spenta (differente dalla cosiddetta calce viva per composizione chimica e perché utilizzata in edilizia) è un materiale che dona un colore candido alle superfici e che, oltre ad essere 100% naturale (parliamo di calce tradizionale senza additivi chimici) possiede molte proprietà utili alla conservazione dell’involucro edilizio e al miglioramento delle sue performance, come il fatto di essere impermeabilizzante e disinfettante. Inoltre la calce, essendo altamente traspirante, evita il formarsi di fenomeni di umidità.

Le pietre naturali bianche

Alcuni tipi di pietre naturali di colore bianco o comunque molto chiaro come la pietra di Lecce, la pietra di Trani, la pietra bianca di Siracusa (in dialetto locale pietra giuggiulena) per citarne alcune dell’arco mediterraneo italiano, oltre a quelle usate in Grecia, Spagna e Turchia, hanno la caratteristica di essere oltre che facilmente lavorabili anche utili ad innescare processi bioclimatici all’interno degli edifici se collocate opportunamente come rivestimenti sia esterni che interni.

caption: Il ciclo della calce

Le tende bianche

L’uso di tendaggi e di sistemi di oscuramento dal colore candido sono ancora oggi utilizzati se pure con alcune varianti moderne rispetto a quelle della tradizione: molti forse non sanno che collocare una tenda per proteggersi dalla radiazione solare all’esterno dell’infisso è la scelta giusta per impedire che la radiazione solare -e quindi il caldo- penetri all’interno dell’immobile. Mettere una tenda dalla parte interna della facciata serve solo a proteggere dalla luce poiché il calore sarà penetrato dalla vetrata senza ostacolo! 

caption: Schermature solari e risparmio energetico

Col tempo l’uso dei tendaggi, soprattutto nelle costruzioni moderne, è stato soppiantato da tecnologie più evolute e più pratiche dal punto di vista della manutenibilità: parliamo dei vetri rivestiti da pellicole e con schermature solari integrate nella vetrata dell’infisso che assolvono le stesse funzioni di isolamento dall’irraggiamento eccessivo con il vantaggio di non ingombrare, di non dover essere lavati e di non dover essere sostituiti per usura come i tessuti di una tenda tradizionale.

caption: Controllo della radiazione solare

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Progettazione bioclimatica per una casa orientata a Nord

Casa Girasol è un progetto dello studio spagnolo Cadaval y Solà-Morales realizzato nel 2014 a Port De la Selva a Girona, in Spagna. L’edificio sorge su una scogliera bagnata dal Mar Mediterraneo, in un villaggio di pescatori della Costa Brava, al confine con la Francia ed ha la caratteristica di essere completamente orientato verso Nord richiedendo un’attenta analisi bioclimatica nel corso della sua progettazione.

BIOCLIMATICA:  LA CASA DI TENERIFE CHE GUADA L’OCEANO

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L’esposizione a Nord 

Una posizione suggestiva, soprattutto per il panorama che circonda la casa. La volontà dei proprietari era di costruire una casa in stretto contatto col mare, ma non avevano considerato i problemi dovuti all’orientamento del terreno su cui sarebbe dovuta sorgere: totalmente orientato a Nord.

Il problema principale nella progettazione bioclimatica è stato dunque pensare una forma che permettesse di catturare la luce naturale. Il secondo problema è invece legato alla Tramontana, un vento freddo proveniente da nord, che raggiunge addirittura punte di 180 kmh.

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Analisi bioclimatica e progettazione della casa

Il progetto è frutto e conseguenza di numerose e attente analisi bioclimatiche, sia tramite utilizzo di software specializzati che tramite uno studio puntuale sviluppato tramite modelli e ricerche della forma, al fine di riuscire a garantire un ottimo comfort all’interno di Casa Girasol, nonostante la sua esposizione a nord.

La villa si sviluppa su 250 metri quadrati distribuiti su due piani, rispettivamente zona giorno e zona notte. Si compone di una serie di ambienti trattati come elementi indipendenti, ma allo stesso tempo in diretta connessione al grande spazio centrale della zona living. Il risultato è un grande ambiente da cui si diramano le diverse stanze: la zona pranzo, la zona relax, lo studio, e così via, ognuna diventa un cannocchiale sul paesaggio.

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L’idea prende spunto dal girasole che ruota per catturare il più possibile la radiazione solare, allo stesso modo la pianta e gli ambienti della casa risultano in parte frammentati, ruotano posizionandosi secondo orientamenti diversi, nord-est o nord-ovest, evitando di avere le grandi vetrate totalmente rivolte a nord, per cercare di limitare quanto più possibile le dispersioni e per cercare di captare più luce possibile.

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Ogni stanza è caratterizzata unicamente da pareti bianche e vetrate a tutta altezza. Avanzando e ruotando diventano così panoramiche sul mare, ognuna con una particolare e unica vista sul paesaggio e sulla costiera. La natura circostante diventa la quarta parete di ognuna delle stanze, trasformandole in un suggestivo e rilassante ambiente in cui il vero protagonista diventa la vista del mare e del cielo che muta continuamente colori anche a causa dei venti.

Questo schema planimetrico permette di ricavare un patio centrale, il quale diventa uno spazio aperto riparato dalle pareti che lo delimitano e pertanto fruibile anche nelle giornate in cui tira la tramontana. Allo stesso tempo la posizione del patio è studiata per permettere di far entrare più luce possibile all’interno della zona living che risulta caratterizzata da grandi vetrate e dalla quale è possibile avere una visuale continua sulle diverse panoramiche. In questo modo anche dal patio è possibile ammirare il paesaggio, ma senza l’inconveniente del vento.

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I materiali utilizzati sono tipici della tradizione locale. Le grandi vetrate sono state volute per creare una connessione diretta tra interno ed esterno, generando spazi riparati ma in continuità visiva tra di loro e con l’ambiente circostante.

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Una casa orientata a nord: quando un’attenta analisi bioclimatica può portare ad un progetto interessante e a soluzioni mirate che permettono di captare la luce facendo ruotare gli ambienti come un girasole.

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La foresta galleggiante nel porto di Rotterdam: Bobbing Forest

“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso” affermava Confucio. In contesti come quelli portuali però, dove è il cemento a far da padrone, la possibilità di ricavare spazi verdi può essere considerata quasi un miraggio. Una brillante soluzione a tale problema è stata trovata a Rotterdam dove, tra poco più di un mese, verrà presentata la prima foresta galleggiante al mondo: la “Bobbing Forest”. 

In copertina: foto da DobberendBos.nl

Il progetto della BOBBING FOREST

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caption: foto da DobberendBos.nl

Gli olandesi, sempre più impazienti per la realizzazione del progetto della Bobbing Forest, sono ancora increduli di fronte all’eco internazionale che l’iniziativa della foresta galleggiante ha avuto; d’altronde si sa, quando passione per l’arte e cura del verde si incontrano nel medesimo progetto non può che venir fuori qualcosa di sorprendente!

Saranno sufficienti poche settimane per completare l’installazione; tutto dovrà essere pronto per il 16 marzo, giorno dell’inaugurazione e, non a caso, Giornata Nazionale dell’Albero. In tale occasione a Rotterdam saranno messi in acqua ed ancorati sul fondo del bacino portuale di Rijnhaven “20 alberi galleggianti”, mentre un ventunesimo sarà lasciato sulla banchina in modo che residenti e turisti possano osservarlo da vicino.

L’obiettivo è quello di offrire un valido contributo alla lotta per i cambiamenti climatici ma soprattutto porre l’accento sulla necessità dell’innalzamento della qualità della vita nelle città; la foresta galleggiante vuole essere un esempio per le nuove generazioni, un simbolo dell’importanza delle aree verdi all’interno del centro abitato.

L’idea della foresta galleggiante

La Bobbing Forest è la versione a scala naturale della scultura che Jorge Bakker, artista colombiano ma olandese di adozione, ha realizzato nel 2012: un acquario contenente alberi in scala sospesi sull’acqua tramite galleggianti.

caption: foto da Onderwerper.nl

“In Search of Habitats” (letteralmente “in cerca di habitat”) è l’evocativo titolo dell’opera che usa elementi naturali come acqua e piante per indurre l’osservatore ad una riflessione: che rapporto i cittadini hanno con la natura e come entrambi si relazionano con l’ambiente che li circonda?

Il messaggio non è passato inosservato a Jeroen Everaert, responsabile del centro di produzione culturale Mothership, Anne van der Zwaag, storica d’arte e imprenditore culturale, e al designer olandese Jurgen Bey, tanto da spingerli a “spostare l’asticella un po’ più in alto”, cercando di espandere tale concetto nella vita reale.

caption: foto da DobberendBos.nl

È nato così un progetto tanto avvincente sulla carta quanto pieno di ostacoli nella realtà.

Le molteplici sfide (tecniche, ambientali ed economiche) non hanno fatto altro che alimentare la voglia di fare degli ideatori, portando sin da subito Motheriship a cercare collaboratori all’altezza della situazione, in grado di uscire fuori dagli schemi e trovare soluzioni innovative per la foresta galleggiante.

Il risultato finale è frutto di un lavoro sinergico in cui, a professionisti dalla consolidata esperienza, sono stati affiancati giovani in grado di andare oltre i comuni parametri, grazie alla freschezza delle loro idee.

Le sfide del progetto della Bobbing Forest

Come ironizzato dallo stesso Evereat, anche gli alberi, come tutti gli esseri viventi, “soffrono il mal di mare”.

Il primo problema da risolvere era perciò quello di individuare le specie vegetali che potessero sopravvivere alla “vita galleggiante”; inoltre le boe dovevano essere in grado di tenere in piedi gli alberi senza che questi si ribaltassero.

caption: foto da DobberendBos.nl

Le ricerche effettuate da un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze Applicate dell’Università di Van Hall Larenstein hanno permesso di escogitare il sistema più efficace per mantenere in vita le piante nelle acque salmastre del porto oltre che individuare la specie arborea più idonea: l’Olmo Olandese (Ulmus x hollandica “Major”). Connotato dalla capacità di crescere rapidamente, il legno duro che lo caratterizza è infatti in grado di resistere all’azione del vento e dell’acqua; necessita inoltre di poca potatura.

