Rispetto della normativa RAEE: Ecolamp al Light + Building di Francoforte

È stata inaugurata lunedì 13 Marzo 2016 Light + Building di Francoforte,la Fiera sull’illuminazione e la building automation (tecnologie di automazione applicate alla casa) più importante al mondo, con spazi espositivi per un totale di quasi 250 mila metri quadri e oltre 200 mila visitatori previsti in soli sei giorni.

I temi principali dell’edizione 2016 saranno “Smart technologies”, ovvero le tecnologie intelligenti per l’illuminazione e “l’armonia di design e funzione”, con un focus sui materiali e le tecnologie più innovative del settore dell’illuminazione e la loro influenza sul benessere e la percezione degli spazi. 

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Il Consorzio Ecolamp

Ecolamp, il Consorzio senza scopo di lucro per il Recupero e lo Smaltimento di Apparecchiature di Illuminazione, sarà presente alla fiera insieme ad EucoLight, l’associazione europea che dà voce ai Sistemi Collettivi RAEE specializzati nel gestire la raccolta e il riciclo delle lampadine e degli apparecchi di illuminazione.

I numeri di Ecolamp:

  • Oltre 150 i produttori del settore lighting hanno scelto di affidare ad Ecolamp la piena conformità alla normativa RAEE;
  • 55% la quota di mercato delle sorgenti luminose per le quali Ecolamp ha verificato la conformità alla normativa RAEE;
  • Oltre 2 mila  le tonnellate di lampadine raccolte e correttamente trattate nel 2015 da Ecolamp grazie alla rete logistica e ai servizi messi a disposizione di cittadini, professionisti e della distribuzione.

Sei in regola con la normativa RAEE?

Insieme, Ecolamp ed EucoLight, daranno risposta alla domanda “Are you WEEE compliant?” (“Sei in regola con la normativa RAEE?”).

I RAEE sono i Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, inclusi gli apparecchi illuminanti dismessi, per il cui corretto smaltimento Ecolamp si impegna da oltre dieci anni.

La normativa sullo smaltimento dei rifiuti provenienti dal settore dell’illuminazione, non è identica in tutta Europa, la trasposizione della normativa Europea nei singoli Stati Membri consente margini di discrezionalità che comportano differenze da Paese a Paese così come da un sistema di conformità all’altro.

Ecolamp, membro di EucoLight e tra i suoi soci fondatori, fornirà chiarimenti sugli adempimenti necessari ad adempiere alla normativa RAEE per i produttori attivi sul mercato italiano, ma potrà fornire anche indicazioni rispetto agli altri Stati Membri. Nel medesimo stand saranno infatti presenti 5 sistemi collettivi cofondatori di EucoLight e operanti in altrettanti Paesi dell’Unione, che saranno a disposizione per rispondere all’importante quesito “Are you WEEE compliant?” (“Sei in regola con la normativa RAEE?”).

L’interazione con i rappresentanti di altri Stati è tra le chiavi per migliorare il sistema normativo riguardante la gestione dei rifiuti del comparto dell’illuminazione.

Per avere maggiori informazioni su come affidare a Ecolamp la conformità alla normativa RAEE e conoscere i servizi messi a disposizione dal Consorzio per i propri aderenti, si invita a vistare Ecolamp alla fiera Light + Building di Francoforte dal 13 al 18 marzo presso lo stand EucoLight Hall 4, Level 1, Stand E60.

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Perché scegliere il legno per le costruzioni? I pregi degli edifici in legno

Progettare e costruire con il legno è tra le operazioni più antiche nella storia dell’uomo. Tuttavia oggi sono cambiati bisogni e leggi da rispettare, per cui l’atto progettuale deve accompagnarsi ad una profonda conoscenza del materiale da costruzioni, dei suoi pregi e dei suoi punti deboli per poter scegliere in tutta sicurezza.

LEGNO: IL MANUALE PER COSTRUIRE IN ITALIA

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Gli edifici costruiti negli ultimi decenni consumano il 40% delle risorse non rinnovabili disponibili in natura, producono il 40% dei rifiuti, assorbono il 45% dell’energia complessiva prodotta e generano il 40% dell’inquinamento atmosferico.

Anche attualmente, l’uso di cemento armato e di componenti edilizi sempre più leggeri e inconsistenti, determinano grossi problemi di ponti termici e dispersione di calore, provocando un enorme spreco energetico. A questo si aggiungono altri aspetti negativi, come la poca attenzione verso i sistemi di ventilazione naturale che causa un eccessivo surriscaldamento estivo degli ambienti e obbliga il ricorso a sistemi di climatizzazione notoriamente energivori.

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Occorre allora ripensare globalmente a nuovi criteri di progettazione, sviluppare una diversa sensibilità che promuova un cambiamento verso edifici costruiti con regole ecosostenibili e biocompatibili, che indirizzi il mercato e la società all’uso di elementi ecologici come il legno, dalla scelta delle materie prime alla loro trasformazione, uso e smaltimento, che siano rispettosi della salute e dell’ambiente e utilizzino energia proveniente da fonti rinnovabili.

Soprattutto, occorre abbandonare quella visione antropocentrica che vede l’uomo come unico padrone di tutto ciò che lo circonda e tornare a pensare e agire nel rispetto di quello che la terra produce.

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Perché scegliere il legno per le costruzioni

Il legno è stato sempre presente nella storia dell’evoluzione umana, dimostrandosi valido e affidabile in ogni situazione e, per capire le sue potenzialità energetiche, non dobbiamo far altro che riconoscere le proprietà di cui dispone in natura.

Esso è, infatti, il materiale naturale per eccellenza perché presenta caratteristiche di durezza, resistenza, durabilità e per questo è considerato tra i materiali più importanti per le costruzioni. Alcuni oggetti usati dagli antichi romani si sono conservati intatti per secoli, preservati grazie a situazioni favorevoli che li hanno protetti dagli agenti atmosferici.

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Il legno è anche un ottimo isolante, capace di contenere le dispersioni di calore durante l’inverno e mantenere fresco l’ambiente in estate; questa peculiarità, già da sola, basta a garantire il massimo risparmio energetico.

In Italia si sta lentamente riscoprendo la potenzialità delle strutture in legno; il consorzio Promo Legno stima che nel 2016 ci sarà una crescita del 50% sul nostro territorio, pesantemente colpito dalla crisi economica e che ha visto il settore edilizio tra i più penalizzati.

Nel luglio 2015 poi, è entrato in vigore il nuovo decreto che definisce, per gli edifici da ristrutturare e per quelli di nuova costruzione, le metodologie di calcolo, l’uso di fonti rinnovabili e gli standard energetici minimi, ottimizzando il rapporto costi/benefici in modo da giungere alla progettazione di edifici Nearly Zero Energy Building, in altre parole edifici capaci di ottenere un bilancio fra energia consumata ed energia prodotta prossimo allo zero.

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Nonostante sia un materiale combustibile che ha aiutato l’uomo a riscaldarsi, illuminare gli ambienti e alimentare forni, camini e stufe, è scorretto pensare che il legno sia un materiale vulnerabile. Al contrario, esso presenta un’elevata resistenza al fuoco perché ha una combustione più lenta rispetto ad altri materiali come l’acciaio e il calcestruzzo armato, con una carbonizzazione che procede alla velocità di 0,6-0,8 mm/min e, di conseguenza, il processo di rottura avviene con più ritardo.

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Un altro elemento che consente il ritardo del collasso strutturale del legno è il suo basso coefficiente di conducibilità termica; l’acciaio presenta invece un alto rischio di collasso in caso d’incendio perché, in funzione della temperatura, subisce un rapido decadimento fisico-strutturale. È per questo motivo che in Svezia i vigili del fuoco hanno il divieto di intervenire in edifici di questo tipo.

Lo stesso ragionamento vale anche per le costruzioni in cemento armato, la cui ossatura metallica tende a cedere improvvisamente in presenza di temperature elevate.

Un altro importante aspetto da privilegiare nella scelta di questo materiale elastico e assorbente, è la sua idoneità alla costruzione di edifici in zone sismiche. Basti pensare che in Giappone, terra di grandi eventi sismici, si costruirono fin dall’antichità numerosi templi di legno che hanno superato indenni i secoli e, soprattutto, i numerosi terremoti, compreso quello del 1995 di magnitudo 7,2 della scala Richter. Poggiando su piattaforme di cemento, le strutture in legno “galleggiano” sul terreno riportando danni minimi, perché in grado di assorbire le deformazioni. La forza di un terremoto è proporzionale alla massa dell’edificio e il legno, essendo più leggero degli altri materiali, è sollecitato molto meno. In ogni caso, eventuali danni possono essere riparati facilmente, sostituendo le parti danneggiate.

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Rapidità di montaggio e costi

Una casa in legno può essere montata molto rapidamente, riducendo i tempi di cantiere del 60-70% rispetto a un’abitazione tradizionale. Molti elementi, infatti, sono pre-assemblati in fabbrica eliminando il rischio di fattori climatici che possono rallentare i tempi di avanzamento della costruzione. In questo modo, da un lato è più facile per l’impresa rispettare i tempi di consegna e, soprattutto, i costi preventivati, dall’altro il committente può avvalersi di minori costi a suo carico, senza correre il rischio di trovarsi brutte sorprese, dovute a imprevisti non calcolati, nel prezzo finale. 

La durata

Il legno è un materiale organico e, come tale, soggetto all’azione di muffe, funghi, insetti, termiti e agenti atmosferici, soprattutto le piogge che provocano infiltrazioni e umidità di risalita.

Dunque è di fondamentale importanza curare tutti i dettagli strutturali del progetto, facendo in modo che il legno si bagni il meno possibile o che riesca ad asciugarsi rapidamente, sia sulle pareti esterne che su quelle interne dove si deposita il vapore acqueo generato dalla respirazione, dalla cottura dei cibi e dall’utilizzo della doccia.

Per evitare questi problemi, si possono utilizzare diverse soluzioni che vanno dalla ventilazione meccanica controllata per l’interno, all’uso di prodotti specifici per la bioedilizia, come speciali resine innovative, che proteggono il materiale preservandolo nel tempo, non trascurando ovviamente una costante e continua manutenzione. Solo così la nostra casa di legno potrà durare decenni ed essere considerata un eccellente investimento.

Si può affermare che, in generale, un edificio in legno, oltre ad essere conveniente, offre un maggiore comfort abitativo, cioè quella particolare condizione di benessere derivante dalla somma di quattro elementi: ambiente termo igrometrico, acustica, qualità dell’aria e illuminazione.

