L’anagrafe delle opere incompiute in Italia

Un proverbio dice “chi bene inizia è a metà dell’opera”, ma nel caso che l’opera sia incompiuta vorrà dire che la sua realizzazione è stata errata sin dall’inizio. È il caso delle opere incompiute disseminate in Italia che fino ad oggi, ottimisticamente, sono costate 4 miliardi di euro buttati letteralmente al vento, costi monetari ai  quali va aggiunto il danno per aver deturpato il paesaggio di coste, valli, skyline urbani e tanti altri luoghi.

OPERE A METÀ: 600 STRUTTURE MAI TERMINATE IN ITALIA

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Monitorare gli sprechi delle opere incompiute in Italia

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Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha finalmente ricevuto la documentazione presentata da tutte le Regioni italiane, ha attuato una norma voluta dal governo Monti per stilare -per la prima volta- una vera e propria anagrafe delle opere incompiute. Il risultato è a dir poco sconvolgente visto che, nonostante l’elenco non sia completo, al momento nessuna regione è esente da questo problema. Ad oggi l’anagrafe delle opere incompiute ne riporta oltre seicento, alcune rimaste a metà, altre appena cominciate.

Il tour delle opere incompiute parte dall’estremo Nord Italia, in Valle D’Aosta, dove sono stati spesi 8,8 milioni di euro per il terminal dell’aeroporto Saint-Christophe, mai terminata e per la quale servono oltre 3 miliardi per completarla, senza stimare però i danni ed i furti di materiali che il cantiere dell’infrastruttura ha subito negli anni ad opera di ignoti vandali. Nella località del Verduno una struttura costata ad oggi 159 milioni di euro di cui resta solo lo scheletro fatto di pilastri: sarebbe dovuto essere un ospedale tra Bra e Alba, in una zona però ad elevato rischio di franosità che fece porre fine prematuramente al cantiere. Si passa per Emilia, Veneto, e poi Toscana dove spicca lo svincolo della Cassia di Monteroni D’Arbia, un cantiere aperto quattro anni fa, costato al momento 30 milioni, ma ancora incompiuto e senza previsioni di termine.

Non solo grandi opere 

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La mano della mala edilizia però colpisce non solo a grande scala. Ad esempio nel  Lazio la lista comprende opere incompiute per un valore di ben 261 milioni di euro: dalla palestra di Vico al museo naturalistico di Palombara Sabina. Tuttavia è strano che, nonostante conti tantissime opere incompiute nell’elenco, la capitale non venga citata: basti ricordare la città dello sport di Tor Vergata costata oltre 400 milioni di euro e mai completata dopo un cantiere durato sette anni.

Per la regione Veneto che potrebbe apparentemente sembrare ligia alle leggi, si segnalano diversi flop edili e infrastrutturali pubblici, dall’ampliamento della scuola materna del Comune di Montecchio Maggiore, con un costo di 1,3 milioni di euro, alla piscina di Cassola per un importo di 18 milioni.

Della Sardegna, fra le sue opere incompiute, va certamente ricordato l’orto botanico della Maddalena, costato “appena” 520 mila euro: un’inezia se messo a confronto con le opere sprecate per il famoso G8 del 2009 sempre alla Maddalena.

La Regione Campania sembrerebbe la più virtuosa d’Italia con solo due piccole opere incomplete: un palazzetto dello sport e quattro alloggi popolari nel Comune di Calvi Risorta, ma sicuramente l’elenco, come abbiamo già ribadito, non è del tutto veritiero, tanto è vero che non è riporta neppure la città di Napoli.

Puglia, Calabria e Sicilia vengono bacchettate ma nell’elenco, anche nel loro caso, ci sono delle sviste fra le quali la diga del Pappadai (territorio di Fragagano, Taranto, San Marzano e Grottaglie), con ben 70 milioni di euro spesi in trent’anni e non una goccia d’acqua raccolta e poi ancora il teatro di Sciacca (un progetto di 40 anni fa) che fino ad oggi è costato 25 milioni di euro ma che risulta inutilizzato.