Le sperimentazioni necessarie ad impedire il ribaltamento delle boe della Bobbing Forest, soprattutto nei periodi di burrasca, sono state condotte da un team di aspiranti ingegneri civili della Delft University of Technology. I calcoli effettuati hanno evidenziato la necessità di apportare modifiche alle boe standard; le variazioni sono state realizzate da una Società di produzione dell’acciaio, grazie al lavoro di alcuni giovani tirocinanti sulla base dei disegni esecutivi del gruppo di progettazione strutturale.

Nel corso del periodo di ricerca, nel Marzo 2014, è stato lanciato con successo un primo prototipo; per il completamento dell’opera manca solo il delicato compito dell’assemblaggio finale.

caption: a sinistra l’assessore Alexandra van Huffelen durante il lancio del primo prototipo nel 2014. L’albero era spoglio. A destra i prototipi dopo il monitoraggio di 6 mesi: gli alberi si sono riempiti di foglie! Foto da Dobberendbos.nl

La foresta galleggiante di Rotterdam un progetto sostenibile

Oltre a quelli dei gruppi di ricerca universitari, fondamentali sono stati gli sforzi messi in campo da diverse autorità, sia locali che nazionali. Il loro prezioso contribuito ha fatto sì che, durante il lungo iter progettuale, non fosse mai perso di vista l’obiettivo cardine del progetto: la sostenibilità.

La maggior parte dei materiali utilizzati per la realizzazione della Bobbing Forest sono infatti riciclati.

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caption: foto da DobberendBos.nl

La Rijkswaterstaat, Agenzia del Ministero delle Infrastrutture e dell’Ambiente, ha messo a disposizione 20 boe utilizzate nel Mar del Nord e in via di dismissione.

Gli olmi sono stati donati dalla Bomendepot, una struttura del Comune che si occupa dello “stoccaggio del alberi”; da un po’ di anni infatti la città di Rotterdam ha deciso di adottare una politica volta alla tutela degli alberi negli spazi pubblici: ogni volta che un pezzo di città viene rinnovata, gli arbusti non più adatti al nuovo contesto non vengono abbattuti ma stipati in attesa di una nuova collocazione.

Ruolo chiave è stato infine svolto dalla piattaforma per l’innovazione di Rotterdam, CityLab010, che ha permesso la fattibilità economica del progetto.

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La foresta galleggiante nel porto di Rotterdam: Bobbing Forest

“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso” affermava Confucio. In contesti come quelli portuali però, dove è il cemento a far da padrone, la possibilità di ricavare spazi verdi può essere considerata quasi un miraggio. Una brillante soluzione a tale problema è stata trovata a Rotterdam dove, tra poco più di un mese, verrà presentata la prima foresta galleggiante al mondo: la “Bobbing Forest”. 

In copertina: foto da DobberendBos.nl

Il progetto della BOBBING FOREST

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caption: foto da DobberendBos.nl

Gli olandesi, sempre più impazienti per la realizzazione del progetto della Bobbing Forest, sono ancora increduli di fronte all’eco internazionale che l’iniziativa della foresta galleggiante ha avuto; d’altronde si sa, quando passione per l’arte e cura del verde si incontrano nel medesimo progetto non può che venir fuori qualcosa di sorprendente!

Saranno sufficienti poche settimane per completare l’installazione; tutto dovrà essere pronto per il 16 marzo, giorno dell’inaugurazione e, non a caso, Giornata Nazionale dell’Albero. In tale occasione a Rotterdam saranno messi in acqua ed ancorati sul fondo del bacino portuale di Rijnhaven “20 alberi galleggianti”, mentre un ventunesimo sarà lasciato sulla banchina in modo che residenti e turisti possano osservarlo da vicino.

L’obiettivo è quello di offrire un valido contributo alla lotta per i cambiamenti climatici ma soprattutto porre l’accento sulla necessità dell’innalzamento della qualità della vita nelle città; la foresta galleggiante vuole essere un esempio per le nuove generazioni, un simbolo dell’importanza delle aree verdi all’interno del centro abitato.

L’idea della foresta galleggiante

La Bobbing Forest è la versione a scala naturale della scultura che Jorge Bakker, artista colombiano ma olandese di adozione, ha realizzato nel 2012: un acquario contenente alberi in scala sospesi sull’acqua tramite galleggianti.

caption: foto da Onderwerper.nl

“In Search of Habitats” (letteralmente “in cerca di habitat”) è l’evocativo titolo dell’opera che usa elementi naturali come acqua e piante per indurre l’osservatore ad una riflessione: che rapporto i cittadini hanno con la natura e come entrambi si relazionano con l’ambiente che li circonda?

Il messaggio non è passato inosservato a Jeroen Everaert, responsabile del centro di produzione culturale Mothership, Anne van der Zwaag, storica d’arte e imprenditore culturale, e al designer olandese Jurgen Bey, tanto da spingerli a “spostare l’asticella un po’ più in alto”, cercando di espandere tale concetto nella vita reale.

caption: foto da DobberendBos.nl

È nato così un progetto tanto avvincente sulla carta quanto pieno di ostacoli nella realtà.

Le molteplici sfide (tecniche, ambientali ed economiche) non hanno fatto altro che alimentare la voglia di fare degli ideatori, portando sin da subito Motheriship a cercare collaboratori all’altezza della situazione, in grado di uscire fuori dagli schemi e trovare soluzioni innovative per la foresta galleggiante.

Il risultato finale è frutto di un lavoro sinergico in cui, a professionisti dalla consolidata esperienza, sono stati affiancati giovani in grado di andare oltre i comuni parametri, grazie alla freschezza delle loro idee.

Le sfide del progetto della Bobbing Forest

Come ironizzato dallo stesso Evereat, anche gli alberi, come tutti gli esseri viventi, “soffrono il mal di mare”.

Il primo problema da risolvere era perciò quello di individuare le specie vegetali che potessero sopravvivere alla “vita galleggiante”; inoltre le boe dovevano essere in grado di tenere in piedi gli alberi senza che questi si ribaltassero.

caption: foto da DobberendBos.nl

Le ricerche effettuate da un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze Applicate dell’Università di Van Hall Larenstein hanno permesso di escogitare il sistema più efficace per mantenere in vita le piante nelle acque salmastre del porto oltre che individuare la specie arborea più idonea: l’Olmo Olandese (Ulmus x hollandica “Major”). Connotato dalla capacità di crescere rapidamente, il legno duro che lo caratterizza è infatti in grado di resistere all’azione del vento e dell’acqua; necessita inoltre di poca potatura.

Le sperimentazioni necessarie ad impedire il ribaltamento delle boe della Bobbing Forest, soprattutto nei periodi di burrasca, sono state condotte da un team di aspiranti ingegneri civili della Delft University of Technology. I calcoli effettuati hanno evidenziato la necessità di apportare modifiche alle boe standard; le variazioni sono state realizzate da una Società di produzione dell’acciaio, grazie al lavoro di alcuni giovani tirocinanti sulla base dei disegni esecutivi del gruppo di progettazione strutturale.

Nel corso del periodo di ricerca, nel Marzo 2014, è stato lanciato con successo un primo prototipo; per il completamento dell’opera manca solo il delicato compito dell’assemblaggio finale.

caption: a sinistra l’assessore Alexandra van Huffelen durante il lancio del primo prototipo nel 2014. L’albero era spoglio. A destra i prototipi dopo il monitoraggio di 6 mesi: gli alberi si sono riempiti di foglie! Foto da Dobberendbos.nl

La foresta galleggiante di Rotterdam un progetto sostenibile

Oltre a quelli dei gruppi di ricerca universitari, fondamentali sono stati gli sforzi messi in campo da diverse autorità, sia locali che nazionali. Il loro prezioso contribuito ha fatto sì che, durante il lungo iter progettuale, non fosse mai perso di vista l’obiettivo cardine del progetto: la sostenibilità.

La maggior parte dei materiali utilizzati per la realizzazione della Bobbing Forest sono infatti riciclati.

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caption: foto da DobberendBos.nl

La Rijkswaterstaat, Agenzia del Ministero delle Infrastrutture e dell’Ambiente, ha messo a disposizione 20 boe utilizzate nel Mar del Nord e in via di dismissione.

Gli olmi sono stati donati dalla Bomendepot, una struttura del Comune che si occupa dello “stoccaggio del alberi”; da un po’ di anni infatti la città di Rotterdam ha deciso di adottare una politica volta alla tutela degli alberi negli spazi pubblici: ogni volta che un pezzo di città viene rinnovata, gli arbusti non più adatti al nuovo contesto non vengono abbattuti ma stipati in attesa di una nuova collocazione.

Ruolo chiave è stato infine svolto dalla piattaforma per l’innovazione di Rotterdam, CityLab010, che ha permesso la fattibilità economica del progetto.

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Un organo suonato dalle onde del mare a Zara

Fino ad oggi l’architettura ha emozionato, comunicato, rappresentato, divertito e affascinato. Oggi si può affermare che un’opera architettonica ha anche suonato. Il lungomare di Zara, in Croazia, infatti, non solo abbellisce un luogo che fino al 2005 era definito da un semplice muraglione in cemento, ma permette a passanti e turisti di ascoltare una piacevole melodia suonata dalle onde del mare.

L’idea nasce dall’estro creativo e dalla genialità dell’architetto Nikola Bašić, che ha voluto trasformare in un organo azionato dalla pressione dell’acqua marina un luogo che, dopo la ricostruzione post bellica della città, è rimasto abbandonato, proprio fino alla realizzazione dell’opera.

MUSICA DALLA PIOGGIA: L’EDIFICIO CHE SUONA QUANDO PIOVE

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L’architettura-strumento è stata battezzata “Sea Organ“, “Morske Orgulije” in lingua croata, ed è stata premiata, nel 2006, con un European Prize for Urban Space.

Sea Organ: i tubi che cantano

Il lungomare di Zara è lungo ben 70 metri e, all’interno degli ampi gradoni in marmo, sono installati 35 tubi in polietiliene di lunghezza, diametro e inclinazione diversa. In questo modo, quando le onde e il vento si infrangono contro la barriera marmorea, aria e acqua possono entrare nei tubi e generare un suono sempre diverso, dipendente non soltanto dal tipo di tubo coinvolto, ma anche dalle condizioni meteorologiche esistenti. 