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SUS-CON: il calcestruzzo riciclato prodotto solo con materie prime seconde

Dopo tre anni di studio, si è concluso a fine 2015 il progetto SUS-CON, la ricerca coordinata dal Consorzio CETMA e da AMANAC sul calcestrutzzo sostenibile riciclato ottenuto dal reimpiego di materie prime seconde. 

CALCESTRUZZO POTENZIATO DAL RICICLO DEI PNEUMATICI

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Il progetto di ricerca SUN-CON ha permesso si sviluppare tecnologie che consentissero il riciclo di materie prime seconde per ottenere un materiale cementizio leggero, ecologico e sostenibile. I primi prodotti ( pannelli e blocchi in calcestruzzo) sono stati adeguatamente testati per i primi prototipi.

L’efficienza energetica negli edifici e la riduzione del consumo di materie prime ed energia possiedono un’importanza notevole e sempre maggiore per l’Unione Europea. Entro il 2020 è stato, infatti, prefisso l’obiettivo di ridurre del 20% il consumo energetico annuale dei Paesi dell’Unione. Si tratta di un obiettivo audace ma necessario, che bisogna perseguire con determinazione.

Il settore dell’edilizia è uno dei più energivori e, per questo, anche uno dei più importanti, in cui i criteri della sostenibilità e dell’efficientamento energetico devono trovare applicazione concreta per raggiungere i risultati imposti dalle direttive europee.

L’industria delle costruzioni non deve essere intesa solo come il suo prodotto finito, ossia il manufatto edilizio: essa include, infatti, una serie di attività molteplici che va dalla produzione dei materiali edili alla loro posa in opera, fino alla dismissione degli stessi passando per il periodo di “vita” dell’edificio. Per tali ragioni, la sostenibilità di un intervento va commisurata anche con aspetti che precedono (e succedono) la sua realizzazione.

L’applicazione dei criteri della sostenibilità può, e deve, iniziare molto prima della realizzazione del manufatto.

Il calcestruzzo riciclato

SUS-CON (SUStainable, innovative and energy-efficient CONcrete, based on the integration of all-waste materials), ovvero calcestruzzo sostenibile, innovativo e a basso consumo energetico, basato sull’integrazione di materiali di scarto, è un progetto di ricerca, finanziato dalla Comunità Europea, che percorre questa strada.

SUS-CON ha avuto inizio nel gennaio del 2012 e si è concluso lo scorso dicembre 2015, con la presentazione dei risultati raggiunti dopo 4 anni di attività. Si tratta di un progetto di Ricerca e Sviluppo coordinato dal Consorzio CETMA – Centro di progettazione, design & tecnologie dei materiali di Brindisi che ha visto la partecipazione di 16 partner provenienti da 9 Paesi europei e da un paese extra UE con l’obiettivo di sviluppare nuove tecnologie per consentire l’integrazione delle materie prime seconde nel processo di produzione del calcestruzzo.

SUS-CON, inoltre, è uno dei 5 progetti europei afferenti all’area tematica “Low Embodied Energy” di AMANAC (Advanced MAterial & NAnotechnology Cluster), un cluster di progetti di ricerca sulle nanotecnologie e i materiali avanzati per l’efficienza energetica degli edifici.

L’Embodied Energy dei materiali usati in edilizia, o Energia incorporata, è definita come la quantità di energia necessaria per produrre, trasportare fino al luogo di utilizzo e smaltire un prodotto o materiale. 
Ogni materiale può essere definito attraverso la sua Energia incorporata (che si misura in MJ/Kg). 

Alla luce di questa definizione è più immediato comprendere quante siano le dinamiche che interagiscono con la sostenibilità e l’efficienza energetica in edilizia: spesso sono proprio questi aspetti meno evidenti e più complessi ad essere maggiormente energivori e a produrre emissioni di gas a effetto serra.

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Obiettivo del progetto SUS-CON è stato sviluppare tecnologie che permettessero di riutilizzare materiali di scarto (come plastiche miste provenienti dalla selezione dei rifiuti solidi urbani, pneumatici a fine vita, schiume di poliuretano recuperate da frigoriferi dismessi, plastiche provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche e sottoprodotti del processo di produzione dell’acciaio) destinati a essere smaltiti, per la realizzazione di nuovi prodotti da costruzione con alto valore aggiunto (in termini di prestazioni e tecnologie di processo messe a punto).

Risultato del progetto è stato realizzare un prodotto cementizio leggero, ecologico ed economicamente sostenibile, in grado di assicurare l’isolamento termico e acustico, ovviamente verificato in termini di proprietà meccaniche e resistenza al fuoco, che può essere utilizzato sia per applicazioni premiscelate che prefabbricate. Quindi – di fatto – un prodotto che tipicamente appartiene alla tradizione del settore edile ma che ha in sé tutta la forza dell’innovazione.

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Alcuni numeri sui prodotti prototipati realizzati a conclusione del progetto:

  • 1.000 blocchi e 50 pannelli SUS-CON realizzati a livello industriale (presso gli impianti di Magnetti e ISTON, partner industriali del progetto). Si è dimostrato che la produzione dei prodotti SUS-CON è compatibile con i processi esistenti (si riducono così i costi per l’adeguamento delle attrezzature);

  • Costruzione (con pannelli e blocchi SUS-CON) di 3 demo building in scala reale in Spagna, Turchia e Romania per portare a termine la fase di dimostrazione;

  • Monitoraggio delle performance di isolamento termico in differenti condizioni climatiche dei demo building. I prodotti SUS-CON presentano delle capacità di isolamento termico superiori rispetto ai prodotti commerciali utilizzati come riferimento;

  • In termini di resistenza al fuoco, i pannelli SUS-CON sono stati classificati EI 240 (dimostrandosi 4 volte più performanti degli analoghi pannelli commerciali attualmente prodotti dal partner industriale Magnetti, classificati EI 60);

  • Si è infine dimostrato l’alto livello di replicabilità dei risultati del progetto SUS-CON.  Utilizzando per la produzione dei prototipi prodotti locali in Turchia (diversi da quelli precedentemente utilizzati nella fase di sperimentazione in laboratorio), i risultati sono rimasti invariati.

Questi in sintesi gli output di progetto, ora il passo successivo sarà il trasferimento dei risultati dal mondo della ricerca a quello della produzione industriale.

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Progetti in paglia per un’edilizia più sostenibile

I progetti in paglia si stanno configurando come la nuova frontiera delle costruzioni sostenibili. Attualmente l’industria edilizia è una grande fonte di inquinamento. I ricercatori del Centre for Innovative Construction Materials (BRE CICM – University of Bath) sono alla ricerca di alternative a basse emissioni di carbonio per sostituire in maniera sempre più efficiente i materiali da costruzione attualmente utilizzati nei progetti di edilizia e bioedilizia.

TUTTI I VANTAGGI DELLE COSTRUZIONI IN PAGLIA

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Ad esempio si stima che, in tutto il mondo, la produzione del cemento contribuisca al 10% di tutte le emissioni di CO2. Molte industrie stanno cercando una serie di materiali da costruzione, tra cui la paglia e i materiali vegetali come alternative base per la costruzione e nuovi impieghi innovativi, che utilizzino un basso tenore di anidride carbonica, rispetto ai cementi, per ridurre l’impatto ambientale.

Edifici commerciali, residenziali ed industriali sono responsabili del 49% del consumo energetico mondiale. La maggior parte di questa energia utilizzata per il loro funzionamento può essere ridotta con l’ausilio di sistemi e tecnologie ad alta efficienza. Secondo Navigant Research, che redige il Global Building Stock Database, il patrimonio immobiliare mondiale è destinato a passare da poco più di 150 miliardi di metri quadrati, a oltre 170 miliardi di metri quadrati entro il 2024. Gli stati trainanti saranno la Cina (nonostante il fenomeno di forte rallentamento dell’ultimo periodo) gli Stati Uniti e l’Europa Occidentale.

Con il continuo depauperamento delle risorse, aumenterà però la richiesta di progetti di edifici più piccoli e a basso costo, ma soprattutto ad alta efficienza energetica.

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La paglia per un’edilizia più sostenibile

Oltre ad avere una bassa impronta ambientale, un materiale come la paglia offre alcuni vantaggi come un migliore livello di isolamento termico, una migliore regolamentazione del livello di umidità, un miglior livello di comfort acustico…

Lo scopo principale di una costruzione in balle di paglia è l’efficienza; più è piccolo e tanto è più comodo e facile da costruire. Il tempo dedicato al progetto è fondamentale, più sono grandi gli edifici, maggiore è il tempo da impiegare per curare i disegni e i particolari che lo rendano efficiente.

La compattezza dello spazio racchiuso dai muri in paglia, permette di concentrare in un luogo tutte le funzioni utili, anche per aumentare la facilità di costruzione.

caption: Felix Jerusalem Stroh Haus, Zurigo.

Come in una casa passiva, per un buon rendimento, conviene progettare l’edificio esponendolo lungo l’asse Est-Ovest, fornendo una buona esposizione per il basso sole invernale con una percentuale finestrata maggiore a Sud cercando di moderare la dimensione delle aperture verso le altre esposizioni. Un maggior numero di vetrate a Sud richiede una maggiore massa termica all’interno del fabbricato per riuscire ad accumulare un quantitativo adeguato di calore.

Gli edifici in paglia non dipendono da materiali ad alto dispendio energetico e non richiedono lavoro specializzato o complessi meccanismi industriali di realizzazione; questo fattore è incisivo perché rende questa tecnologia accessibile a molte persone.

Gli edifici in paglia in Italia

Molte delle moderne strutture in paglia, soprattutto in Italia, come indicato dalle Norme Tecniche per le Costruzioni, devono essere realizzate con sistema Non loadbearing, il sistema Post and Beam (trave e pilastro). Tutte le costruzioni in paglia (che dalle stesse norme non viene considerato come materiale da costruzione), sul suolo nazionale, devono prevedere uno scheletro strutturale che trasferisca i carichi di esercizio e i carichi permanenti alle fondazioni. Questo scheletro può essere realizzato in legno, acciaio o calcestruzzo. La paglia però viene considerata un materiale caldo, e a contatto con i cosiddetti materiali freddi porterebbe inevitabilmente a marcescenza e al deperimento dell’apparecchio murario.