Una mappatura incompiuta per opere incompiute

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La procedura prevista dal Ministero nel 2013, per il monitoraggio, ha previsto che le Amministrazioni dovessero occuparsi di segnalare le opere edili e le infrastrutture incompiute sul proprio territorio. Nelle circolari inviate alle Regioni si legge quanto segue:

Il 24 aprile 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 96 il Decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 42 del 13 marzo 2013, recante le modalità di redazione dell’elenco-anagrafe delle opere pubbliche incompiute, di cui all’art. 44-bis del Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214. L’art. 3, comma 1, del citato D.M. prevede che entro il 31 marzo di ogni anno le Stazioni Appaltanti, gli enti aggiudicatori e gli altri soggetti aggiudicatori trasmettano al Ministero ovvero alle Regioni e Province autonome tutte le informazioni e i dati richiesti secondo le modalità contemplate in seno alla stessa norma. La trasmissione da parte delle Amministrazioni dei dati relativi alle opere incompiute, dovrà avvenire attraverso le apposite procedure informatiche, quindi non tramite l’invio cartaceo dell’elenco delle opere incompiute, secondo le modalità indicate nel sito da trasmettere agli indirizzi PEC specificamente individuati dal MIT e dalle Regioni e Province autonome.

È evidente che la pecca non è del Ministero, che ha avuto tutte le buone intenzioni, ma dei ritardatari o di chi ha evitato di mandare le segnalazioni. La potremmo definire l’anagrafe incompiuta delle opere incompiute in Italia. 

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Le case tipiche delle isole Eolie: sostenibilità e tradizione

Le case tipiche delle isole Eolie (Lipari, Salina, Vulcano, Stromboli, Filicudi, Alicudi, Panarea), fortemente condizionate da fattori ambientali oltre che dall’influenza dell’edilizia Campana e di quella del Mediterraneo orientale, sono state costruite e si sono evolute nel tempo per garantire un comfort abitativo anche in condizioni climatiche svantaggiose, e in modo da resistere al meglio a terremoti di varia intensità, in un’area caratterizzata da una sismicità piuttosto elevata.

In copertina: foto di Adriano Bacchella

VIVERE SU UN’ISOLA: LE CASE DI PANTELLERIA

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L’orografia di queste isole è caratterizzata da terreni scoscesi, e ciò ha determinato il profilo degli insediamenti a gradoni terrazzati. La struttura della casa eoliana, che si è sviluppata dapprima in verticale tipo torre, e poi in orizzontale, è il risultato dell’adattamento nel tempo al clima locale, alla scarsità d’acqua e al suolo vulcanico che caratterizzano le isole.

Tipicamente le strutture delle case venivano realizzate con un sistema modulare di celle cubiche dal tetto piatto (detto astricu), a cui si affiancavano secondo le esigenze altri elementi cubici indipendenti, che non erano comunicanti tra di loro ma erano aperti sul bagghiu, il terrazzo-cortile caratteristico di queste abitazioni, che era il cuore della casa e il punto d’incontro per la vita sociale della famiglia.

caption: Il bagghiu di un casa eoliana con i biseli, le sedute in muratura. Foto Adriano Bacchella

Il bagghiu tradizionale consisteva in un terrazzo, sempre coperto da un pergolato sorretto dalle pulere – i pilastri tradizionali – sul quale di solito cresceva la vite. Tutt’attorno alla terrazza erano disposti i sedili in muratura, detti biseli e vi era anche un forno a cupola per la panificazione (il furnu); inoltre, al bagghiu, erano raccordati tutti I percorsi che conducevano alla casa, ovvero la cucina, le stalle, l’ovile, la tettoia per il ricovero estivo degli animali, gli essiccatoi per l’uva e per i pomodori, i magazzini e il lavatoio. Il bagghiu era il cuore della casa eoliana perché era lì che la famiglia passava il tempo insieme, il posto dove si mangiava, si lavavano i panni con l’acqua della cisterna, si riposava e si faceva appassire l’uva sui cannizzi.

caption: Il bagghiu di una casa di Panarea. Fonte Adriano Bacchella

caption: A sinistra, una casa tradizionale eoliana situata sulla costa orientale di Panarea. (Foto di Adriano Bacchella); a destra il tradizionale forno eoliano a cupola. ( Foto dell'agriturismo CasaGialla).