Dei fori praticati lungo le alzate dei gradoni permettono al suono di uscire dal sistema e agli spettatori di godersi l’ineguagliabile spettacolo che musica, mare e paesaggio riescono ad offrire. 

L’intera opera è stata realizzata con materiali appositamente selezionati per garantire una buona qualità e diffusione del suono. Sono, inoltre, resistenti alle intemperie e alle condizioni climatiche che avrebbero potuto provocare danneggiamenti o addirittura distruzione degli stessi, soprattutto per azione della salsedine marina.

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Il lungomare di Zara: sette “Sirene” che cantano verso il mare

Proprio come le Sirene della mitologia, che incantavano i marinai con il loro dolce e soave canto, così i gradoni del Sea Organ ammaliano turisti e visitatori provenienti da tutto il mondo rivolgendo una piacevole melodia al mare croato. I sette salti di quota paralleli del Lungomare di Zara, infatti, si gettano nel mare sia fisicamente che con le loro note, direzionando la musica verso l’acqua e in direzione opposta al centro della città.

La composizione dei vari podi segue una logica per cui ad ogni salto di quota si ha un cambio di passo, cosicché la sagoma della struttura mostri dei gradoni sfalsati tra di loro. 

I primi tre filari sono i più lunghi, costituiti da sei passi che scendono fino ad arrivare ad una quota di due metri, punto di approdo delle navi da crociera. Dal quarto gradone, per tutti i successivi, l’alzata e il numero dei passi permettono alla massa marmorea di avvicinarsi lentamente al mare, di lasciarsi trascinare gradualmente in acqua dalle onde che giungono a terra spinte dalla corrente. 

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Il Sea Organ è un organo anche nella forma

La scelta della forma organizzata per sovrapposizione di gradoni non è stata dettata soltanto dalla topografia del terreno su cui l’opera è stata realizzata. I tubi inseriti all’interno dell’armatura in marmo, infatti, seguono anche nell’altezza, la forma di un vero organo. Questa scelta consente di avere i tubi di lunghezza diversa e di ottenere note differenti in base a come il mare decide di suonarle.

Seguendo tale andamento anche con il rivestimento esterno e creando delle piccole terrazze che si diradano man mano che scendono verso il mare, Nikola Bašić ha ridisegnato il waterfront di Zara e gli ha dato una nuova funzione, oltre che una nuova vita. Il muraglione in cemento è stato sostituito da gradoni che si trasformano in sedute, che invitano gente del posto e visitatori occasionali a sedersi, a concedersi qualche minuto di tranquillità e a farsi cullare da una musica eseguita da un musicista d’eccezione: la natura.

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Un organo suonato dalle onde del mare a Zara

Fino ad oggi l’architettura ha emozionato, comunicato, rappresentato, divertito e affascinato. Oggi si può affermare che un’opera architettonica ha anche suonato. Il lungomare di Zara, in Croazia, infatti, non solo abbellisce un luogo che fino al 2005 era definito da un semplice muraglione in cemento, ma permette a passanti e turisti di ascoltare una piacevole melodia suonata dalle onde del mare.

L’idea nasce dall’estro creativo e dalla genialità dell’architetto Nikola Bašić, che ha voluto trasformare in un organo azionato dalla pressione dell’acqua marina un luogo che, dopo la ricostruzione post bellica della città, è rimasto abbandonato, proprio fino alla realizzazione dell’opera.

MUSICA DALLA PIOGGIA: L’EDIFICIO CHE SUONA QUANDO PIOVE

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L’architettura-strumento è stata battezzata “Sea Organ“, “Morske Orgulije” in lingua croata, ed è stata premiata, nel 2006, con un European Prize for Urban Space.

Sea Organ: i tubi che cantano

Il lungomare di Zara è lungo ben 70 metri e, all’interno degli ampi gradoni in marmo, sono installati 35 tubi in polietiliene di lunghezza, diametro e inclinazione diversa. In questo modo, quando le onde e il vento si infrangono contro la barriera marmorea, aria e acqua possono entrare nei tubi e generare un suono sempre diverso, dipendente non soltanto dal tipo di tubo coinvolto, ma anche dalle condizioni meteorologiche esistenti. 

Dei fori praticati lungo le alzate dei gradoni permettono al suono di uscire dal sistema e agli spettatori di godersi l’ineguagliabile spettacolo che musica, mare e paesaggio riescono ad offrire. 

L’intera opera è stata realizzata con materiali appositamente selezionati per garantire una buona qualità e diffusione del suono. Sono, inoltre, resistenti alle intemperie e alle condizioni climatiche che avrebbero potuto provocare danneggiamenti o addirittura distruzione degli stessi, soprattutto per azione della salsedine marina.

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Il lungomare di Zara: sette “Sirene” che cantano verso il mare

Proprio come le Sirene della mitologia, che incantavano i marinai con il loro dolce e soave canto, così i gradoni del Sea Organ ammaliano turisti e visitatori provenienti da tutto il mondo rivolgendo una piacevole melodia al mare croato. I sette salti di quota paralleli del Lungomare di Zara, infatti, si gettano nel mare sia fisicamente che con le loro note, direzionando la musica verso l’acqua e in direzione opposta al centro della città.

La composizione dei vari podi segue una logica per cui ad ogni salto di quota si ha un cambio di passo, cosicché la sagoma della struttura mostri dei gradoni sfalsati tra di loro. 

I primi tre filari sono i più lunghi, costituiti da sei passi che scendono fino ad arrivare ad una quota di due metri, punto di approdo delle navi da crociera. Dal quarto gradone, per tutti i successivi, l’alzata e il numero dei passi permettono alla massa marmorea di avvicinarsi lentamente al mare, di lasciarsi trascinare gradualmente in acqua dalle onde che giungono a terra spinte dalla corrente. 

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Il Sea Organ è un organo anche nella forma

La scelta della forma organizzata per sovrapposizione di gradoni non è stata dettata soltanto dalla topografia del terreno su cui l’opera è stata realizzata. I tubi inseriti all’interno dell’armatura in marmo, infatti, seguono anche nell’altezza, la forma di un vero organo. Questa scelta consente di avere i tubi di lunghezza diversa e di ottenere note differenti in base a come il mare decide di suonarle.

Seguendo tale andamento anche con il rivestimento esterno e creando delle piccole terrazze che si diradano man mano che scendono verso il mare, Nikola Bašić ha ridisegnato il waterfront di Zara e gli ha dato una nuova funzione, oltre che una nuova vita. Il muraglione in cemento è stato sostituito da gradoni che si trasformano in sedute, che invitano gente del posto e visitatori occasionali a sedersi, a concedersi qualche minuto di tranquillità e a farsi cullare da una musica eseguita da un musicista d’eccezione: la natura.

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Rifugi modulari nella natura come vecchie abitazioni di pescatori

In Danimarca, a sud dell’arcipelago Fyn, è possibile godersi a pieno la natura grazie a cinquanta costruzioni in legno esclusivamente realizzate per una vita all’aria aperta ed ispirati alle abitazioni un tempo dei pescatori. 

I rifugi sono collocati in 19 punti bene precisi: ogni posizione è accuratamente studiata in base ad un attento studio del paesaggio e delle sue prospettive. Questa disposizione, diffusa nei quattro comuni di Langeland, Ærø, Svendborg e Faaborg-Midtfyn, è stata garantita da un patto tra l’Agenzia del territorio della Danimarca ed il Ministero dell’Ambiente, in cui viene meno lo stato di area protetta delle suddette aree costiere. 

CASA NA AREIA: AIRES MATHEUS RECUPERA UN VILLAGGIO DI PESCATORI

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Nel progetto di LUMO Architects, che prende il nome di Shelters by he Sea, ogni rifugio è stato accuratamente selezionato e adattato all’ambiente circostante, in modo da costituire un landmark che, tuttavia, non interferisca con la qualità paesaggistica del sito. I rifugi sono situati molto vicino alla costa al fine di accogliere i vari visitatori provenienti dal mare.

I punti di riferimento, adattabili ad ogni esigenza, divengono un sostegno delle attività durante tutto l’anno, contribuendo a incanalare il traffico e direzionarlo oltre le aree naturalmente vulnerabili. Allo stesso tempo, essi funzionano anche come base e punti di ritrovo per canoisti, pescatori, subacquei e surfisti.

Ogni sito consiste in un riparo individuale o in un piccolo gruppo di vari rifugi, che da soli o in combinazione rafforzano la vicinanza alla vita all’aria aperta ed il legame con l’ambiente. Il concetto architettonico generale è stato quello di creare cinque differenti tipologie di edificio, sia dal punto di vista dimensionale che funzionale, che mantengano al tempo stesso una chiara relazione continua e spaziale tra loro.

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Fonte d’ispirazione per il design e l’architettura sono i vecchi capanni dei pescatori, da cui sono stati anche ispirati i nomi: Pescatrice, con i suoi tre livelli e piattaforma integrata di bird-watching; Anguilla, un riparo per sei-sette persone che funge anche da spazio pic-nic per le classi scolastiche; Lombo, un rifugio per 3-5 persone dotata di soggiorno e spazio sauna; Platessa una suite per due ed, infine, Eelpout che funziona come toilette.

Le varie scelte tipologiche sono state ideate per essere combinate tra di loro e per completarsi l’una con l’altra in diversi modi, creando così molteplici possibilità compositive e di utilizzo dei luoghi, prediligendo comunque lo spazio per una vita attiva all’aria aperta. I rifugi appaiono come corpi asimmetrici con linee angolate e sono coperti con assi di legno di grandi dimensioni e trattate con olio di catrame nero pigmentato. Le aperture, a forma di tondo, garantiscono il rapporto con la natura circostante ed il cielo.

Il profilo angolare e tattile permette una ricca varietà nella progettazione del rifugio, aggiungendo flessibilità funzionale e facilitano le diverse esigenze dei fruitori dell’area. 

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Rifugi modulari nella natura come vecchie abitazioni di pescatori

In Danimarca, a sud dell’arcipelago Fyn, è possibile godersi a pieno la natura grazie a cinquanta costruzioni in legno esclusivamente realizzate per una vita all’aria aperta ed ispirati alle abitazioni un tempo dei pescatori. 