Negli Stati Uniti, la paglia può essere utilizzata come materiale con funzione strutturale (metodo loadbearing). Nonostante il sistema Post and Beam fornisca alcuni vantaggi come la maggiore flessibilità, la possibilità di usare ballette meno dense o di inserire aperture più frequenti all’interno della superficie opaca di tamponamento, questo risulta più dispendioso, in termini economici, di materiali e di forza lavoro per la costruzione rispetto al metodo con balle di paglia portanti (loadbearing)

Il progetto di un Pod in paglia

A Coazze (Torino), lo staff di Naturalmente Paglia ha realizzato un Modulo Abitativo Ecologico in paglia. In questo piccolo Pod sono stati applicati i principi di economia e modularità, abbinati all’uso di materiali naturali come il legno (per la struttura), la paglia (per il tamponamento) e l’argilla (per i rivestimenti interni). Pensato inizialmente come struttura mobile, realizzato su un vecchio carrello di trattore, il Pod si poggia su gabbioni metallici riempiti da pietrisco. Questi elementi sono un forte esempio di come si possano coniugare efficienza, economia e salubrità. Punto di forza di questo Pod è il reperimento dei materiali che lo compongono.

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Il team di progetto, costituito da giovani professionisti che lavorano con grande passione sui temi della progettazione biocompatibile ed ecologica, incentrano la loro attenzione sulla salute delle persone, cercando, ove possibile, di fare largo uso di materiali naturali. Ogni elemento utilizzato per la sua costruzione proviene da una zona immediatamente vicina al sito di progetto/realizzazione. Grande punto di forza per progetti in paglia, risulta essere l’autocostruzione. Molti edifici infatti sono concepiti per essere realizzati da persone non specializzate, sotto la supervisione di almeno un professionista che abbia presenziato ad almeno due cantieri costruiti attraverso autocostruzione.

Prima di spendere tempo per sviluppare un progetto dettagliato, bisogna considerare le caratteristiche rilevanti del progetto. Bisogna in primo luogo informarsi sul reperimento delle balle di paglia (vicinanza dal sito di progetto, produzione, dimensione), allo stesso tempo bisogna esplorare la situazione normativa del sito di intervento. Una parte di questa fase preliminare è atta a considerare la possibile opzione di fondazione che coniuga dati geologici, climatici, stabilità del terreno, dati idrogeologici e proprietà dell’edificio che si vuole progettare.

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Il materiale più leggero del mondo: il Boeing Microlattice

Gli UMMs – Ultralight Metallic Microlattices (microreticoli metallici ultraleggeri) sono dei materiali artificiali strutturati in forma di schiuma metallica, con peculiari proprietà elettromagnetiche, le cui caratteristiche macroscopiche non dipendono esclusivamente dalla loro struttura molecolare ma anche dalla loro geometria realizzativa. Per diversi anni la Boeing, la più grande azienda statunitense costruttrice di aeromobili nonché la maggiore azienda del settore aerospaziale, in una joint venture con HRL Laboratories, società dell’avanguardia tecnologica che conduce numerose ricerche pionieristiche per soluzioni tecnologiche innovative, riconosciuta come leader nel campo delle scienze fisiche ed ingegneristiche, ha sviluppato Boeing Microlattice, un materiale innovativo estremamente leggero che possa essere usato nel prossimo futuro per alcune componenti degli aeroplani. 

SCHIUME ULTRALEGGERE E ISOLANTI DALLA NANOCELLULOSA

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La struttura del materiale più leggero al mondo

Nonostante sia un metallo e abbia una resistenza assimilabile a quella del titanio, il materiale è circa 100 volte più leggero del polistirene estruso-espanso (XPS) utilizzato per l’isolamento termico degli edifici. Il reticolo del Boeing Microlattice è composto per il 99,9% di aria e pertanto le sue proprietà dipendono dalla sua struttura piuttosto che dalla sua composizione chimica, analogamente per tutti i cosiddetti metamateriali. La densità del reticolo è pertanto di circa 0,9 milligrammi per centimetro cubo, caratteristica che ne fa il materiale più leggero del mondo, inferiore anche dell’aerogel, con densità pari a 1 mg per centimetro cubo.

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Il segreto dell’estrema leggerezza del Boeing Microlattice è nella struttura tridimensionale a celle aperte, composta da una fitta struttura periodica di nanotubi metallici cavi, ottenuta da una matrice polimerica. Le strutture tubolari hanno diametri di circa 100 μm, con spessori metallici di circa 500nm. Nel video di presentazione del materiale, Sophia Yang, scienziata ricercatrice che lavora per HRL Laboratories, assimila il polimero innovativo alla struttura ossea: esternamente molto rigida è anch’essa cava nella parte centrale risultando molto resistente ma allo stesso tempo leggera.

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Possibili applicazioni del Boeing Microlattice

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La Boeing sta ovviamente ricercando le possibili applicazioni del materiale nel campo aeronautico e spaziale: sostituendo alcune parti metalliche (pannelli laterali, cappelliere, pannelli di pavimentazione) con questo materiale, gli aerei sarebbero più leggeri e, considerando l’efficienza energetica, risparmierebbero una grande quantità di carburante, senza considerare che l’elasticità del materiale sarebbe senz’altro d’aiuto all’assorbimento termico e acustico in fase di volo. Essendo poi HRL Laboratories in parte di proprietà di GM – General Motors, è probabile che gli scienziati stiano anche valutando l’applicazione del Microlattice con vantaggi di leggerezza e consumi, assimilabili a quelli descritti per gli aeromobili, anche per alcune componenti delle automobili.

La sua facilità di trasporto e manipolazione renderebbe il materiale adatto anche per numerose applicazioni nel campo dell’architettura. Considerandone le caratteristiche fisiche, del tutto inconsuete per un metallo, corrispondenti principalmente ad una straordinaria leggerezza, ad una elevata comprimibilità e memoria di forma rispetto a intense compressioni del volume iniziale – quindi elevata capacità di assorbimento dell’energia meccanica –, se ne potrebbe prendere in considerazione l’utilizzo come isolante termico oltre che come materiale per l’assorbimento e l’isolamento acustico. Assorbimento che potrebbe riguardare anche urti e shock meccanici prefigurandone l’impiego in pavimentazioni tecniche flottanti e pannellature.

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Elementi modulari OSB: la struttura in legno è pronta in 10 giorni

A Novembre sono terminati i lavori del primo cantiere italiano di un edificio realizzato da elementi modulari in legno. Si tratta della costruzione di un edificio residenziale unifamiliare a due piani fuori terra realizzato nel comune di San Secondo di Pinerolo in provincia di Torino.

La struttura dell’edificio, dalle fondazioni alla copertura, è stata realizzata in dieci giorni a partire dal 31 Agosto di quest’anno.

IL LEGNO DA COSTRUZIONE

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I pannelli OSB: Oriented Strand Board

L’abitazione è stata progettata e realizzata con elementi modulari in legno. Il sistema costruttivo è composto da elementi modulari in OSB, realizzati con legno di pioppo di provenienza locale. I pannelli OSB (acronimo di Oriented Strand Board) nelle costruzioni in legno sono utilizzati prevalentemente nelle costruzioni a telaio.

I pannelli sono composti da tre strati a struttura simmetrica di trucioli piatti, denominati strand. Gli strand degli strati esterni sono orientati parallelamente alla direzione di produzione e sono di migliore qualità. Gli strati interni sono invece composti da materiale più fine e di geometria meno controllata, orientati in modo casuale o in direzione perpendicolare alla direzione di produzione. La produzione di pannelli OSB in Europa viene realizzata prevalentemente con legname a basso costo, proveniente in gran parte dalla ripulitura delle foreste. Le fasi produttive sono comuni ad altri tipi di pannelli e prevedono la scomposizione del legno a formare le particelle di dimensione necessaria, l’essiccazione, l’addittivazione con colla, la formazione degli strati e la pressatura.

In questo cantiere non sono stati utilizzati i classici pannelli bensì elementi modulari (foto in basso), realizzati con la stessa tecnica produttiva. Questi elementi sono dotati di incastri che, oltre a facilitarne la posa in opera, agevolano il controllo geometrico e della verticalità in fase di costruzione. Data la particolare disposizione degli incastri sono scongiurati poi eventuali errori di montaggio della struttura.

Il cantiere di un edificio modulare in legno

Il vantaggio enorme dell’utilizzo di questa tecnica costruttiva è stato la velocità di posa in opera che in soli dieci giorni ha portato alla realizzazione dell’intera struttura dell’edificio. Il 31 Agosto di quest’anno è cominciata la posa del primo corso di elementi in OSB a seguito dell’impermeabilizzazione e dell’isolamento della fondazione in calcestruzzo precedentemente realizzata.

Gli elementi vengono fissati alla fondazione mediante particolari sistemi di ancoraggio denominati hold-down, ovvero profili in acciaio chiodato disposti su entrambi i lati dell’elemento. Questi elementi, progettati per resistere alle sollecitazioni a flessione, sono poi affiancati a ulteriori profili a L, sempre chiodati, che devono sostenere le sollecitazioni al taglio della struttura.

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Il giorno successivo è stata completata la posa degli elementi dell’intero primo piano e completato l’isolamento dei blocchi. L’isolamento delle pareti perimetrali esterne è realizzato mediante il riempimento manuale delle cavità dei blocchi con sughero bruno granulato.

Il 2 Settembre sono state posati e fissati gli elementi di chiusura e le travi del primo solaio. Nella stessa giornata è stato terminato il solaio.

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Stesse fasi e stesse tempistiche sono state seguite per la realizzazione del secondo piano fuori terra che quindi è stato completato interamente dopo soli 5 giorni dall’inizio del cantiere. A seguire è stato realizzato l’isolamento del tetto.

Completato l’assito del secondo solaio e posata la barriera impermeabile, sono state posizionate le travi “passafuori” e successivamente la coibentazione della copertura. L’isolamento, in pannelli di fibra di legno, è stato eseguito a doppio strato sfalsato, con un ulteriore ultimo strato tra i travetti in legno.

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Terminato l’involucro esterno, si è proseguito con l’ultimazione dell’interno mediante la posa del freno vapore sul lato caldo delle pareti esterne e con la costruzione delle contropareti, necessarie per il passaggio degli impianti.

Le facciate sono state ultimate il 10 Settembre con la posa di doghe in legno di cedro, inclinate di 45 gradi che, opportunamente sagomate in corrispondenza delle aperture, rivestono completamente l’edificio.

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Retrofit energetico della fibra di vetro: il pannello per facciata che riscalda

I consumi energetici di un edificio rappresentano un tasto dolente per molti architetti che, nell’ultimo periodo, si stanno impegnando sempre di più sullo sviluppo del tema, studiando sistemi in grado di contenere il dispendio energetico e di far del bene non soltanto a chi utilizza l’edificio, ma anche al pianeta.

È questa la filosofia che ha guidato un team di ricercatori spagnoli a proporre un prototipo di facciata prefabbricata in fibra di vetro in grado di sfruttare al massimo l’energia solare, assorbendola e rilasciandola all’interno per il riscaldamento degli ambienti, e di isolare perfettamente l’edificio dal punto di vista termico.