La raccolta dell’acqua piovana

Per raccogliere l’acqua piovana, preziosa in un territorio arido e con poche fonti naturali, il terrazzo era impermeabilizzato con il latte di calce mista a sabbia, e veniva costruito con una pendenza minima che permetteva all’acqua piovana di defluire attraverso dei canali in terracotta (detti casulere) che andavano ad alimentare la cisterna posta sotto al calpestio del bagghiu. Sulle casulere veniva spesso inserito un deviatore che faceva in modo che le prime acque canalizzate, sporche di polvere, foglie ed insetti, venissero scartate e non entrassero nella cisterna.

Isolamento termico e antisismicità degli edifici

Le fondamenta delle case venivano realizzate in blocchi di pietra lavica massiccia, mentre i muri erano di solito in pietra pomice, e il tufo veniva usato per la pavimentazione dalla terrazza: grazie all’utilizzo di questi materiale ad elevata inerzia termica l’edificio era adeguatamente isolato dal freddo invernale e soprattutto dalla calura estiva, per via della lenta escursione termica delle pietre laviche con cui erano costruite le pareti.

Inoltre il pergolato che ombreggiava il bagghiu attenuava il caldo torrido delle estati riparando anche gli interni della casa dai potenti raggi solari.

Per via della scarsa quantità di vegetazione a fusto alto si ha un ridotto utilizzo del legno nell’edilizia, le coperture delle abitazioni erano tuttavia realizzate in travi di legno dispose a 40 cm l’una dall’altra, e sulle travi veniva disposta una stuoia di canniccio  ricoperta a sua volta da uno strato di pietrame piuttosto fine e isolato con malta pozzolanica e calce, battuto per rendere il tetto impermeabile. Il tetto era così leggero e friabile rispetto alla massa solida dei muri: la diversa risposta che i muri (pesanti) e il tetto (leggero) hanno se sottoposti a vibrazioni ha fatto si che le abitazioni resistessero  alle frequenti sollecitazioni sismiche a cui sono sottoposte le isole eolie.

Orientamento delle case

L’orientamento delle case veniva scelto sia per ragioni di sicurezza, ovvero per avvistare in anticipo eventuali pericoli di attacchi via mare e cambiamenti climatici, ma anche per ragioni di confort abitativo (come per ripararsi dai forti venti di tramontana) e per sfruttare al meglio la ventilazione naturale all’interno degli ambienti: per questi motivi si prediligeva l’esposizione verso sud e a ponente, con la facciata principale sempre rivolta verso il mare.

Per evitare che i venti freddi entrassero in casa e per avere una migliore esposizione ai raggi solari, le aperture delle abitazioni erano poche e piccole, di solito orientate a mezzogiorno e a levante, mentre gli altri lati erano ciechi, fatta eccezione per la cucina che richiedeva un ricircolo d’aria maggiore rispetto alle altre stanze.

L’intonaco naturale da materiali locali

L’intonacatura a calce bianca, oggi popolare sulle isole insieme agli altri colori pastello che caratterizzano le abitazioni eoliane, è sopraggiunta solo negli ultimi anni: l’intonaco tradizionale poteva essere o di colore grigio, ottenuto da una miscela di pietra vulcanica con poca calce (che era costosa perché importata dalla Sicilia), oppure giallo ocra come a Panarea, e veniva creato mescolando la calce con l’ossido di magnesio depositato dalle fumarole della Calcara, una spiaggia a nord dell’isola.

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Wunderbugs: il padiglione ligneo che genera musica dal volo degli insetti

L’uomo passa la maggior parte del tempo a cercare di superare la natura come se questa presentasse dei limiti e non si accorge che le soluzioni che sta cercando si celano nei meccanismi naturali che un occhio attento e curioso può osservare e reinterpretare. Non è un caso che, come nel caso del padiglione in legno Wunderbugs realizzato a Roma dallo studio OFL Architecture, le migliori soluzioni tecnologiche nascono proprio da un’attenta osservazione dei fenomeni naturali.