I rifugi sono collocati in 19 punti bene precisi: ogni posizione è accuratamente studiata in base ad un attento studio del paesaggio e delle sue prospettive. Questa disposizione, diffusa nei quattro comuni di Langeland, Ærø, Svendborg e Faaborg-Midtfyn, è stata garantita da un patto tra l’Agenzia del territorio della Danimarca ed il Ministero dell’Ambiente, in cui viene meno lo stato di area protetta delle suddette aree costiere. 

CASA NA AREIA: AIRES MATHEUS RECUPERA UN VILLAGGIO DI PESCATORI

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Nel progetto di LUMO Architects, che prende il nome di Shelters by he Sea, ogni rifugio è stato accuratamente selezionato e adattato all’ambiente circostante, in modo da costituire un landmark che, tuttavia, non interferisca con la qualità paesaggistica del sito. I rifugi sono situati molto vicino alla costa al fine di accogliere i vari visitatori provenienti dal mare.

I punti di riferimento, adattabili ad ogni esigenza, divengono un sostegno delle attività durante tutto l’anno, contribuendo a incanalare il traffico e direzionarlo oltre le aree naturalmente vulnerabili. Allo stesso tempo, essi funzionano anche come base e punti di ritrovo per canoisti, pescatori, subacquei e surfisti.

Ogni sito consiste in un riparo individuale o in un piccolo gruppo di vari rifugi, che da soli o in combinazione rafforzano la vicinanza alla vita all’aria aperta ed il legame con l’ambiente. Il concetto architettonico generale è stato quello di creare cinque differenti tipologie di edificio, sia dal punto di vista dimensionale che funzionale, che mantengano al tempo stesso una chiara relazione continua e spaziale tra loro.

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Fonte d’ispirazione per il design e l’architettura sono i vecchi capanni dei pescatori, da cui sono stati anche ispirati i nomi: Pescatrice, con i suoi tre livelli e piattaforma integrata di bird-watching; Anguilla, un riparo per sei-sette persone che funge anche da spazio pic-nic per le classi scolastiche; Lombo, un rifugio per 3-5 persone dotata di soggiorno e spazio sauna; Platessa una suite per due ed, infine, Eelpout che funziona come toilette.

Le varie scelte tipologiche sono state ideate per essere combinate tra di loro e per completarsi l’una con l’altra in diversi modi, creando così molteplici possibilità compositive e di utilizzo dei luoghi, prediligendo comunque lo spazio per una vita attiva all’aria aperta. I rifugi appaiono come corpi asimmetrici con linee angolate e sono coperti con assi di legno di grandi dimensioni e trattate con olio di catrame nero pigmentato. Le aperture, a forma di tondo, garantiscono il rapporto con la natura circostante ed il cielo.

Il profilo angolare e tattile permette una ricca varietà nella progettazione del rifugio, aggiungendo flessibilità funzionale e facilitano le diverse esigenze dei fruitori dell’area. 

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Una casa-rifugio per i volontari del parco

All’interno di Noorderpark, un parco di 5900 acri a nord di Utrecht (Paesi Bassi), gli architetti del cc-studio di Amsterdam hanno sostituito il vecchio edificio presente dal 1966 con un alloggio semplice e affascinante. La casa funge da luogo di riposo per i volontari che curano il parco, di rifugio in caso di maltempo e di ricovero per le attrezzature da giardinaggio. Secondo la normativa locale, la costruzione del fabbricato non necessita di alcun permesso di costruire perché rispetta il volume e la funzione dell’alloggio originario. Gli architetti l’hanno progettato in modo da poter essere visibile solo nelle immediate vicinanze, minimizzando al massimo l’impatto visivo.

UN RIFUGIO IN LEGNO PER LA GUARDIA FORESTALE

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La casa-rifugio, di 35 mq con un’altezza di 3,5 m, è composta da un ripostiglio, un bagno/lavanderia, una zona pranzo con focolare ed un angolo relax con letto. Il cuore della casa è costituito da un corpo centrale che accoglie una stufa a legna e delle sedute. Questo elemento regge la struttura di supporto del tetto e per sua stessa conformazione, ricorda la forma di un albero.

Il tetto e le pareti dell’edificio destinato ai volontari sono costituite da un involucro in alluminio color verde mentre l’interno prevede l’utilizzo di materiali naturali ed è rivestito quasi interamente in legno compensato. La cucina e il camino sono alimentati dalla legna raccolta all’interno del parco. Sia le pareti che il tetto sono caratterizzati dalla presenza di aperture finestrate che creano un forte collegamento con l’ambiente esterno. Ma a smaterializzare i confini tra interno ed esterno sono sicuramente le due porte scorrevoli ad angolo. Aprendosi completamente offrono l’opportunità di godere del prato, di instaurare un rapporto intimo e diretto con la foresta circostante.

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L’ambiente naturale, è l’unico protagonista della scena. Così succede che passeggi all’interno del parco e scopri un rifugio, quasi un nascondiglio inaspettato. Forse è proprio questo uno dei connotati dell’architettura, di piccola o grande scala: stupire lo spettatore che osserva un’opera adeguata al contesto, in cui la forma risponde alla funzione in un modo giusto e naturale.

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La fabbrica dismessa diventa uno spazio dove lavorare è un piacere

Un marchio estone, produttore di abbigliamento per bambini, ha deciso di trasferire i suoi uffici di Tallin in una ex fabbrica di epoca sovietica e ha affidato il progetto allo studio KAMP Arhitektid.

Il cliente aveva posto come obiettivo della riqualificazione la trasformazione del volume asettico e austero del vecchio edificio dismesso in un ambiente accogliente. Affascinare i dipendenti e renderli più produttivi grazie a uno spazio stimolante e attirare i visitatori dallo spettacolo intravisto oltre le finestre: i progettisti dovevano creare un “parco giochi” per adulti.

LUOGHI DI LAVORO: UNA SCALA VERDE PER NUOVI SPAZI IN UFFICIO

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I quasi 1.100 metri quadrati, una vertiginosa altezza massima di 8 metri, della fabbrica dismessa sono stati effettivamente rivoluzionati, creando una vera e propria oasi, tra stanze di legno e alberi, quasi una rigogliosa foresta permanente. Ora la vegetazione è artificiale e raggiunge le travi del tetto, ma presto sarà sostituita da vere piante, in attesa che assumano una adeguata dimensione.

La vecchia fabbrica, completamente in disuso, ha ripreso vita e ora, percorrendo in estensione il grande spazio multipiano si possono incontrare sale riunioni, zone relax, uffici più piccoli adibiti a spazi di lavoro. Il “paesaggio” si snoda a più livelli, ma i materiali usati, i colori e le forme taglienti creano un ambiente unico e armonioso.

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Le grandi vetrate permettono l’ingresso di un notevole quantitativo di luce interna, diffusa e amplificata grazie all’inserimento di lucernari zenitali in copertura. Anche il sistema di ventilazione e riscaldamento è stato sostituito per essere più efficace per la nuova configurazione dell’ambiente di lavoro.

La fila di grandi lampade da tavolo, a richiamo del lavoro sartoriale, accompagna il percorso lungo i corridoi, ingannando l’occhio dell’osservatore che, in un divertente gioco prospettico, si accorge della loro altezza (quasi 3 metri) solo quando passa sotto. Gli arredi funzionali al ricovero della merce venduta sono molto discreti e si inseriscono perfettamente nel racconto architettonico; solo i pomelli degli armadi, ritagliate a forma di bambino suggeriscono la categoria di vendita del marchio.

Il progetto, molto affascinante, sembra voler avvallare la tesi dell’architetto Michele de Lucchi (autore dell’Unicredit Pavilion a Milano) che, al Salone dell’Ufficio di quest’anno, ha voluto sintetizzare nella sua installazione “La passeggiata” una nuova idea di ambienti di lavoro: ricchi di stimoli, facilitatori di incontri, diversificati e confortevoli. Dove lavorare è prima di tutto un piacere.

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caption: © Design: KAMP Arhitektid

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Come sarà la Sagrada Familia nel 2026?

L’opera più famosa dell’architetto catalano, Antoni Gaudí, potrebbe essere completata nel 2026, dopo 144 anni dalla posa della prima pietra. Il cantiere della Sagrada Familia aprì nel 1882 con il progetto dell’architetto Francisco de Paula del Villar; solo nel 1883 fu affidato a Gaudí con il compito di proseguirne l’opera, che però ne modificò radicalmente il progetto con il suo inconfondibile stile. Artista ossessionato dalla perfezione e architetto delle “forme impossibili”, visse nella cattedrale come eremita dedicandole i suoi ultimi 14 anni di vita. Con la sua morte, avvenuta accidentalmente nel 1926, ha lasciato un’ingombrante eredità a scultori, artisti ed architetti. A quel tempo, infatti, erano state innalzate soltanto una facciata e una torre, ma già si preannunciava come il più grande capolavoro della cristianità.

Chiese del XXI secolo: Shigeru Ban e la cattedrale in cartone

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Nel 2026, in occasione del centenario della morte di Gaudì, il responsabile dei lavori di costruzione, l’architetto Jordi Faudi dichiara che la maggior parte dei lavori della Sagrata Familia saranno conclusi; rimarranno pochi elementi decorativi e finiture. Quindi, la chiesa dovrebbe essere interamente ultimata entro il 2030 o il 2032.

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Dopo aver costruito le sei immense torri, ed in particolare la Torre di Gesù Cristo sormontata da una croce per un’altezza di 173,5 m, diventerà edificio di culto più alto d’Europa. Supererà di 10 m la cattedrale di Ulm, in Germania. Se però si considera l’altezza interna, il primato dell’edificio più alto rimarrà ancora alla cattedrale di San Pietro a Roma.

La Sagrada Familia avrà 18 guglie dedicate a diverse figure religiose di varie altezze a seconda della gerarchia, quattro per gli evangelisti, una per ogni apostolo e due, che supereranno le altre, in onore della Vergine Maria e Gesù.

La lentezza dei tempi di cantiere e l’incertezza delle date di completamento sono causate non solo dalle difficoltà costruttive e dalla vastità dell’opera, ma anche da motivi economici. La costruzione è finanziata esclusivamente da donazioni private e dal ricavato dei biglietti dei visitatori, che in media si aggira sui 13 e 20 milioni di euro per anno.