PANNELLI IN IDROCERAMICA AUTORAFFRESCANTI

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L’idea ha preso il via da un report diffuso dalla ONG The Climate Group, secondo la quale gli sprechi energetici degli edifici sono destinati a raggiungere il 45% entro il 2025 (il periodo di riferimento parte dal 2002). 

Questo dato potrebbe non diventare realtà proprio grazie all’applicazione della facciata Made in Spain che, pur non essendo accessibile a tutti i portafogli, offrirebbe, sul lungo periodo, l’opportunità di portare ad una notevole riduzione dei dispendi energetici e, di conseguenza, economici.

Il prototipo è stato realizzato dalla Divisione Costruzioni Sostenibili del Centro di ricerca Tecnalia di San Sebastian. Il pannello prefabbricato è stato ottenuto da una miscela di fibra di vetro e leganti organici e si è deciso di applicare il “modello pilota” su un edificio di Merida.

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Verifiche e caratteristiche del pannello per facciata 

I test a cui la parete in fibra di vetro è stata sottoposta per la verifica delle sue prestazioni si sono orientati in tre direzioni principali: resistenza al fuoco, resistenza ad acqua e vento, isolamento termico e isolamento acustico.

L’esperimento eseguito per valutare il livello di resistenza al fuoco del pannello è stato quello che, più di ogni altro, ha preoccupato i ricercatori, come ha rivelato l’archietto Julen Larraz Astudillo. Il motivo? Proprio il punto di forza del pannello: i materiali che lo compongono, la fibra di vetro e i leganti organici. In realtà il test ha dato risultati più che soddisfacenti, permettendo ai ricercatori di spuntare questo esperimento sulla checklist, annotando valori perfettamente in linea con gli standard dettati dall’Unione Europea.

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La resistenza all’acqua è stata verificata attraverso il controllo della tenuta delle unità tecnologiche. I risultati hanno portato alla conclusione che la parete funziona se l’acqua piovana non entra in contatto con il lato interno, posizionato proprio dietro le unità tecnologiche. Nel caso in cui si verificasse questa condizione, infatti, il sistema potrebbe essere facilmente affetto da deterioramento. La resistenza rispetto alla forza del vento, di contro, sembrerebbe essere molto alta: la facciata è in grado di sopportare una pressione di circa 305 kg/mq senza presentare alcun segno di cedimento. Sicuramente rappresenta un ottimo riparo in caso di forte vento.

Ma arriviamo all’aspetto più interessante in termini energetici: l’isolamento termico. Il fatto che il pannello sia collegato al prospetto originale dell’edificio attraverso dei fori aveva fatto pensare, in un primo momento, alla presenza di “spifferi”, piccoli spazi in grado di far passare l’aria all’interno. Va da sé che, se gli esperimenti avessero lasciato emergere un tale risultato, il nuovo pannello sarebbe stato considerato totalmente fallimentare, dal momento che l’idea è nata proprio con l’intento di contenere il dispendio energetico. E se il calore accumulato attraverso l’irraggiamento solare viene “contrastato” dall’aria che entra dall’esterno dell’edificio è evidente che non si è cavato un ragno dal buco. In verità i test non solo non hanno rilevato difetti dal punto di vista dell’isolamento termico, ma neppure sotto il profilo acustico. I fori, in altre parole, non lasciano passare né aria né suoni.

Dopo lo studio accurato e le verifiche meticolose effettuate i ricercatori spagnoli si augurano che, pur non essendo economicamente appetibile e industrialmente riproducibile in modo agevole, il sistema brevettato possa rappresentare un primo passo verso il futuro, una novità nel campo del risparmio energetico in architettura. 

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Fotocatalisi: lampade LED purificano l’aria

La necessità di vivere in un ambiente più pulito e salubre esorta, ormai da tempo, i ricercatori a pensare ad un uso ecocompatibile della luce e del sole e ad indagare, nell’ambito della fotochimica applicata ai materiali da costruzione, nuove strategie per ridurre l’inquinamento ambientale. Negli ultimi anni l’interesse scientifico e tecnico per le applicazioni della fotocatalisi è aumentato in misura considerevole, fino ad approdare alle lampade con tecnologia LED per purificare l’aria.

LA FOTOCATALISI PER PURIFICARE L’ARIA

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Cos’è la fotocatalisi

Akira Fujishima dell’università di Tokio nel 1990 è stata la prima ad osservare che una pellicola di biossido di titanio sotto l’azione della luce del sole azionava un processo di fotocatalisi.

La fotosintesi clorofilliana delle piante è un tipico esempio di fotocatalisi. A differenza della fotosintesi, in cui la clorofilla cattura la luce solare per trasformare acqua e anidride carbonica in ossigeno e glucosio, la fotocatalisi (in presenza di un catalizzatore e di luce) genera un agente ossidante in grado di trasformare le sostanze organiche presenti nell’aria in anidride carbonica e sali (nitrati di sodio e di calcio).

È un processo che già avviene in natura ma che la fotocatalisi accelera. I sali che si depositano al suolo vengono rimossi dal vento e dalla pioggia, mentre l’anidride carbonica si disperde nell’atmosfera.

Il fotocatalizzatore in questo caso è il biossido di titanio (TiO2) che, irraggiato dalla luce solare o da una lampada a raggi UV sulla lunghezza d’onda 400-315 nm, assorbe l’energia portata da un fotone e scatena la reazione che decompone le sostanze inquinanti organiche ed inorganiche presenti nell’aria sottoposta al processo. Il meccanismo con cui i materiali come il biossido di titanio trasferiscono l’energia assorbita dalla luce ad altre sostanze poste nelle loro immediate vicinanze consiste nella donazione di elettroni. Il titanio non interviene nella reazione fotocatalitica, la favorisce soltanto prestando i suoi elettroni che successivamente riacquista dall’ambiente. Quindi non si consuma. Il biossido di titanio si comporta solo come accettore di elettroni. 

Applicazioni tradizionali della fotocatalisi

Sono stati concepiti depuratori d’aria di diverse dimensioni, da quelli per uso domestico a sistemi di ventilazione per trafori. Un’altra applicazione è quella di rivestire i materiali da costruzione con fotocatalizzatori per rimuovere gli agenti inquinanti dalle strutture. Questo metodo che può essere chiamato “passive air purification”. L’obiettivo principale è la riduzione dei livelli di ossido di azoto (gas NOx) che oltre a creare problemi respiratori, contribuisce alla formazione dello smog e delle piogge acide. I prodotti fotocatalitici in grado di abbattere l’inquinamento atmosferico rientrano nelle “Linee Guida per l’utilizzo di sistemi innovativi finalizzati alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento ambientale” indicate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio con decreto ministeriale del 1 aprile 2004 in attuazione della legge 16 gennaio 2004 n. 045. Secondo il CodiceST001 sono materiali fotocatalitici: “malte, pavimentazioni, pitture, intonaci e rivestimenti contenenti sostanze fotocatalitiche con biossido di titanio per la riduzione di ossidi di azoto, VOC, batteri e di altri inquinanti atmosferici”.

L’efficacia della reazione fotocatalitica è massima durante il giorno e minima nelle ore di oscurità, tranne nel caso di utilizzo di lampade a raggi UV che garantiscono quindi una stessa efficacia. Pertanto, una tipica applicazione di materiali fotocatalitici è quella di usare lampade UV per purificare l’aria. I raggi UV, tuttavia, sono anche conosciuti per i loro effetti a lungo tempo nocivi per gli essere viventi, responsabili di danni alla salute ed in particolare alla pelle.

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Applicazione delle lampade LED nel processo fotocatalitico

A differenza degli altri sistemi di illuminazione tradizionali con uno spettro continuo in cui sono presenti contemporaneamente tante frequenze cromatiche, il LED ha una sola frequenza e produce un fascio luminoso assolutamente privo di raggi infrarossi e ultravioletti. Oltre ai vantaggi in termini di risparmio energetico, durata e di sostituzione/manutenzione derivanti dal sistema di illuminazione LED, queste lampade sono utilizzate per purificare l’aria attraverso il processo di fotocatalisi, sostituendo la tecnologia tradizionale attivata dai raggi UV. Il catalizzatore, infatti, si attiva con luce visibile.

L’attività di purificazione avviene durante tutto il tempo di accensione, grazie al trattamento della lampada con una nanotecnologia, frutto di ricerca e innovazione. La luce attiva il processo di fotocatalisi che permette alle molecole di triossido di tungsteno (WO3) di generare i Reactive Oxygen Species, capaci di decomporre gli odori sgradevoli (derivanti, ad esempio, da cucina o bagno), gas e vapori inquinanti (come la formaldeide), ma anche di distruggere virus, germi e batteri. Il Triossido di Tungsteno è più efficace di qualsiasi altro agente antibatterico (e di altri materiali fotocatalitici come il biossido di titanio che reagiscono principalmente ai raggi UV). Queste innovative lampade LED, quindi, illuminano gli ambienti svolgendo contemporaneamente le funzioni appena citate.

Tra i vantaggi nell’utilizzo della tecnologia LED durante il processo fotocatalico il primo e più interessante è senz’altro il fatto che il catalizzatore, ovvero il triossido di tungsteno, non si attiva con i raggi UV; la reazione, come detto all’inizio, non consuma il catalizzatore che ricopre la superficie della lampada, quindi non c’è bisogno di nessuna manutenzione o sostituzione del film; inoltre, non vengono rilasciati materiali inquinanti.

Questa innovazione nel campo dell’efficienza energetica e della sanificazione dell’aria trova diversi campi d’applicazione: strutture di cura, residenze per anziani, ambulatori pubblici e privati, scuole, hotel, ristoranti, mezzi di trasporto pubblico e tutti i luoghi in cui è presente un forte inquinamento indoor o si rende necessario garantire la salute e il benessere delle persone.

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Gridshell: gusci strutturali a graticcio

Le gridshell (gusci strutturali a graticcio) sono strutture che incrociano il comportamento strutturale del guscio (shell) con quello del graticcio (grid), due famiglie molto distanti tra loro, una dalle curve morbide e l’altra caratterizzata da geometria e rigore cartesiano.

Le strutture in legno leggere sono state spesso oggetto di studio e sperimentazione. Dalle prime balloon frame alle visionarie sperimentazioni di Frei Otto ed Edmund Happold, fino ad arrivare alle strutture più dinamiche di Ville Hara e Mutsuro Sasaki, si assiste ad un graduale passaggio da una concezione bidimensionale ad una tridimensionale, dove gli elementi del graticcio strutturale piano si piegano in configurazioni spaziali resistenti.