NATURA E ARCHITETTURA SI INCONTRANO CON LA BIOMIMETICA

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ARCHITETTURA E NATURA: IL CONNUBIO PERFETTO

Ma cosa succede se ad ispirarsi alla natura è l’architettura? Come si può ricreare un suono naturale per generare uno spazio suggestivo ed affascinante?

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Lo studio romano OFL Architecture nel padiglione Wunderbugs sfrutta il volo degli insetti per generare musica, grazie a questo progetto si aggiudica il premio A+Awards2015 per la categoria “Architettura+Collaborazione”. Il padiglione vede infatti la collaborazione tra diverse figure professionali quali: architetti, designers, una biologa, un tecnico del suono, un compositore ed un apicultore.

A rendere così speciale questo padiglione, installato a Roma negli spazi dei giardini pensili dell’Auditorium Parco della Musica per la seconda edizione del Maker Faire Europe, sono gli insetti e l’interazione tra uomo e natura.

UN PADIGLIONE IN MODULI DI LEGNO ASSEMBLABILI.

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Wunderbugs è un padiglione caratterizzato dall’unione delle forme tipiche del barocco romano rilette ed integrate dalle geometrie naturali tipiche del mondo degli insetti. Costituito da moduli in legno ripetuti, il padiglione può assumere numerose conformazioni a seconda della combinazione dei moduli stessi: 1.104 moduli ad arco, 92 rombi con fori circolari che consentono di alternare i vuoti e i pieni. Archi e rombi sono tenuti assieme da 198 nodi in legno che servono a gestire l’andamento curvilineo del padiglione, permettendo di generare spazi sempre diversi tra loro.

UNO SPAZIO FATTO DI SUONI E SUGGESTIONI.

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Ma il vero fulcro, il cuore pulsante del progetto, non è tanto la scatola quanto il contenuto. All’interno dello spazio racchiuso dal sistema modulare in legno sono presenti sei sfere trasparenti sostenute da elementi verticali in legno. Ognuna rappresenta un ecosistema interattivo con terra, piante ed insetti. All’interno sono presenti dei sensori che, grazie ad Arduino, permettono di controllare il movimento, la temperatura, l’umidità e l’intensità della luce solare in ogni singola sfera.

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Si trasforma in un vero e proprio spazio di interazione tra i visitatori e i microsistemi naturali: i dati registrati nelle sfere insieme a dei microsensori che percepiscono le posizioni dei visitatori permettono di modulare all’istante la composizione musicale che viene trasmessa all’interno del padiglione. Una sala dei suoni a cielo aperto in cui architettura e geometria, uomo e natura, grazie all’utilizzo sapiente della tecnologia, generano uno spazio sensoriale ed armonioso. 

Osservare con curiosità la natura è dunque quel valore aggiunto alla progettazione che può fornire grandi stimoli e portare a soluzioni progettuali del tutto eccezionali.

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Dammusi di Pantelleria: abitazioni tradizionali esempi di sostenibilità

I dammusi sono le abitazioni tradizionali dell’isola di Pantelleria: unità abitative di derivazione araba (le loro origini sono, infatti, da ricercarsi nel periodo in cui gli arabi abitavano l’isola, tra il VI e il VII secolo d.C.), oggi diventate famose anche perché sono molti i dammusi panteschi di recente acquistati e ristrutturati da personaggi illustri e abbienti, divenuti case di villeggiatura estiva.

Abitazioni tradizionali della Papua Nuova Guinea

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Originariamente nate come unità abitative per le famiglie contadine che avevano necessità di spostarsi tra le diverse aree dell’isola in base alla stagione e alle colture che operavano, i dammusi di Pantelleria dovevano garantire un certo comfort ai suoi abitanti, che non poteva dipendere da altro se non dalle risorse naturali che la stessa isola offriva. Per questo motivo i dammusi di Pantelleria sono tutt’oggi considerati bellissimi esempi di architettura ecosostenibile che hanno permesso agli abitanti dell’isola, grazie ad una straordinaria collaborazione tra uomo e natura, di vivere nel migliore dei modi in un territorio sotto certi aspetti inospitale e difficile.