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Il video di un minuto e mezzo, pubblicato dai costruttori della basilica, ci proietta nel futuro mostrandoci la configurazione finale a lavori ultimati. La costruzione, consacrata basilica da papa Benedetto XVI il 7 novembre 2010, continua a dividere cittadini, esperti ed ammiratori a causa dell’enorme budget speso, del progetto troppo articolato, e ovviamente dell’impossibilità di intercettare la visione originale dell’architetto catalano.

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Dio non aveva fretta di vederla finita, aveva ironizzato Gaudì… ed in effetti tempi di realizzazione sono davvero considerevoli. Comunque ora la basilica si avvia alla sua fase finale, grazie alla caparbia dei sostenitori, alle donazioni ma soprattutto alle nuove tecniche costruttive e alle stampanti 3d, che sembrano aver accelerato la costruzione. “Lavorare sui disegni di Gaudì in 2d non ha senso dal punto di vista architettonico” dichiara Jordi; lo stesso Peter Sealy, ricercatore di Harvard conferma la Sagrada Familia è così complessa che è quasi impossibile disegnare dei progetti. Gaudí, infatti, ha lasciato praticamente solo un sistema geometrico di superfici rigate e un metodo di lavoro per tradurre queste geometrie in modelli di gesso. Molti dei modelli di Gaudì furono distrutti dagli anarchici durante la guerra civile spagnola, ma i frammenti superstiti possono ora essere digitalizzati con gli scanner 3d.

E infine: “le intenzioni progettuali di Gaudí possono essere decodificate da questi modelli digitali, che possono poi essere utilizzati per lo sviluppo del design e la fabbricazione, con pietra da taglio e cemento versato in stampi realizzati in scala 1:1 “.

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La Torre dei Cedri: il nuovo bosco verticale di Stefano Boeri a Losanna

Il nuovo bosco verticale, dopo quello di Milano, sorgerà a Losanna: il progetto per la costruzione della nuova torre verde è stato affidato allo studio Stefano Boeri Architetti (Sba): si tratta di una costruzione sostenibile che verrà realizzato nel comune di Chavannes-Près-Renens, in un aggregato urbano della cittadina svizzera. “La Torre dei Cedri”, così denominata, nasce da un progetto che ha visto la collaborazione di Stefano Boeri con Buro Happold Engineering e con l’agronoma Laura Gatti; il costruttore svizzero Bernard Nicod renderà possibile la concretizzazione dell’edificio.

IL BOSCO VERTICALE DI BOERI A MILANO

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Gli alberi del nuovo bosco verticale di Boeri

La torre di Losanna ospiterà 100 alberi di cedro, 6 mila arbusti e 18 mila piante di differenti tipologie, per un’altezza complessiva di 117 metri; saranno inoltre presenti alberi di cedro appartenenti a quattro differenti specie. L’edificio sarà caratterizzato da forme ortogonali della facciata, che ospiteranno al loro interno terrazze ricche di verde, per un totale di oltre 24.000 piante.

Il nuovo edificio sarà il primo al mondo con l’80% di alberi sempreverdi, e potrà in questo modo fornire un importante contributo ecologico sia per fissare le polveri sottili che per assorbire anidride carbonica e produrre ossigeno; il significativo apporto fornito per la riduzione dell’inquinamento urbano nasce dalla possibilità di combattere l’effetto isola di calore e di favorire la biodiversità nell’ambiente urbano.

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Le caratteristiche de La Torre dei Cedri

La Torre dei Cedri sarà costituita da 36 piani, per un totale di circa 3.000 mq ed ospiterà non solo residenze private, ma anche una palestra ed un ristorante panoramico. Intorno al grattacielo, il progetto prevede un centro commerciale ed un parco, circondato da una serie di palazzine più basse.

Stefano Boeri ha affermato: “Con La Torre dei Cedri avremo la possibilità di realizzare un edificio sobrio e insieme di grande importanza nel paesaggio di Losanna. Un’architettura capace tra l’altro di innestare una significativa biodiversità di specie vegetali nel cuore di una importante città europea”.

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In Svezia alla scoperta di una casa che produce cibo anziché rifiuti

E poi capita che in un giorno d’estate, in vacanza in Svezia viaggiando da Stoccolma a Goteborg, alzi lo sguardo e vedi qualcosa di inaspettato ai bordi del lago Vättern.

Dopo immense foreste verdi e vastissimi campi coltivati, proprio quando inizi a riconsiderare quella che fino ad allora hai sempre creduto potesse essere la definizione di “deserto”, ecco che in questa landa desolata compare una costruzione che ha quasi dell’incredibile: la Uppgränna Nature House, casa auto-sostenibile che produce cibo e nessun rifiuto.

Ristrutturare fienili: un esempio in Tasmania

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Inizialmente si potrebbe non far caso all’eccezionalità dell’opera.  Ma di fatto non è così. Gli svedesi sono maestri di design e di tutto ciò che è ecosostenibile ed ecocompatibile ed hanno quindi realizzato qualcosa di eccezionale.

L’Uppgränna Nature House è un vero e proprio “edificio serra”: un vecchio fienile è stato cioè trasformato in una serra a basso impatto ambientale all’interno della quale persone e piante vivono insieme in armonia e vengono prodotti alimenti in modo sostenibile con un sistema di riciclo dell’acqua a circuito chiuso.

L’opera è dello studio TailorMade Arkitekter che ha progettato la struttura in collaborazione con Living Serra, un gruppo di consulenza che lavora sullo sviluppo di progetti Naturhus eco-compatibili.

L’Uppgränna Nature House unisce il design contemporaneo con l’architettura tradizionale svedese. L’edificio mantiene infatti la classica forma a due spioventi, ma la sua particolarità sta nel fatto che la parte inferiore della struttura con il suo colore rosso, rievoca il fienile e le case svedesi, mentre l’intera parte superiore è realizzata con vetrate isolanti che richiamano un’estetica decisamente più moderna. La serra che si viene così a creare al livello superiore occupa quasi la metà della pianta dell’edificio ed ospita aiuole contenti frutta, fiori e ortaggi, il tutto all’interno di un clima decisamente mediterraneo. Al suo interno trovano posto anche un piccolo laghetto con una cascata e una grande varietà di agrumi.  Il livello inferiore ospita aree ristoro dove la cucina propone piatti vegetariani a base di prodotti coltivati ​​in serra, sale riunioni, spa e camere da letto. 

L’obiettivo è quello di realizzare una casa auto-sostenibile che produce cibo, invece di rifiuti. Inoltre, vivere in una serra dovrebbe incoraggiare uno stile di vita sostenibile e non tossico.

L’Uppgränna Nature House non è collegata a un sistema fognario e riutilizza le acque reflue come irrigazione in un sistema a circuito chiuso. Costruito principalmente in legno, l’edificio è ben isolato e riesce a mantenere un basso impatto energetico grazie alla ventilazione solare e naturale passiva.

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Casa Natura: si alimenta con una serra che genera cibo e calore

Nel sud della Svezia, non lontano dal lago Vättern, in un contesto tipicamente agricolo e caratterizzato da strutture rurali rosse con persiane bianche, sorge la “Uppgrenna Naturhus”, ovvero “casa Natura”.

Costruire un’architettura efficiente ed accessibile, con spazi per la riflessione e l’apprendimento, in cui si possa influenzare il comportamento dei residenti verso un atteggiamento più affine ai concetti sostenibili e di valorizzazione del paesaggio, questi sono i presupposti che hanno portato alla realizzazione della “Uppgrenna Naturhus”.

UN FIENILE FIAMMINGO DIVENTA UFFICIO

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Il progetto di “Casa Natura”, di Tailor Made Arkitekter, conferisce una nuova connotazione a questo luogo tipicamente rurale: dove prima un vecchio fienile rosso veniva utilizzato per il deposito dei macchinari agricoli, sorge un nuovo edificio, adibito a conferenze, seminari, ristorante e spa.

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Il progetto si ispira al concetto architettonico locale “Naturhus” sostenuto sin dal 1970 da Bengt Warne. Warne era, infatti, convinto che vivere in una serra potesse esprimere la quarta dimensione dell’architettura, dove il tempo fosse scandito dai flussi infiniti del sole, della pioggia, del vento e del suolo, in cui l’architettura venisse influenzata dall’ambiente e da esso trovasse giovamento.

La “casa Natura” si compone di tre parti: due più prettamente architettoniche costituite da un edificio isolato e da una serra che si estende verso l’esterno con delle terrazze protette, ed una terza impiantistica per il riciclaggio delle acque reflue.

Oltre 200 metri quadrati, dei 520 metri quadrati totali, è occupato dalla serra, che si articola in ampie terrazze che si aprono verso il lago Vättern, offrendo un contatto diretto con l’ambiente naturale. La serra, oltre a costituire il cuore della casa, permette di preriscaldare l’aria necessaria per la ventilazione della casa e offre la possibilità di coltivare piante che necessitano di un clima meno aspro.

All’interno è possibile pranzare,  le sale riunioni occupano un soppalco di legno sotto il tetto di vetro spiovente, una seconda terrazza inferiore è circondato da piantine, mentre una sala per trattamenti benessere e una camera degli ospiti si trovano nella base di legno della struttura, che è parzialmente affondata in un pendio erboso.

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Inoltre, si è ricercato di recuperare i nutrienti provenienti dalle acque reflue (azoto e fosforo), valutando i parametri qualitativi dell’acqua. Grazie a questo, infatti, la serra permette di creare una rete locale chiusa di riciclo dei rifiuti delle acque reflue, cosicché non si debba richiedere l’allacciamento alla rete fognaria comunale.

La ricerca di creare una struttura autosufficiente è ulteriormente incentivata dal fatto che alcuni dei prodotti serviti nell’area ristoro siano coltivati direttamente nella serra: grazie allo sfruttamento delle sostanze nutritive dei liquami prodotti dalla struttura stessa. Si crea, così, un sistema che genera cibo e calore, piuttosto che consumarlo.

L’esterno ispirato alle tradizionali fienili svedesi: porticati semplici, persiane bianche e muri rivestiti con pannelli rossi in legno, ma qui, il filo continuo si spezza e la facciata assume dinamicità intervallandosi tra superfici opache e vetrate, in modo da ridurre la dispersione del calore quando la casa non viene utilizzata.

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Vivere in una serra incoraggia uno stile di vita sostenibile e non tossico e chiarisce il perché non si debba emettere sostanze inquinanti nell’ambiente, preferendo la trasformazione dei prodotti e delle risorse in base alle proprie necessità.