SHIGERU BAN E LA STRUTTURA IN LEGNO PER IL GOLF CLUB

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La nascita e gli sviluppi delle gridshell

Il primo a sperimentare questa tecnica è Frei Otto con la Multihalle di Mannheim del 1975, che risulta essere la più grande gridshell autoportante in legno nel mondo, classificata come monumento storico-culturale nel 1998, per la sua forma insolita, l’ampia luce, per l’uso innovativo del legno impiegato per creare un reticolo complesso e flessibile che non aveva precedenti eguali nella storia della carpenteria.

Molte altre gridshell, anche di materiali differenti, sono state create dopo il progetto del Mannheim Pavilion, come il Padiglione del Giappone in tubi di cartone (Hannover, 2000, Shigeru Ban e Frei Otto), il Weald e Downland gridshell in rovere (Singleton, 2002, Buro Happold e Edward Cullinan) e il Savill gridshell in larice (Windsor, 2006, Buro Happold e Glen Howells Architects).

caption: Frei Otto

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Equilibrio, leggerezza e semplicità sono gli aggettivi che meglio identificano questi gusci strutturali a graticcio. Ma anche resistenza, rigidezza, razionalità e consapevolezza delle tecniche costruttive e delle proprietà del materiale. Forme sinuose capaci di coprire spazi considerevoli e garantire grande flessibilità spaziale.

Tutte le parti costituenti la maglia strutturale hanno una dimensione ridotta e sono semplici da produrre. Le bacchette sono facilmente sostituibili poiché non sono né incastrate né incollate. E’ una struttura che dura nel tempo, grazie al suo stesso sistema costruttivo. Basti pensare al Multihalle di Mannheim che dopo 40 anni ancora è in piedi, nonostante i limiti tecnologici del tempo in cui è stato pensato e realizzato.

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Strutture resistenti per forma

Se la materia è flessibile, configurata in una maniera specifica e vincolata a estremità fisse, è in grado di autosostenersi, di sopportare un certo carico e coprire determinate luci. Le gridshell sono considerate pertanto strutture resistenti per forma.

Le gridshell in legno si realizzano seguendo le seguenti fasi:

  • Tessitura e cucitura: gli elementi lineari si assemblano in una trama regolare e si fissano secondo la forma desiderata; questa operazione avviene in piano. La tessitura ha le caratteristiche della produzione industriale e razionale a ricordare il concetto del graticcio, la manifattura quella dell’azione artigianale, organica, più vicina al tema del guscio.
  • Deformazione: le parti si forzano ad assumere la forma finale, attraverso la flessione degli elementi e la deformazione delle maglie, che da quadrate diventano romboidali. Ciò è possibile grazie alla grande elasticità del legno e quindi sulla sua disponibilità a essere deformato anche in maniera sensibile senza spezzarsi, ma flettendosi dolcemente e cambiando la geometria delle maglie. Una volta formate, quest’ultime si fissano al suolo e si procede alla posa degli irrigidimenti diagonali, cavi metallici o altri elementi lignei, che gli attribuiscono la necessaria rigidezza. Come accade per il fasciame delle barche, la messa in coazione delle bacchette produce la doppia curvatura finale. Tuttavia, è una forma che più che essere imposta al materiale, va calcolata già in fase di progetto.

Attraverso appositi programmi di calcolo strutturale bisogna valutare dove e in che misura applicare le pressioni per attribuire alla struttura la forma che si vuole realizzare.

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La sostenibilità delle gridshell

I gusci strutturali a graticcio post-formati sono sostenibili in quanto composti da un materiale ecologico per eccellenza, il legno, secondo una produzione in parte industrializzata e in parte hand-made. La fase di cantiere prevede l’utilizzo di macchinari dal ridotto consumo e la leggerezza delle parti consente di muovere tutto a mano. Le giunzioni non prevedono l’uso di collanti chimici né di trattamenti superficiali con prodotti di sintesi; le bacchette, infatti, sono bullonate, così da essere facilmente sostituibili e reversibili. Ciò comporta principalmente la garanzia, alla fine del ciclo di vita, di poter smaltire ecologicamente il legno di cui la struttura si compone.

Le gridshell in Italia

In Italia l’unico gruppo di ricerca sul tema gridshell è guidato dall’Arch. Prof. Sergio Pone, del Dipartimento di Architettura dell’Università degli studi di Napoli “Federico II”, che dal 2006 sperimenta forme e sistemi di costruzione diversi, in collaborazione con gli architetti Sofia Colabella e Bianca Parenti. Nel 2014, un gruppo tutto italiano formato da Sofia Colabella, Alberto Pugnale (docente presso la Melbourne School of Design) e Sergio Pone (docente presso UniNa), ha progettato e realizzato con gli studenti australiani, la prima gridshell post-formata in accoya d’Australia. L’accoya è una varietà di legname di eccezionale durabilità e stabilità dimensionale, dalle elevate prestazioni, atossico e resistente agli ambienti esterni più ostili.

Tra le gridshell realizzate in Italia si citano: la copertura della corte di una casa rurale a Ostuni nel 2007; la Woodome, gazebo nella corte della Masseria Ospitale di Lecce nel 2009; la copertura della terrazza sempre presso la Masseria Ospitale Lecce nel 2010; il gazebo nella sede della Holzbau sud Calitri nel 2010; la gridshell all’interno del Parco archeologico di Selinunte nel 2012; Toledo 2, un padiglione nel cortile della Scuola di Architettura di Napoli nel 2014.

Tra tradizione e modernità

Il sistema costruttivo delle gridshell si rifà a tecniche costruttive molto antiche. Si ispira, infatti, sia ad una tecnica millenaria, tipica di alcune popolazioni asiatiche e australiane, di lavorare il bambù, sia alla sapiente tradizione costruttiva degli scafi in legno.

Questi gusci strutturali a graticcio, si adattano all’ambiente urbano e naturale, dialogando con il costruito ma anche con la natura. Data la flessibilità delle geometrie strutturali è possibile intervenire, con leggerezza, sia negli edifici del paesaggio rurale che nei contesti aperti più complessi delle città. La possibilità di personalizzazione offre poi infinite possibilità di configurazioni spaziali, attraverso software molto complessi, basati su algoritmi generativi e sulla progettazione parametrica (come Kangaroo e Karamba, all’interno del programma Grasshopper). Progettazione parametrica, innovazione, approccio ecologico, creatività e collaborazione pratica sono gli elementi base per una continua “ricerca della leggerezza” in architettura.

Grande libertà compositiva che ben si adatta alla molteplicità e complessità della società contemporanea, sempre più mutevole e dinamica.

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http://www.architetturaecosostenibile.it/architettura/progetti/in-europa/torre-cedri-bosco-boeri-551/
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La facciata che reagisce alla pioggia

Osservare i fenomeni naturali e gli organismi naturali è da sempre una fonte di ispirazione per artisti e architetti. Quesiti complessi trovano spesso semplici soluzioni, basta saper guardare con gli occhi giusti il mondo che ci circonda. Questo è quello che ha fatto Chao Chen, uno studente del Master in Product Design al Royal College of Arts di Londra, che si è lasciato ispirare dal meccanismo di reazione delle pigne sotto la pioggia per realizzare una facciata biomimetica.

FACCIATE VIVENTI: LO SCHERMO DINAMICO PENUMBRA

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L’acqua è fondamentale per l’uomo e per la Terra, ma per gli edifici e gli architetti la pioggia rappresenta forse il nemico numero uno, ma un’attenta progettazione può sovvertire il problema acqua piovana e permettere di sfruttarla a proprio favore, recuperandola e riutilizzandola, o può dar vita a sistemi innovativi molto interessanti.

Lasciarsi ispirare dalla natura

Passeggiando ad Hyde Park, in una giornata piovosa londinese, Chao Chen ha osservato che le pigne a contatto con le gocce di pioggia allungavano il loro guscio esterno per proteggere i loro semi. Incuriosito decide di osservare con più attenzione come è fatta una pigna: sezionandola si accorge che è composta di due gusci, uno interno ed uno esterno, il primo si allunga oltre il secondo strato, in modo da impedire che i semi vengano a contatto con l’acqua piovana.

“Questo fenomeno naturale– dice Chao Chen- mi ha portato a uno studio sulla scienza del bio-mimetismo e mi ha ispirato nell’ideazione di un materiale laminato che reagisce con l’acqua.”

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Sfruttando le proprietà del materiale, è riuscito a realizzare una superficie biomimetica che a seconda del grado di umidità dell’aria muta la sua forma naturalmente, senza l’utilizzo di sistemi elettronici o strutture meccaniche. Questo è possibile perché le fibre si espandono a contatto con l’acqua distendendosi, cosicché ne risulta una superficie che allungandosi o incurvandosi si apre e si chiude a seconda della pioggia.

Questo materiale è stato studiato per diversi contesti, di tipo agricolo e di tipo architettonico: utilizzando una lamina di materiale nel suolo, è possibile capirne il grado di umidità, così come è possibile creare una superficie che cambia colore a contatto con l’acqua, o creare una superficie dinamica che si apre e si chiude per impedire all’acqua di entrare all’interno di un edificio.

  • Indicatore per il giardinaggio – Una lamina di materiale composta da un lato color rosa e uno azzurro, utilizzata nei vasi o nella terra, permette di rilevare il grado di umidità del suolo, è così possibile capire quando annaffiare le piante. Quando la terra è secca il materiale si alza mostrando il lato rosa, mentre quando la terra è umida il materiale si curva mostrando il lato azzurro.
  • Pensilina che reagisce alla pioggia – Una seconda applicazione è quella ideata per una pensilina intelligente composta da lamelle che si chiudono a contatto con l’acqua per impedire agli utenti di bagnarsi, nelle giornate di sole le lamelle sono invece aperte in modo da far passare la luce naturale filtrata da queste finte foglie, che fungono da schermatura, si avrà così l’impressione di essere sotto un albero.
  • Superficie architettonica che reagisce alla pioggia 

caption: L'indicatore per il giardinaggio

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caption: La pensilina che reagisce alla pioggia

Questo terzo prototipo, della superficie architettonica che reagisce alla pioggia, è pensato per l’involucro degli edifici, una superficie composta da elementi romboidali uniti tra loro attorno a dei perni, un po’ come fossero i petali di un fiore. Questi elementi sono liberi di curvarsi e di distendersi: nelle giornate di pioggia la superficie risulterà compatta e chiusa, mentre nelle giornate di sole questi elementi si incurvano e lasciano passare le radiazioni solari all’interno degli ambienti.