I dammusi di Pantelleria s’inseriscono alla perfezione nel paesaggio, caratterizzato dai terrazzamenti che servono e soprattutto servivano in passato per facilitare le pratiche agricole su terreni collinari e scoscesi, e inoltre delimitano i confini delle piccole proprietà in cui è suddiviso il territorio, dalla cui trama intricata sorge poi il dammuso, che era realizzato con le stesse pietre ricavate dalla bonifica dei terreni per la formazione dei terrazzamenti.

caption: una vista dei terrazzamenti di Pantelleria.

Le cupole e le loro funzioni all’interno dell’architettura del dammuso

Una delle caratteristiche architettoniche principali dei dammusi è rappresentata dai tetti a cupola estradossata, il numero delle quali denuncia esternamente la quantità esatta delle stanze di cui è composto il dammuso. La copertura a cupola, spessa di solito 35 – 40 cm, è realizzata in pietra coperta da uno strato di terra, su cui viene steso un impasto di pomice vulcanica come isolante, e uno strato di tufo rosso e latte di calce, come impermealizzante.

caption: le cupole estradossate di un dammuso, a Pantelleria.

Il tetto a forma di cupola assolve tre funzioni principali: l’ampia superficie esposta ai raggi solari, infatti, garantisce che all’interno degli ambienti non vi sia traccia di umidità; la stessa superfice esposta al sole veniva utilizzata esternamente per  l’essiccazione dei prodotti agricoli locali come uvetta, fichi e pomodori. Inoltre i fianchi rialzati della cupola consentono di far confluire l’acqua piovana attraverso un canale aperto, detto “cannalata”, che la dirige all’interno di una cisterna (la “jisterna”), dove si conserva la preziosa riserva di acqua.

La cisterna presenta di solito, oltre all’apertura superiore che permetteva di prelevare l’acqua piovana raccolta, un’altra apertura laterale, che serviva per entrare all’interno della cisterna per la pulitura, oltre che per creare un ricircolo d’aria che manteneva l’acqua fresca ed ossigenata. Non è raro che le cisterne dei dammusi siano di origine punica (ovvero costruite in principio in un periodo che va dall’IX secolo a.C. all’epoca romana).

Protezione dal vento e giardini

Essendo l’isola di Pantelleria soggetta a venti molto forti, i dammusi che sono stati costruiti in particolari aree molto esposte, hanno aperture rivolte verso un’unica direzione, mentre le altre facciate dell’edificio vengono lasciate cieche, per proteggere gli interni dal vento. La porta, disposta generalmente verso sud, è spesso fiancheggiata da due piccole finestre di dimensione 40×50 cm (che di solito sono le uniche della casa), in modo da sfruttare al meglio il calore e la luce negli interni.

Un altro elemento architettonico presente nel complesso dei dammusi è il giardino (u jardinu): i giardini sono solide costrizioni a secco edificate su pianta circolare, con muri che possono arrivare sino a tre metri di altezza, che avvolgevano uno o più alberi per ripararli dai forti venti marini. Gli alberi che di solito venivano riparati dal giardino erano alberi di agrumi e da frutta, palme da dattero e alberi di ulivo.

caption: un "Jardinu" di Pantelleria.

Il dammuso è un insieme di elementi architettonici particolari, che non sono stati nominati nell’ambito di questo articolo perché qui si sono solo voluti evidenziare alcuni aspetti sostenibili di una costruzione tradizionale, semplice ma efficace, che utilizza al meglio il materiale locale a disposizione, per creare degli esempi architettonici a cui forse dovremmo guardare più spesso oggi per le nuove costruzioni.

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Tre “casedde” alle pendici dell’Etna trasformate in cantina enologica

Sul versante Nord dell’Etna a Castiglione di Sicilia in provincia di Catania su di un altopiano posto a 870 metri sul livello del mare, alcune “casedde”, tipiche costruzioni rurali della zona abbandonate da tempo e in parte crollate, sono state recuperate e trasformate in cantina enologica. I progettisti Santi Albanese e Gaetano Gulino del Gruppo VID’A hanno operato rispettando il contesto dominato da un lato dal vulcano e dall’altro dai monti Nebrodi e Peloritani senza modificare le volumetrie e soprattutto utilizzando materiali tradizionali.