Il progetto nasce con l’intento di realizzare una casa autosufficiente che produca cibo, invece di rifiuti.  Una case che genera energia, invece di solo consumo e, in definitiva, spazi che inducano alla riflessione e all’apprendimento di un comportamento più affine al contesto in cui un determinato progetto di colloca.

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La trasformazione di Rieselfeld, quartiere ecosostenibile di Friburgo

Il quartiere ecosostenibile Rieselfeld di Friburgo, in Germania, è il frutto di una sfida ecologista: coniugare la necessità dell’amministrazione comunale di nuove abitazioni con la lotta alla cementificazione da parte di associazioni naturaliste per preservare preziosi ecosistemi. Nascono così il quartiere più grande della città e la riserva naturale Freiburger Rieselfeld, 320 ettari totali di cui solo 70 edificati.

In copertina: foto da www.freiburg.de

FRIBURGO: LA RIQUALIFICAZIONE DEL QUARTIERE WEINGARTEN

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caption: foto © WMUD | Willie Miller Urban Design + Planning

Origini e storia del progetto del Rieselfeld

L’area prende il nome dai Reiselfelder ovvero gli impianti per la depurazione delle acque di scarico che hanno occupato la zona per circa un secolo, dal 1895. Adibiti al filtraggio delle acque reflue di tutta la città, gli impianti sono stati dismessi nel 1985 quando un più grande e complesso impianto di depurazione è entrato in funzione a circa 15 km da Friburgo.

L’area è resa edificabile negli anni ‘90 dopo che attente indagini sul sottosuolo avevano evidenziato circoscritti danni ambientali, risanati da un’attenta operazione di bonifica del terreno, ma anche la presenza di flora e fauna degne di protezione. In accordo con gli ambientalisti, le autorità comunali decidono di limitare l’edificazione a meno di un quarto della superficie totale, destinando la restante parte a parchi protetti.

caption: foto © Thomas Kunz

I lavori ad uno dei quartieri più sostenibili di Friburgo partono nel 1994 su progetto curato dalla stessa amministrazione comunale in collaborazione con l’impresa di servizi municipali KE LEG di Stoccarda ( “Gruppo Progetto Rieselfeld”). L’obiettivo è quello di creare un ambiente attivo, con diverse tipologie di edifici ed adatto a tutte le generazioni in cui un’adeguata larghezza delle strade e la presenza di spazi verdi ad ogni isolato fa da contraltare ad un’elevata densità edilizia, necessaria per ridurre al minimo il consumo di suolo.

caption: caption: a sinistra foto © Thomas Kunz, a destra foto © Ingo Schneider

Gli aspetti ecologici della pianificazione e la viabilità

Le linee guida dettate per la pianificazione hanno da subito evidenziato per il quartiere una politica edificatoria volta all’ecosostenibilità. L’orientamento degli edifici e le distanze minime imposte tra i fabbricati sono tali da garantire un’esposizione ottimale, evitando spiacevoli fenomeni di ombreggiamento. Le costruzioni sono tutte a basso consumo energetico, con un fabbisogno che non supera i 65 kWh/mq annui. L’impianto di riscaldamento di tutte le strutture deve essere necessariamente connesso alla centrale di teleriscaldamento di Weingarten così come obbligatorio è l’approvvigionamento di energia da fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico e pompe di calore.

Un efficiente impianto di depurazione garantisce inoltre il trattamento e recupero delle acque reflue e delle acque piovane.

La linea tramviaria, che attraversa il quartiere lungo la Rieselfeldallee (viale Rieselfeld), costituisce la spina dorsale dell’impianto a maglia ortogonale. Al centro di tale asse, in direzione nord-est, si estende il parco “Grünkeil”, un vero e proprio cuneo verde che penetra all’interno della città e in cui si sviluppano liceo, palestre, scuole elementari, centri di incontro e chiese. Lungo la Rieselfeldallee si trovano anche edifici residenziali: tipologie in linea e a blocco fino a 5 piani che, man mano che ci si sposta verso la periferia, lasciano spazio a case a schiera e abitazioni bifamiliari.

Per disincentivare l’uso delle automobili private e ridurre così le emissioni sono state adottate severe misure per la gestione del traffico, l’uso della bicicletta e dei mezzi pubblici. Lungo l’intera rete stradale vige l’obbligo di precedenza ai pedoni, ai ciclisti e al tram che collega il quartiere con il centro di Friburgo; il limite di velocità è pari a 30 km/h e alcune strade, riservate al gioco, sono totalmente chiuse al traffico; tutte le zone del quartiere inoltre, sono facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici.

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Una fitta trama di verde scandisce l’intero territorio comunale a diverse scale: i giardini dei vari isolati sono connessi tra di loro e con ampi parchi pubblici attraverso un’infrastruttura verde fatta di viali alberati.

Fiore all’occhiello del sistema è la riserva naturale nella zona ovest di Rieselfeld che, con i suoi 250 ettari, è una delle più grandi della Germania. Un preciso programma di manutenzione ne consente un costante mantenimento mentre nel corso degli anni è stato creato un sentiero naturalistico, per cittadini e turisti, con indicazioni sulla flora la fauna presenti. Lungo tale percorso, tra piante e siepi, sono ancora visibili i resti delle dighe e delle vasche prima utilizzate per la raccolta delle acque di scarico ed ora divenute habitat per erbe selvatiche come papavero, fiordaliso e camomilla. Campi per il pascolo si alternano a foreste umide ben conservate in cui si sono sviluppate specie di uccelli come il beccaccino, il piro piro e l’airone cenerino; anche le cicogne bianche hanno trovato nella riserva zone adatte per la riproduzione.

Un progetto “partecipato”

caption: foto da www.plannersweb.com

Il “Gruppo Progetto Rieselfeld” ha sempre cercato di interagire attivamente con i cittadini promuovendo costantemente la partecipazione della comunità nella progettazione degli sazi urbani; seguendo il principio “più attività, meno amministrazione” hanno anteposto il benessere della comunità agli interessi individuali, cercando comunque di imporsi sul mercato immobiliare di Friburgo. Numerose famiglie ed anziani hanno deciso di trasferirsi a Rieselfeld e tale riscontro positivo ha permesso all’amministrazione di perseguire nuovi obiettivi di sviluppo urbano e politiche ambientali sostenibili.

caption: foto di Fotomaag, via Panoramio

Numerosi gruppi si sono costituiti per promuovere la vita sociale all’interno del quartiere, prime fra tutte l’Associazione K.I.O.S.K. e.V. che ha reso possibile nel 2003 l’inaugurazione del centro d’incontro “Glashaus” (casa di vetro) con annessa la mediateca ed il caffè letterario.

Nel loro motto, “perché la costruzione di un distretto non può essere fatta solo con le pietre!”, è racchiuso un principio fondamentale a cui tutte le città dovrebbero ispirarsi: non sono gli edifici che rendono tale una città, ma gli uomini e le donne che la abitano e i bambini che ne animano le strade, perché l’architettura senza le persone sarebbe solo un contenitore vuoto.

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Olanda: la chiesa in legno riciclato

Nei Paesi Bassi, nella cittadina olandese di Elspeet è stata recentemente costruita la prima chiesa interamente realizzata in legno riciclato secondo la tradizione mennonita. 

CHIESA IN LEGNO:QUELLE DI CHILOÉ SONO PATRIMONIO UNESCO

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In linea con i principi mennoniti, infatti, il design dell’edificio ed i suoi ornamenti ed arredi interni sono volutamente semplici, poveri ed essenziali, così  come vuole la filosofia mennonita che vede nella povertà degli ambienti la dimensione ideale per entrare in contatto con Dio e concentrarsi solo sulla preghiera e lo stare insieme agli altri fedeli.

Gli ideatori del progetto, nonché i responsabili durante la fase esecutiva, sono stati i tecnici dello studio FARO. La eco-chiesa di Elspeet è un esempio di architettura pulita ed elegante, quasi essenziale, che vuole mimetizzarsi nel paesaggio circostante cercando di ridurre al minimo gli impatti ambientali. L’edificio infatti, salvo piccole finiture, è realizzato totalmente in legno naturale. L’interno è stato rifinito con pavimenti riciclati da materiali derivanti da un antico convento: provenienti da foreste che vengono rimboschite periodicamente, mentre la facciata anteriore è in rovere. Il materiale isolante utilizzato per coibentare le pareti dell’edificio è il lino.

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Il riscaldamento è garantito grazie ad un sistema ad accumulo termico.

La chiesa di Elspeet ormai è meta non solo di fedeli ma anche di curiosi tanto da restare aperta 24 ore al giorno ed è adibita non solo a funzioni religiose ma anche ad eventi di altro tenore. Insomma un luogo ideale in cui pregare, e non solo, secondo natura!

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La casa in legno nascosta nella foresta

All’interno di una foresta, nelle vicinanze del torrente Ri d’Alyse che segna il confine tra Francia e Belgio, si trova, nascosta fra gli alberi, una piccola casa per le vacanze. È una costruzione ecologica, progettata dall’architetto Pierre Deru, dello studio di architettura AADD.

CASE nella foresta PER VIVERE IN STILE SCANDINAVO

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La volontà di allontanarsi dalla vita frenetica della città e rilassarsi a contatto con la natura, ha spinto una famiglia a comprare un terreno nella foresta di Viroinval e uno chalet. Quest’ultimo, tuttavia, in pessime condizioni, è stato ricostruito dall’architetto Pierre Deru che, con un budget modesto, ha dato vita ad una casa in legno dall’organismo che dialoga con l’ambiente circostante.

Pierre Deru ha progettato delle forme organiche, dinamiche, curve, che entrano in armonia con gli elementi naturali, utilizzando delle tecniche costruttive rispettose dell’ambiente, nessun impatto negativo sulla foresta.

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La copertura ha una forma ogivale, aggettante per proteggere la facciata vetrata; all’interno presenta un motivo a losanghe o a “nido d’ape”, che si ispira alle famose opere di Philibert Delorme. L’intradosso, oltre ad avere una funzione strutturale, rappresenta una decorazione costante in tutti gli ambienti. Offre, altresì, la possibilità di personalizzare gli spazi, attraverso piccole mensole incastrate, dando vita a piccole librerie e porta oggetti.