Essendo pensato per città molto piovose e grigie, il materiale è di tonalità chiare, per dare più luminosità alle facciate e rendere più piacevoli le giornate uggiose. Chen sta continuando a sviluppare questi prototipi, prima di poter essere messi sul mercato è necessario infatti verificare la resistenza del materiale ai venti o il numero di volte in cui può rimanere a contatto con l’acqua.

Un’idea brillante che unisce la funzionalità all’estetica. Non ci resta che aspettare di vederli applicati in un edificio!

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Empire State Building: un grattacielo storico riprogettato in legno

I primi grattacieli, le cosiddette Meraviglie del Mondo Moderno, emersero tra New York e Chicago alla fine del XIX secolo. Completato nel 1931, in soli 410 giorni, l’Empire State Building, è stato per 40 anni l’edificio più alto del mondo. Con il suo stile Art Decò, la struttura in acciaio e il suo rivestimento in pietra calcarea viene inserito di diritto tra le Sette Meraviglie del Mondo Moderno.

Ma questo simbolo incontrastato di Manhattan e dell’era industriale, potrebbe essere ri-costruito in legno?

GRATTACIELI IN LEGNO: IL PROGETTO WOODSCRAPER

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Se l’e’ chiesto Michael Green, visionario architetto canadese che, in collaborazione con un’azienda finlandese produttrice di legno per le costruzioni, ha riprogettato un Empire State Building le cui componenti strutturali sono tutte interamente in legno.

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Obiettivo dell’architetto è cercare di cambiare idee e i pregiudizi relativi alle costruzioni in legno. Negli ultimi anni, nel mondo sono stati costruiti diversi edifici in legno con altezza superiore a 30 metri; questi record però, saranno presto superati da nuovi progetti che raggiungeranno altezze di 75 metri (Barents House di Reinulf Ramstad Arkitekter). 

A Vancouver, dove ha sede l’ufficio dell’Architetto Michael Green, e in California (nelle foreste di sequoie secolari), gli alberi crescono per altezze notevoli, arrivando talvolta anche a 33/40 piani. La crescita di un albero è legata solamente alla capacità dello stesso di recuperare le sostanze nutritive presenti nel terreno e di spingerle nelle fibre più alte.

caption: Reinulf Ramstad Arkitekter

Green è un forte sostenitore del legno e delle strutture che da questo possono essere generate e pensa che questo materiale, l’unico a carbonio neutro che ci permette di costruire con una certa semplicità e sicurezza, che cresce solo con l’effetto del sole, diventerà la soluzione più pratica e ambientalmente compatibile che favorirà una rapida e sostenibile urbanizzazione globale. La sfida per Green è stata proporre qualcosa che andasse oltre a tutti i progetti proposti fino ad oggi; una struttura in legno alta 5 volte la più alta struttura di legno costruita finora

Mentre le costruzioni in legno di oggi raramente superano certi canoni, soprattutto per via delle norme tecniche costruttive che oramai risultano obsolete, la versione rivisitata dell’Empire State Building si avvale di pratiche ingegneristiche innovative per rispecchiare la dimensione e la forma del suo precedente.

Costruito nel 1931, l’originale Empire State Building ha rappresentato una svolta fondamentale per le costruzioni in acciaio, il modo di progettarle e di pensarle. Riproporre la “torre” in un modo così radicale significa dimostrare che il legno ha tutto il potenziale per diventare l’acciaio del XXI secolo.

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Le dimensioni complessive dell’edificio, la distanza interpiano e l’interasse tra i pilastri risultano le stesse del progetto originale. I pilastri sono strutturalmente monolitici per 6 piani e sono collegati da travi scatolari che irrigidiscono la struttura sul lato corto dell’edificio. All’interno di questi scatolari sono alloggiati diversi cavi che hanno anch’essi il compito di legare la struttura verticale.

Nonostante l’imponenza della struttura, il trasporto dei materiali per la costruzione di un edificio del genere costerebbe meno rispetto a quello di altri materiali e metodi. La scelta di un sistema di elementi in legno prefabbricati è meno costosa e più efficiente.

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A differenza degli altri materiali strutturali, il legno non deve essere coperto e può rimanere a vista come finitura degli interni, offrendo un bellissimo ambiente caldo e confortevole; in caso di incendio (carbonizzazione a circa 0.7 mm al minuto) la superficie carbonizzata protegge il prodotto e lo isola.

Il legno, con il suo utilizzo, risulta essere ad oggi, l’unico materiale che, derivato da una raccolta controllata e responsabile – evitando il depauperamento del patrimonio arbustivo terrestre – riduce le emissioni di gas serra senza produrre componenti nocivi per l’uomo e per l’ambiente. Possiamo dire che il legno è un materiale strutturale che si allinea perfettamente con i caratteri dell’innovazione contemporanea, e ci aiuta ad affrontare sfide quotidiane che altrimenti verrebbero in gran parte valicate tramite metodi costruttivi svantaggiosi per l’ambiente.

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Pulizia dei pavimenti in pietra naturale

Le pietre naturali, seppure molto resistenti agli agenti atmosferici, possono risultare attaccabili dallo sporco. Si tratta di una caratteristica che varia in funzione della porosità della pietra (pietre più porose si sporcano con più facilità mentre quelle meno porose sono più sensibili allo sporco), e a cui si fa fronte detergendo la superficie con regolarità.

L’operazione di pulizia dei pavimenti e delle superfici in pietra non è affatto complessa ma va eseguita con cura per evitare di danneggiare il materiale. Detergenti troppo aggressivi o poco adatti rischiano di rendere il pavimento opaco.

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I NEMICI DEI PAVIMENTI IN PIETRA NATURALE

I prodotti acidi sono sicuramente i peggiori nemici delle superfici di pietra naturale: rischiano di corroderla, rovinandola. Tra i prodotti acidi da evitare sono inclusi l’alcool, il limone e l’aceto, spesso utilizzati per le pulizie domestiche ed erroneamente impiegati per smacchiare le superfici in pietra: il loro PH acido ne mina la brillantezza e ne danneggia la lucidatura.

L’acido fluoridrico è un’altra sostanza da evitare: non è adatto per molti tipi di pietre poiché è capace di sciogliere il quarzo che compone i silicati (contenuto in alcune pietre). La capacità dell’acido fluoridrico di sciogliere il quarzo è tale che viene utilizzato in oreficeria per evidenziare l’oro nascosto in formazioni di quarzo.

I prodotti anti-calcare sono altri nemici delle pietre. Il motivo è semplice ed è da riscontrare nalla composizione di marmi, travertini, ardesie, onici, quasi interamente costituiti da calcare. L’utilizzo dei prodotti anti-calcare su questo tipo di pietre causerebbe la formazione di cavità dovute allo scioglimento della calcite in esse contenuta.

LE CARATTERISTICHE DEI DETERGENTI PER LE PIETRE NATURALI

Chiarite quali sono le sostanze bandite, con l’aiuto degli esperti di EuroPietre, abbiamo analizzato le caratteristiche dei prodotti più idonei per la pulizia dei pavimenti in pietra naturale.

Detergenti neutri: sono i migliori da utilizzare perché non macchiano la pietra e riescono a pulirla ugualmente in profondità. Per detergenti neutri si intendono quelli con PH 7.

Prodotti a base alcalina, come ammoniaca e candeggina: seppure solo in casi estremi, di macchie particolarmente persistenti, è possibile utilizzare ammoniaca e candeggina, che sono basiche, per smacchiare marmi e le rocce calcaree. Meglio applicarle diluite in abbondante acqua e a spruzzo o pennello sulla superficie da pulire.

Avvertenze particolari:

  • Il test del prodotto: nonostante si sia sicuri di aver selezionato il prodotto per la pulizia più idoneo, è sempre importante, prima dell’utilizzo sull’intero pavimento, su una piccola superficie per accertarsi che non la danneggi.
  • Il risciacquo: dopo aver utilizzato qualsiasi tipo di prodotto su una superficie in pietra naturale, è importante pulirla con abbondante acqua.
  • La manutenzione: è sicuramente la difesa più efficace contro il deterioramento delle pietre. Quella di detergere quotidianamente con acqua (a pressione per gli esterni) i pavimenti, è l’operazione che più ne preserva la bellezza e resistenza.
  • La protezione: cere, prodotti antigraffi e resine ecologiche applicate con le dovute accortezze sono in grado di preservare il pavimento in pietra dallo sporco e dall’usura del tempo.

N.B.: Si tratta di indicazioni valida ma da affiancare sempre dal consiglio del fornitore. 

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Il mattone che filtra l’inquinamento

Quando pensiamo all’inquinamento, inconsciamente la mente proietta tutto all’esterno, alle strade trafficate, alle piazze, quasi a volersi difendere, credendo che le pareti delle nostre abitazioni, degli uffici o delle scuole, possano proteggerci dagli agenti inquinanti. Pensare che l’aria interna sia priva di contaminazioni è un grave errore, per questo una ricercatrice ha ideato un mattone capace di filtrare l’inquinamento e proteggerci passivamente tra le pareti domestiche.

RISCHI PER LA SALUTE TRA LE MURA DI CASA

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Passiamo la maggior parte della nostra vita in ambienti chiusi, dove l’aria interna che respiriamo può essere più inquinata di quella esterna. Come è possibile? Gli elementi che formano gli edifici, come le pareti, i pavimenti e l’arredo assorbono e intrappolano in misura maggiore gli stessi agenti inquinanti presenti all’esterno. Questi ultimi si manifestano sotto forma di gas, goccioline, particelle (benzene, monossido di carbonio, ossido d’azoto, ozono, metalli pesanti ecc.), modificando la composizione naturale dell’aria e alterandone qualità e salubrità.

A questo inquinamento esterno (o outdoor) si aggiunge poi quello domestico (o inquinamento indoor), che risulta tra i principali fattori di rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie. L’inquinamento domestico è frutto, quindi, della somma tra le sostanze nocive provenienti dall’esterno e quelle derivanti da: processi di combustione (stufe, fornelli); prodotti chimici per la pulizia e la manutenzione della casa (solventi, vernici); batteri che si annidano nei tessuti; fumo di sigaretta; apparecchi elettrici (computer, stampanti); e tanto altro ancora.

Il mattone che filtra le particelle nocive

Carmen Trudell, assistente professore di architettura al Cal Poly, California Polytechnic State University, Contea di San Luis Obispo, da anni conduce ricerche sulla qualità dell’aria nelle città. Pensando a suo fratello affetto da insufficienza renale, la Trudell ha una intuizione: cosa succederebbe se un edificio, come un organo, fosse in grado di filtrare le sostanze nocive e difendere le persone dall’inquinamento? mattone-innovazione-breathebrick-b

In collaborazione con gli studenti e il professore associato di Ingegneria ambientale Tracy Thacher, la ricercatrice giunge all’ideazione di un componente edilizio in grado di rappresentare un sistema passivo di filtrazione e funzionare senza energia elettrica, per consentirne l’uso nei Paesi in via di sviluppo.