UNA CANTINA A IMPATTO ZERO GRAZIE AI BIOMATTONI

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IL PROGETTO DELLA CANTINA

Il complesso è costituito da tre fabbricati disposti a “L” sulla porzione di terreno pianeggiante che si affaccia verso la valle del fiume Alcantara in modo da formare una corte con al centro una cisterna. Tutt’intorno la vegetazione invade ordinatamente il pendio della montagna: filari di vitigni alternati a muretti a secco fanno da cornice al complesso architettonico.

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I tre distinti volumi, che sono costituiti da muri in pietra lavica e da coperture a doppio spiovente in legno di castagno e coppi siciliani, sono suddivisi per destinazione d’uso. L’edificio più grande ospita gli ambienti dedicati all’accoglienza e alla degustazione dei vini, il secondo è dedicato alla conservazione e all’affinamento del vino in botti di rovere, mentre il terzo fabbricato è adibito ad abitazione disposta su due livelli. Non è stato previsto uno spazio per la vinificazione.

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I muri e i tetti sfondati sono stati ricostruiti tali e quali: materiali e tecnologie costruttive impiegati sono quelli che da sempre si utilizzano nella zona. Tutto il recuperabile è stato salvato e le partizioni interne aggiunte si sono limitate agli elementi necessari per l’inserimento dei bagni e degli impianti. L’unico intervento consistente è stato realizzato nell’edificio dedicato all’abitazione: la costruzione era fortemente danneggiata ed è stato necessario ristudiare l’impianto strutturale per adeguarlo alle norme sismiche, ma questo non ha implicato uno stravolgimento del volume che appare immutato.

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La passerella nella Valle dei Templi di Agrigento

Nella famosissima Valle dei Templi ad Agrigento – Sicilia – da alcuni mesi è possibile passeggiare tra l’area del tempio di Zeus e l’area del tempio di Eracle senza soluzione di continuità. Le due zone archeologiche erano, infatti, separate dalla Strada Statale 118 e il percorso di visita risultava frazionato. La realizzazione della passerella pedonale, progettata dallo studio Cottone+Indelicato Architects in collaborazione con Joan Puigcorbe, ABGroup Ingegneria e Sofia Montalbano, permette la fruizione del parco rimarginando la ferita causata dalla costruzione della strada.

ARCHEOLOGIA E ARCHITETTURA: IL VINCITORE DEL PREMIO DOMUS RESTAURO 2014

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IL PROGETTO DELLA PASSERELLA NELLA VALLE DEI TEMPLI

Semplicità e integrazione nel contesto sono le peculiarità della passerella. Il manufatto, secondo gli intenti dei progettisti, si pone come ricostruzione ideale delle antiche mura della città greca che erano state interrotte dalla strada moderna. Il cavalcavia pedonale è costituito da un elemento lineare a sezione alveolare rastremato alle estremità, protetto su entrambi i lati da un ringhiera realizzata con elementi verticali di altezze differenti e posizionati a distanze variabili secondo un modulo ben preciso.

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Il materiale prescelto è stato l’acciaio corten sia per le sue qualità di resistenza meccanica, sia  per la sua capacità di mutare colore nel tempo. Infatti la patina che si crea sulla sua superficie varia dalle tonalità del bruno scuro e quelle della terra. In questo modo l’invecchiamento della passerella non diviene un degrado, ma un valore aggiunto integrandosi maggiormente nel contesto.

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Il cantiere è stato gestito in modo da essere veloce per non interrompere il collegamento stradale di vitale importanza per il traffico veicolare, e soprattutto poco invasivo per limitare gli scavi e i rinterri. La passerella, prefabbricata e montata in loco, è stata ancorata ad un sistema di appoggio in elastometro armato che ha permesso di evitare la realizzazione degli scavi necessari solitamente per la realizzazione del tradizionale sistema di fondazione.

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