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All’interno, in continuità con l’ambiente esterno, è presente una scultura dallo stile africano; si tratta di un tronco d’albero scolpito che funge da scala. Un elemento particolare che attira molto l’attenzione dei bambini.

La casa è interamente in legno, con la facciata rivolta a sud completamente vetrata. I materiali sono tutti ecologici: legname certificato FSC, sughero, argilla, cellulosa e lana di legno. Quasi nulle le emissioni di CO2; una stufa a legna per il riscaldamento e la cottura dei cibi; in facciata due pannelli solari integrati a due boiler, riscaldano l’acqua sanitaria, e la depurazione è praticata mediante lagunaggio e compostaggio.

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L’unità abitativa che rivisita in chiave moderna lo stile Art Nouveau

All’interno del quartiere residenziale Nieuw Leyden, a nord della città di Leida, nei Paesi Bassi, lo studio di architettura 24H Architecture ha progettato un’unità abitativa ecologica unica nel suo genere. Essendo la zona ad alta densità abitativa e, trattandosi di case a schiera, il problema più importante da affrontare era la luce. Da qui l’idea di massimizzare il guadagno solare e l’apporto di luce attraverso l’introduzione di un cortile centrale che sfonda l’abitazione e permette alla luce diurna di illuminare anche gli ambienti inferiori. Data la sua conformazione estetica, la corte è stata soprannominata “canyon”.

LA CASA PATIO IN UN ANGUSTO LOTTO DI BARCELLONA

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Non esistono tramezzi divisori: sono le pareti stesse del canyon a suddividere gli spazi interni, articolandosi in parti vetrate nella zona giorno, parti opache nella zona dei servizi igienici fino a cambiare forma inglobando la scala. Il contributo solare permette sia di avere ambienti riscaldati naturalmente, grazie alla costruzione di pareti altamente isolanti e di vetri a bassa emissione, sia di avere acqua calda tramite un sistema solare termico, riducendo quindi consumi e costi dell’energia.

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I pavimenti interni ed esterni, le cornici delle porte e delle finestre, sono in bambù. Le pareti interne del canyon presentano un andamento sinuoso e un motivo decorativo intagliato molto elaborato, che riproduce la forma irregolare dei sassi di pietra. Stesso motivo, seppure a scala maggiore, caratterizza il parapetto della scala. A rendere unico questo progetto, oltre alla corte apprezzabile prevalentemente dall’interno, è senz’altro, la facciata. Il suo aspetto organico, fatto di linee curve e armoniose, interpreta in chiave moderna lo stile art nouveau.

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Da un punto di vista formale, l’unità dell’organismo architettonico si esplica attraverso la leggibilità in facciata della sua struttura interna. Così come in questo caso, è la facciata che racconta l’anima della casa. La facciata è in Louro Gamela, un’essenza di legno dalle elevate prestazioni meccaniche e di durabilità, mentre le parti in acciaio Cor-Ten, rappresentano le proiezioni in facciata del canyon, quasi a voler comunicare, con le sue forme, il percorso della luce all’interno della casa.  

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La casa intorno all’albero a Londra

A Londra in un tipico quartiere residenziale, nascosta dietro la cortina di case ottocentesche che si affacciano sulla via dall’aspetto austero e ordinato, sorge una costruzione insolita: un maestoso albero di sommacco è abbracciato da un basso e curvo edificio in legno. Si tratta dell’ampliamento dell’abitazione ottocentesca di un noto critico d’arte realizzato dallo studio di progettazione 6a Architecture all’interno del rigoglioso giardino della casa di famiglia.

UN ASILO INTORNO ALL’ALBERO CENTENARIO

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IL PROGETTO DELLA CASA CHE ABBRACCIA L’ALBERO

La storia dell’edificio inizia nel 1830 quando vengono edificate le due case gemelle in mattoni che saranno poi unite negli anni ’70. Con il passare del tempo le esigenze della famiglia mutano e per permettere alla padrona di casa, che ormai si muove solo sulla sedia a rotelle, di passare il tempo con i propri cari e di fruire della zona giorno è stato realizzato l’ampliamento verso il giardino. I progettisti hanno ristudiato i collegamenti verticali, hanno realizzato una passerella in modo da mettere in comunicazione diretta soggiorno e cucina senza la necessità di percorre scale e hanno posizionato nel nuovo volume una camera da letto e un bagno.

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L’ampliamento ha preso in considerazione la presenza di un albero ad alto fusto che è diventato l’elemento generatore del progetto. La facciata curva svolge un duplice compito: da un lato risolve il problema del mantenimento della pianta e dall’altro permette la creazione di un piccolo terrazzo leggermente rialzato rispetto al giardino. Ampie finestrature permettono inoltre di godere della vista del verde anche quando le temperature esterne sono rigide e non è possibile stare all’aperto.

Il volume aggiunto è interamente smontabile: fondazioni, struttura e rivestimenti sono in legno. Le pareti esterne sono rivestite con listelli di parquet rigenerato e opportunamente trattato, mentre gli interni sono in pannelli tinteggiati di colore bianco. Il risultato finale è una casa che si adatta alle esigenze della committenza senza sacrificare piante e fiori e che favorisce un rapporto diretto con il giardino.

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La casa intorno all’albero a Londra

A Londra in un tipico quartiere residenziale, nascosta dietro la cortina di case ottocentesche che si affacciano sulla via dall’aspetto austero e ordinato, sorge una costruzione insolita: un maestoso albero di sommacco è abbracciato da un basso e curvo edificio in legno. Si tratta dell’ampliamento dell’abitazione ottocentesca di un noto critico d’arte realizzato dallo studio di progettazione 6a Architecture all’interno del rigoglioso giardino della casa di famiglia.

L’ASILO INTORNO ALL’ALBERO CENTENARIO

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IL PROGETTO DELLA CASA CHE ABBRACCIA L’ALBERO

La storia dell’edificio inizia nel 1830 quando vengono edificate le due case gemelle in mattoni che saranno poi unite negli anni ’70. Con il passare del tempo le esigenze della famiglia mutano e per permettere alla padrona di casa, che ormai si muove solo sulla sedia a rotelle, di passare il tempo con i propri cari e di fruire della zona giorno è stato realizzato l’ampliamento verso il giardino. I progettisti hanno ristudiato i collegamenti verticali, hanno realizzato una passerella in modo da mettere in comunicazione diretta soggiorno e cucina senza la necessità di percorre scale e hanno posizionato nel nuovo volume una camera da letto e un bagno.

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L’ampliamento ha preso in considerazione la presenza di un albero ad alto fusto che è diventato l’elemento generatore del progetto. La facciata curva svolge un duplice compito: da un lato risolve il problema del mantenimento della pianta e dall’altro permette la creazione di un piccolo terrazzo leggermente rialzato rispetto al giardino. Ampie finestrature permettono inoltre di godere della vista del verde anche quando le temperature esterne sono rigide e non è possibile stare all’aperto.

Il volume aggiunto è interamente smontabile: fondazioni, struttura e rivestimenti sono in legno. Le pareti esterne sono rivestite con listelli di parquet rigenerato e opportunamente trattato, mentre gli interni sono in pannelli tinteggiati di colore bianco. Il risultato finale è una casa che si adatta alle esigenze della committenza senza sacrificare piante e fiori e che favorisce un rapporto diretto con il giardino.

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Lo studio di architettura galleggiante nei vecchi hangar per le barche

Lo studio di architettura 3xn ha deciso di trasferirsi in una dimora del tutto particolare: i vecchi hangar per le barche, sul canale di Copenaghen. Le grandi dimensioni delle strutture ha permesso ai progettisti di ospitare nel medesimo locale tutti i suoi collaboratori, fino a 150 persone, che nella vecchia sede dello studio, nel quartiere del centro storico di Copenaghen, Christianshavn, erano stati distribuiti in tre piani di un palazzo. L’ufficio galleggiante, di 2000 mq, nella zona di Holmen, permette di interagire simultaneamente tra i diversi componenti dello studio: sullo stesso livello, è possibile concentrare tutte le attività, tenendo monitorato lo sviluppo del progetto, creando una sezione per la fabbricazione di modelli e plastici.

L’UFFICIO GALLEGGIANTE IN LEGNO, CANNE E PAGLIA

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Lo storico capannone risale al 1800 e fu edificato per alloggiare e riparare imbarcazioni militari. Il piano della struttura degrada verso il canale, progettato perché le navi potessero agevolmente scivolare sul pelo dell’acqua. La facciata orientale, verso il canale è stata schermata attraverso grandi vetrate e porte che, insieme ai lucernari permettono l’ingresso della luce naturale nell’ambiente.

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La conservazione dell’edificio esterno, vincolato, ha permesso di mantenere un carattere originario. All’interno sono stati rimossi i divisori per realizzare la grande sala lavoro. Sono state create delle sale conferenza in vetro, “delle scatole dentro la scatola”, in modo che fosse possibile fare riunioni senza fermare il “flusso di lavoro” con barriere materiche più schermanti. Gli interni, che mostrano la struttura in legno, pareti bianche, scrivanie bianche e vetro, rivendicano il vero focus dell’ambiente: fotografie, rendering e modelli, il “prodotto” dello studio.

Kim Herforth Nielsen, il fondatore di 3XN, ritiene che tutti, dai progettisti fondatori fino all’ultimo degli stagisti, siano portatori di idee preziose per migliorare i progetti che escono dal suo studio e che ambiscono a migliorare la vita della società. Per questo ha voluto fortemente questo trasferimento, impegnandosi in un progetto open space che facilitasse la comunicazione; ha poi diviso i collaboratori in squadre, in modo che si creassero delle micro aree di lavoro. Tutti possono vedere tutti ed essere ispirati da ciò che stanno facendo gli altri. Stravolgendo la cultura gerarchica del lavoro a cui siamo abituati, tutti i partner che dirigono lo studio si siedono insieme al personale, condividendo le decisioni e i progetti. Ad oggi ci sono 80 persone che, ogni giorno, progettano, disegnano e comunicano. Uno spazio così flessibile ne può ospitare altrettante. 

Che dire..che invidia!

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Due edifici in uno: quando ristrutturare significa unire

Lo studio Delvendahl Martin Architects ha deciso di accogliere la sfida della ristrutturazione di due vecchi edifici vittoriani nel centro di Oxford, dando la possibilità ai proprietari di ripensare all’orientamento dei due tipiche “semi-detached houses” e poter disporre di ampie superfici ad ogni piano.