Ispirato al funzionamento di un aspirapolvere, il Breathe Brick è, appunto, un mattone che aspira le particelle nocive dell’aria esterna.

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La forma e le prestazioni del mattone purificatore

Si tratta di un mattone in calcestruzzo poroso, dalla superficie sfaccettata, per indirizzare il flusso dell’aria nel sistema di ventilazione, con una cavità all’interno, per l’inserimento della struttura in acciaio.

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La parete di un edificio composta da questi mattoni speciali è formata da uno strato interno, realizzato secondo tecniche tradizionali o innovative, che fornisce l’isolamento standard, e da un doppio strato di breathe bricks, che crea una innovativa parete ventilata.

La presenza di accoppiatori di plastica riciclata, permette sia di apparecchiare correttamente i mattoni che di alloggiare la struttura di rinforzo. Al centro della doppia parete, si crea un circolo di filtrazione che separa le particelle inquinanti pesanti dell’aria, raccogliendole in una tramoggia rimovibile posta alla base del muro, da pulire regolarmente.

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L’aria così filtrata potrebbe alimentare un sistema HVAC o garantire solamente aria più pulita attraverso prese d’aria, nel caso in cui gli edifici siano sprovvisti di sistemi riscaldamento, ventilazione o condizionamento. Infatti, il breathe brick può funzionare sia con sistemi di ventilazione meccanica che passiva.

I test effettuati in galleria del vento, hanno dimostrato che, attraverso questi mattoni, è possibile filtrare il 30% di polveri sottili (come fumo o inquinanti atmosferici) e il 100% di particelle grossolane (come la polvere).

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Il calcestruzzo a base di copertoni per edifici flessibili

Un grosso problema a scala mondiale è lo smaltimento degli pneumatici usati. Secondo quanto stimato dalla sola UE i copertoni fuori uso nel 2010 ammonterebbero a ben 3,3 milioni di tonnellate. Una quantità spaventosa che aumenta in paesi in via di sviluppo dove i mezzi per lo smaltimento sono inesistenti. Le discariche continuano a riempirsi e per eliminare definitivamente questi rifiuti oggi si attuano delle interventi che causano dannose emissioni in atmosfera.

Pneumatici riciclati in edilizia

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Ma la gomma degli pneumatici può essere riciclata!

Sono diversi gli ambiti in cui la gomma può essere impiegata dopo il riciclo. Vediamo i principali:

  • Usata come combustibile (a basso calore specifico) nei forni dei cementifici, come materia prima per fabbricare nerofumo.
  • Tritata in particelle di piccole dimensioni per diventare “sabbia artificiale”.
  • Usata come materia prima per creare scogliere artificiali in ambiente marino.
  • Usata per manufatti siti nei parchi da gioco, per le barriere di sicurezza stradali, per guardrail, e anche per le barriere antirumore.
  • Usata in miscele nelle pavimentazione in asfalto.

La scoperta delle potenzialità delle materie costituenti i pneumatici

La scoperta principale però è che le fibre tessili, metalliche e la gomma ricavate dagli pneumatici inutilizzati riescono ad incrementare in maniera considerevole la resistenza flessionale del cemento.

Infatti pare che le fibre e i polimeri derivati dagli pneumatici facciano parte di un progetto sul riciclo della gomma messo in moto dall’Università di Sheffield. L’intento è dimostrare la fattibilità dell’utilizzo di prodotti di scarto per confezionare un particolare tipo di cemento. Questa ricerca è finanziata dall’Unione Europea nell’ambito del progetto Anagennisi, e il team di ricerca è composto dagli studiosi di Sheffield, da quelli dell’Imperial College di Londra e da quelli dell’European Tyre Recycling Association (ETRA).

Secondo gli studiosi la fibra polimerica presente negli pneumatici potrebbe sostituire il polipropilene nelle riparazioni delle fessurazioni del calcestruzzo. Il cemento additivato potrebbe essere disponibile sul mercato entro il 2020 così da essere acquistata per realizzare cemento iperflessibile e, a quanto pare anche antisismico – secondo i test che verranno condotti nei prossimi mesi –.

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Sulla base dei promettenti risultati ottenuti dall’Università di Sheffield anche in Italia si è cercato di investire nella ricerca: la Regione Puglia, qualche anno fa, ha finanziato un Progetto di Ricerca dal titolo “Impiego di particelle di gomma e fibre d’acciaio provenienti da pneumatici fuori uso in conglomerati cementizi” svolto presso l’Università del Salento in collaborazione con aziende locali. Durante la fase di questa ricerca è stata condotta un’indagine sperimentale che puntava a valutare le proprietà meccaniche di calcestruzzi rinforzati con fibre di acciaio provenienti da pneumatici fuori uso ( i cosiddetti RSFRC -Recycled Steel Fiber Reinforced Concrete) e di calcestruzzi ottenuti con l’aggiunta di particelle di gomma in sostituzione di parte dell’inerte.

Vantaggi e caratteristiche del calcestruzzo dal riciclo dei pneumatici

Gli pneumatici attualmente sul mercato sono costituiti in media per l’80% da gomma, il 15% da fibra d’acciaio, 5% da fibra tessile. Si stima che per produrre uno pneumatico venga impiegata da 3 a 5 volte più energia di quella recuperata tramite la termovalorizzazione. Da ciò si comprende che l’energia incorporata nello pneumatico potrebbe essere convertita in altro piuttosto che in emissioni nocive per l’ambiente.

Le caratteristiche insite nel rubbercrate sfruttano le potenzialità degli pneumatici fuori uso e ciò che ne deriverebbe è:

  • Risparmio sulle materie prime necessarie per confezionare il cls
  • Incremento della resistenza flessionale del cls, utile a sua volta per le applicazioni negli interventi antisismici.
  • Flessione stimata per gli edifici fino al 10% della loro altezza, superiore a 50 volte rispetto a quello delle normali strutture.
  • Riduzione stimata fino al 97% del consumo di energia per la produzione del cls.
  • Gli pneumatici fuori uso potrebbero aprire una nuova branca del design innovativo
  • I risvolti ambientali sarebbero anche quelli delle emissioni nocive evitate per lo smaltimento degli pneumatici riciclati.
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I ladiri: la tradizione sarda della terra cruda

La Sardegna è una delle regioni d’Italia che vantano una tradizione di architettura in terra cruda di antichissima data, un metodo costruttivo che è stato soppiantato dal cemento solo negli anni ’70 (quindi più tardi rispetto ai numerosissimi luoghi in cui il cemento ha sostituito le metodologie costruttive locali) e che di recente è tornato in auge anche grazie a diverse iniziative volute da vari comuni sardi giustamente interessati a tutelare il loro patrimonio storico-architettonico

In copertina: un muro in ladiri, localmente anche chiamati ladirini, nel comune di Riola Sardo, in Sardegna. Foto da www.comune.riolasardo.or.it/

 

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caption: un muro in ladiri. Foto da pinsta.me/paolo.marchi

I ladiri sardi e la tradizione della terra cruda

La tecnica di costruzione in terra cruda di maggior interesse per la Sardegna è quella che adopera i mattoni generalmente definiti Adobe, che invece localmente prendono il nome di ladiri o anche di ladirini, a seconda della zona. Questa tecnica prevede la formazione di mattoni con un impasto di terra, acqua e paglia, formati in uno stampo, e successivamente messi ad essiccare all’aria aperta sino a completa asciugatura (operazione che richiede minimo due settimane o un mese).

caption: produzione manuale di ladiri. Foto da www.terracruda.org

I ladiri possono essere preparati sia manualmente che meccanicamente, in Sardegna infatti esistono diverse realtà artigianali locali che producono appunto questi mattoni in terra cruda. La messa in opera dei ladiri può essere fatta con la malta di terra o con la malta di calce. Per quanto riguarda l’impasto, secondo “Il manuale della terra cruda” (scaricabile qui – si avvia download documento di 4,57 MB) a Samassi, un comune sardo dove la terra è il materiale costruttivo tipico, tradizionalmente per produrre 1 mc d’impasto per ladiri si utilizza 1 mc di terra e 1 mc di acqua, aggiungendo 0,23 % di paglia (pari quindi a 47,5 kg).

La terra cruda e la normativa italiana

La terra cruda è un antico materiale da costruzione – il più vecchio reperto archeologico di abitazione in terra cruda è stato ritrovato a Gerico, e risale all’ 8000 a.C – ed è dotato di ottime proprietà. 

Infatti, è un eccellente isolante, è dotato di un forte potere traspirante e presenta inoltre ottime caratteristiche di resistenza. In aggiunta, regola naturalmente l’umidità e la temperatura interna dell’abitazione (infatti, all’interno di queste abitazioni si ha di solito un’oscillazione termica di circa due o tre gradi tra il giorno e la notte, con un’umidità relativa del 50%): questo perché i mattoni in terra cruda hanno una massa doppia rispetto ai tradizionali mattoni in terra cotta, e una volta che internamente si è raggiunta la temperatura desiderata, questa tende a essere mantenuta tale.

Si annoverano altri benefici che derivano dal costruire con la terra, questi sono: la riduzione di consumo energetico durante il processo di produzione e trasporto del materiale (che si trova di solito in loco), la riciclabilità e l’alto grado di riduzione dei residui di laboratorio, la sostenibilità di un’economia autoctona e locale, la facilità di reperimento dei materiali primari, oltre che la risposta positiva della terra se combinata con inerti e fibre vegetali. La terra cruda è infine un ottimo materiale da adoperare nell’autocostruzione di edifici.

Tuttavia i problemi principali dovuti all’utilizzo della terra cruda sono rappresentati dalla bassa resistenza agli agenti atmosferici, per questo è un materiale che richiede una protezione esterna con intonaco idoneo, oltre che da una resistenza meccanica non sempre adeguata.

Nonostante le peculiarità positive della terra cruda, la normativa italiana non la considera come materiale costruttivo, anche se, di fatto, esiste sul territorio nazionale un ampissimo patrimonio storico e tradizionale di architettura in terra cruda. Basti pensare che nel comune piemontese di Alessandria esistono circa 1000 edifici in terra cruda tuttora abitati.