Il progetto, denominato dagli architetti “la bifamiliare”, si trova nel centro della città universitaria storica nel sud dell’Inghilterra. Planimetricamente l’abitazione si compone di 350 mq, in cui si può notare l’ampio soggiorno a pianta aperta: al piano primo si affaccia sia sulla strada principale tramite le tipiche bow windows, che sul giardino sul retro, dove è possibile osservare la parte posteriore della proprietà tramite ampie vetrate.

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L’acceso contrasto materico tra pieni e vuoti, mattone e vetro, è ritmicamente riproposto, dissolvendo la vecchia simmetria dei due corpi, originariamente separati, dando l’impressione di un solo blocco. A collegare le due unità è la scala in legno, volutamente differenziata con una tinta scura dalle travi originali, unisce ai piani alti le camere da letto e l’ufficio e ai primi piani la cucina e soggiorno. I mattoni recuperati nelle demolizioni sono stati sapientemente conservati per ricreare il selciato che introduce alla casa dal giardino sul retro. Il seminterrato ospita corridoio, cucina e una zona pranzo, che può essere collegata al giardino posteriore aprendo l’ampia vetrata.

I telai in alluminio anodizzato, di ampia sezione, sono stati pensati per schermare l’interno della casa alle proprietà vicine confinanti, creando l’effetto di una terrazza sopraelevata. La distinzione tra i due edifici è stata mantenuta nel giardino, dove si può ancora vedere il muro originale. L’ampia vetrata sul retro, quasi una “architrave luminosa” è sostenute da due “piedritti” di mattoni, che si differenziano anche cromaticamente, dal resto dell’edificio. Questo dettaglio, unito agli arredi su misura, luci, maniglie e corrimano dichiaratamente in contrasto con l’epoca vittoriana è una precisa scelta stilistica. L’utilizzo di materiali contemporanei imprime una personalità al recupero, sovrapponendo allo scientifico ripristino delle strutture una doverosa distinzione dovuta alle nuove esigenze di oggi.

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Solar Info Center di Friburgo: il centro servizi certificato LEED Platinum

Il Solar Info Center (SIC) di Friburgo, in Germania, nasce dall’idea di racchiudere sotto un unico tetto figure professionali legate da un comune denominatore: operare nel campo delle energie rinnovabili.

In copertina: foto © Ingo Schneider

IL PRIMO EDIFICIO PER IL TERZIARIO CERTIFICATO LEED IN ITALIA

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Di proprietà di un investitore privato, il Solar Info Center si finanzia grazie all’affitto delle compagnie che vi hanno sede: unità indipendenti tra loro ma che potrebbero essere potenziali partners in un centro che offre consulenza sulla sostenibilità a 360 gradi.

Le sempre più restrittive normative comunitarie volte alla mitigazione dei cambiamenti climatici e la conseguente crescita del mercato delle energie rinnovabili hanno portato, agli inizi del 2000, all’idea di un centro di informazioni del settore in un luogo che fungesse da modello per aziende e potenziali clienti.

Il risultato è stato un edificio con un fabbisogno energetico del 30% inferiore rispetto ai limiti imposti dalla German Energy Saving Ordinance del 2007, ovvero il secondo edificio (in termini di punteggio) certificato LEED PLATINUM in Germania.

Il progetto del Solar Info Center di Friburgo

caption: © SIC GmbH

Collocato in una posizione strategica nella parte settentrionale della città, a completamento di un’area libera in adiacenza dell’aeroporto, tra la zona fieristica e l’università, il Solar Info Center fa della reputazione internazionale di Friburgo come Green City il suo prestigioso biglietto da visita.

Una struttura di cemento armato si innalza per 5 piani e racchiude un’area complessiva di circa 14.000 mq con spazi funzionali e flessibili che possono essere riprogettati per specifiche esigenze: 9.000 mq di uffici di varie dimensioni (dagli smart offices di 35 mq agli open space di 1.500 mq); 700 mq riservati allo svolgimento di workshops, congressi e meeting; 450 mq di area espositiva; 2.600 mq di laboratori con attrezzature all’avanguardia a disposizione sia delle aziende interne al Centro che di Istituti esterni per ricerche, produzione di prototipi, costruzione di modelli e simulazioni tecniche.

Scopri la città con Study Visit Friburgo

L’edificio dal punto di vista energetico

caption: foto da www.partyraum-freiburg.de

Volumetricamente compatto (rapporto S/V pari a 0,22) e dalla pianta ad U, l’edificio gode di un’esposizione ottimale con le “ali” orientate a sud-est.

Il sistema composito utilizzato per l’isolamento termico della facciata si alterna a vetrate continue strutturali (a montanti e traversi) mentre la copertura è del tipo “tetto caldo” con l’isolante nello strato più esterno. 

Le ottime prestazioni dell’involucro e l’introduzione di sistemi solari passivi fanno sì che il fabbisogno di riscaldamento, soddisfatto tramite una rete di teleriscaldamento proveniente dal vicino Ospedale Universitario, sia inferiore a 30 KWh/mq p.a.

Grazie ad interventi di efficientamento dell’impianto e all’inserimento di un moderno sistema di recupero di calore, per l’approvvigionamento termico del Centro Servizi non è necessario ulteriore utilizzo di combustibili fossili, così come certificato dal Centro di Ricerca dell’Università di Stoccarda: l’obiettivo di fornire calore all’edificio senza produrre emissioni è stato così raggiunto.

caption: a sinistra © Hochschule Offenburg; a destra © SIC GmbH

Un impianto fotovoltaico di 65 KW di picco è posizionato sulla copertura dell’edificio mentre sulla facciata inclinata, in corrispondenza del foyer, pannelli fotovoltaici e termici garantiscono un’adeguata schermatura dai raggi solari oltre che la produzione di energia pulita. 

Una grande quantità di luce naturale permea negli ambienti consentendo un notevole risparmio di energia elettrica. Le aperture, studiate in modo da garantire condizioni di lavoro ottimali, presentano una percentuale di superficie vetrata tale da evitare il surriscaldamento interno coadiuvate dalle schermature solari. Un sistema di controllo consente infatti la regolazione delle veneziane in funzione dell’irraggiamento e della temperatura della stanza.

caption: a sinistra © SIC GmbH; a destra foto da www.agsn.de

La qualità dell’aria durante il periodo invernale è assicurata da un sistema di ventilazione a flusso semplice che viene utilizzato anche in estate per la ventilazione notturna degli ambienti.

La climatizzazione estiva del foyer e della sala riunioni al piano terra avviene tramite 5 sonde geotermiche che vengono sfruttate anche nel periodo invernale per preriscaldare l’aria nei medesimi ambienti. 

Monitoraggio e interventi di ottimizzazione

caption: foto da www.enob.info

Il Solar Info Center di Friburgo, dopo il suo completamento alla fine del 2003, è stato sottoposto a monitoraggio allo scopo di verificare se l’edificio reale soddisfacesse le aspettative progettuali.

I risultati, sottoposti ad una lettura critica, non solo hanno dimostrato che il Solar Info Center è un ottimo esempio di edificio a basso consumo energetico con valori inferiori rispetto ai risultati attesi, ma hanno anche permesso di ottimizzare ulteriormente il complesso sistema impiantistico. 

Nei periodi più freddi dell’anno e successivamente ad un periodo di spegnimento dell’impianto (durante il fine settimana), i dati sul riscaldamento hanno mostrato un notevole abbassamento della temperatura interna con fatica a tornare a regime (3 giorni).

Per far fronte al maggiore fabbisogno di energia, la temperatura interna, inizialmente costante, è stata innalzata di 15 K nelle le prime due ore della mattina e il tempo di funzionamento dell’impianto è stato incrementato di un’ora: le stanze hanno così raggiunto la temperatura interna desiderata all’inizio della settimana. 

Importanti misure di ottimizzazione sono state introdotte nel sistema di ventilazione con lo scopo di ridurre al minimo i ricambi di aria quando la temperatura esterna è bassa senza però compromettere la salubrità degli ambienti. Nel periodo estivo invece, l’inserimento di un sistema di gestione dinamico sviluppato dall’Università di Scienze Applicate di Offenburg consente di modulare l’intensità della ventilazione notturna con un risparmio di energia del 38%. 

Il monitoraggio ha consentito inoltre di allineare i sensori di radiazione delle veneziane in maniera ottimale mentre un impulso inverso regola l’apertura quando la persiana è completamente chiusa facendo sì che l’ambiente non sia completamente al buio. 

Al fine di evitare il surriscaldamento a lungo termine del terreno, correzioni sono state apportate al settaggio dell’impianto di raffrescamento a pavimento nella zona del foyer. Il sistema, con onde geotermiche che arrivano fino a 80 m di profondità, si attiva solamente quando la temperatura delle stanze supera i 24°C e la temperatura esterna è oltre i 26°C; nelle facciate sud e ovest inoltre, l’irraggiamento deve superare i 150 W/mq. 

La Certificazione LEED Platinum

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Nel settembre del 2013 il Solar Info Center di Friburgo ha ottenuto la certificazione LEED Platinum. Con un punteggio di 92 punti su 110 totali è il secondo edificio tedesco più alto in classifica nella categoria “LEED Existing Buildings: Operations and Maintenance”. 

Oltre alle alte performances garantite da involucro ed impianti, ha fatto la differenza “l’efficienza delle acque”, categoria in cui il SIC ha ottenuto pieno punteggio. L’acqua piovana che penetra nel terreno, viene drenata mediante canali e raccolta in apposite cisterne. Utilizzata per l’irrigazione del terreno, riesce a coprire il 100% del fabbisogno senza l’utilizzo di acqua potabile.

Grazie al processo di certificazione e alle procedure di accompagnamento, le tecniche ed i sistemi di ottimizzazione di energia consentono un elevato risparmio nei consumi e quindi di denaro. La certificazione LEED ha comportato dunque un aumento del valore economico dell’edificio oltre che della sua affidabilità a livello internazionale.

Il Centro Servizi rappresenta un esempio tangibile che progettisti e aziende che vi hanno sede possono mostrare ai potenziali clienti a dimostrazione di come sia possibile operare nel campo delle energie rinnovabili con successo: perché “un grammo di buon esempio vale più di quintali di parole”.

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