Per questo motivo la regione Sardegna, al fine di favorire il recupero delle architetture in terra cruda e per agevolare la loro immissione nel mercato, ha concesso un’agevolazione dei contributi regionali con la Legge Regionale n. 29 del 13 ottobre 1998.

Ragioni della mancata diffusione della terra cruda in architettura

In Sardegna la terra cruda è stata individuata da diversi archeologi come antico materiale da costruzione, e nell’entroterra di Cagliari è stato storicamente l’elemento fondamentale nella costruzione delle case. Oggi però non è un materiale che viene impiegato di sovente specialmente per costruzioni nuove. Di fatto, di recente, i prodotti in terra cruda più richiesti sono solo le finiture e gli intonaci in questo materiale, piuttosto che elementi architettonici primari e portanti, come i mattoni.

Secondo Matteo Brioni, esperto in costruzioni in terra e proprietario di un’azienda produttrice di laterizi a Gonzaga, una delle ragioni del poco utilizzo della terra cruda si trova proprio nella mancanza d’informazione: infatti, la gente non conosce l’esistenza dei prodotti in terra cruda, non è informata a riguardo delle caratteristiche di questo materiale, per cui non sa perché sceglierli e utilizzarli per le proprie abitazioni. Spesso, inoltre, la terra cruda è percepita come materiale povero.

Un’altra ragione si trova nelle maestranze che lavorano la terra: infatti questo è un materiale che Brioni chiama prestazionale, vale a dire che esistono diciotto tecniche costruttive per metterlo in opera, e ognuna è più adatta per una certa cosa più che per un’altra. Perciò serve una manodopera che sappia trattare il materiale, mentre con il cemento questa differenziazione non si ha, e non si richiede una manodopera specializzata, anche se i problemi iniziano in seguito.

Il cortometraggio “Ladiri” di Andrea Mura raccoglie le esperienze di alcuni anziani sardi sulla terra cruda e sulle costruzioni in ladiri in Sardegna.

 caption: abitazione in ladiri, dal cortometraggio ‘Ladiri’ di Andrea Mura, che parla delle abitazioni sarde tradizionali e della tecnica costruttiva dei ladiri. Foto da www.labottegadelbarbieri.org

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La ceramica che accumula calore e lo rilascia su richiesta

L’Università di Tokyo ha annunciato di aver messo a punto una tecnologia in grado di accumulare energia termica per un lungo periodo e di rilasciarla in modo graduale grazie a una leggera pressione. Si tratta di Heat-storage ceramic, che in italiano si può tradurre come “ceramica ad accumulo di calore” ed è il brevetto di un team guidato dal Professore Ohkoshi della Facoltà di Scienze dell’Università di Tokyo

IL MURO AUTO-RAFFRESCANTE IN CERAMICA, IDROGEL E TESSUTO 

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caption: Schematizzazione grafica della corrente elettrica di 0,4  A  mm -2 che fluisce in seguito alla pressione prodotta sul materiale (www.nature.com)

La particolarità della ceramica ad accumulo di calore

Trattenere energia termica è una caratteristica di molti materiali, ma la particolarità di questa ceramica è che essa può immagazzinarla a lungo e rilasciarla solo su richiesta, come una batteria: basterà una leggera pressione su ciascun blocco per far si che l’energia venga rilasciata (appena 60 Mega Pascal). Oltre all’applicazione diretta di calore, l’energia termica può essere memorizzata facendo passare una corrente elettrica attraverso il materiale o irradiazione con la luce, consentendo l’assorbimento ripetuto e il rilascio di energia termica da una varietà di metodi.

caption: (a) Memorizza calore materiale energetico di 230 kJ/L mediante riscaldamento e rilascia l'energia da una pressione debole (60 MPa).

caption: La ceramica memorizza calore energia da varie fonti come (b) il flusso di corrente elettrica.

caption: (c) Memorizza energia da radiazione luminosa.

GLI IMPIEGHI DELLA CERAMICA AD ACCUMULO DI CALORE

Il materiale composto da atomi di titanio ed ossigeno potrebbe essere utilizzato, secondo gli studiosi, sia nei sistemi di produzione di energia solare sia per un uso efficiente dell’energia nei processi industriali. Le sue capacità termiche sono notevoli: esso può assorbire e rilasciare una quantità di energia pari a  230 kJ/L, pari a circa il 70% del calore latente di fusione dell’acqua.

Lo Stripe-tipo-lambda-trititanium-pentoxide che compone questa ceramica è un semplice ossido di titanio, costituito da numerosi elementi e rispettoso dell’ambiente poiché totalmente naturale. Questo materiale ceramico dovrebbe essere un nuovo candidato per l’impiego in sistemi di generazione di calore solari, in cui i paesi europei stanno investendo tantissimo, e anche per un uso efficiente nel settore della generazione di calore per uso industriale.

Questo materiale può anche essere utilizzato per dispositivi elettronici avanzati, quali fogli sensibili alla pressione, cuscinetti termici riutilizzabili, sensori di conducibilità sensibili alla pressione, resistenze tipo resistance random access memory  (ReRAM), e apparecchi con memoria ottica.

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La prima cupola in hyper adobe costruita in Turchia: il processo costruttivo

Qualche settimana fa si è tenuto un workshop in un piccolo villaggio turco -Yeniköy Bayramiç, nei pressi di Çanakkale-  in cui si sono trattati argomenti come costruzione e autocostruzione di edifici con materiali autoctoni e naturali utilizzando tecniche di tradizione secolari. Durante il workshop tutti i partecipanti hanno potuto apprendere e provare concretamente alcune tecniche costruttive che hanno radici antiche, tecniche tradizionali usate da diversi popoli secondo le possibilità offerte dal proprio territorio, per sfruttare al meglio i materiali già presenti in loco e offerti dalla natura circostante. Inoltre, durante il workshop è stata anche realizzata la prima cupola in hyper adobe in Turchia, piccola di dimensioni perché destinata ad essere utilizzata come dispensa per i campi della fattoria che ha ospitato il workshop.

IL SUPER ADOBE DI NADER KHALILI

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caption: a sinistra,la costruzione della cupola in hyper adobe durante il workshop a Yeniköy-Bayramiç; a destra, mattoni in Adobe fatti durante il workshop.

Il workshop e le tecniche trattate

Il workshop, organizzato dall’associazione Obaruhu fondata dai bio-architetti Merve Tekin e Mukund Iyer, si è tenuto presso Yeniköy – Bayramiç, in una fattoria e ONG nata con lo scopo di creare un villaggio autosufficiente basato sui principi di permarcultura e agricoltura naturale, dove si impegano semenze antiche per le colture e si mettono in atto modelli economici alternativi, basati sullo scambio e sull’economia del dono.

caption: vista dalla fattoria di Yeniköy.

Tra gli insegnati del corso, in aggiunta agli architetti Merve e Mukund, sono intervenuti e hanno partecipato Ece Aslan (architetto specializzato in costruzioni in paglia e terra), Matthieu (ricercatore presso gli istituti METU di Ankara e Kerkenes Eco-Centre sulle tematiche relative sicurezza degli edifici in paglia e metodi costruttivi alternativi, e l’esperto di costruzioni  in hyper adobe Xavier Allard che ha seguito il progetto della cupola costruita a Yeniköy.

Per quanto riguarda la parte didattica, durante il workshop si sono trattate, sia dal punto di vista teorico che pratico, diverse tecniche costruttive come cob, adobe, intonaci naturali, slip-straw, costruzioni in balle di paglia, e hyper adobe, e si è appunto costruita la prima cupola in hyper adobe presente in Turchia.

La prima cupola in hyper adobe costruita in Turchia

caption: a sinistra, la cupola in hyper adobe dopo il posizionamento dell’ultimo  sacco. Durante il workshop è stata costruita la prima cupola in hyper adobe presente sul territorio turco; a destra, posizionamento di una delle prese di ventilazione. I ganci metallici sono posti tra gli strati di hyperadobe e serviranno, a cupola terminata, per appendere all’interno dell’abitacolo verdure essiccate, come corone di aglio e peperoncino.

La tecnica di hyper adobe è stata messa a punto dall’architetto iraniano Nader Khalili (anche fondatore e direttore per molti anni dell’Istituto Call Earth in California, il più grande centro internazionale di ricerca e di insegnamento per le costruzioni in earth bags e hyper adobe, e di altre tecniche che utilizzano la terra come materiale edile), in modo da costruire edifici utilizzando sacchi riempiti di terra bagnata, che asciugando diventano enormi mattoni di adobe, e che devono quindi essere protetti dall’umidità e dai raggi solari con intonaci impermealizzanti. Per ulteriori informazioni riguardo a questa tecnica rimando all’articolo-intervista a Davide Frasca dell’associazione Vide Terra, esperto nelle costruzioni in terra.

La cupola edificata durante il workshop ha dimensioni relativamente modeste perché la sua funzione è di creare una dispensa esterna alla casa, per riporre alcuni prodotti dalle coltivazioni della fattoria, nella fattispecie cipolle e patate. L’ambiente interno della cupola deve essere quindi buio e fresco; il ricircolo d’aria all’interno è assicurato da cinque prese che sono state create inserendo dei tubi di 25 cm di diametro tra i livelli dei sacchi di hyper adobe. In questo modo si è assicurata la ventilazione naturale interna alla cupola. Due delle prese d’aria sono state sistemate di fronte alle altre tre (per creare un ricircolo d’aria interno), e sono poste in modo da non essere nella direzione principale del vento, che su quel lato della collina è forte, facendo sì che l’aria, entrando all’interno della cupola, non crei una corrente troppo violenta.

Il processo costruttivo della cupola

I materiali necessario alla costruzione di una cupola in hyper adobe sono la terra per il riempimento e i sacchi di polipropilene; possono essere sacchi regolari già tagliati, oppure si può più facilmente costruire, soprattutto se si tratta di opere più impegnative, utilizzando sacchi a calza molti lunghi non ancora tagliati in singole unità più piccole, ma pervenuti in rotolo (nell’immagine che segue si noti il rotolo di sacchi di polipropilene utilizzati per la cupola di Yeniköy).

Nello specifico, la cupola è stata eretta su un basamento costituito da un muretto in pietra e calce di circa 60 cm di altezza, che presenta però altezze sfalsate perché posto su terreno in pendenza, su cui si è installato direttamente il primo livello di hyper adobe.

caption: il rotolo di sacchi in polipropilene non tagliati. Reperirli non è difficile, si possono domandare ai produttori chiedendo un rotolo di sacchi non ancora tagliati in unità singole.

caption: il sacco a "calza" utilizzato per la costruzione della cupola.

caption: a sinistra, il muro che a basamento della cupola; a destra, l’impasto di terra e acqua.

Prima di riempire i sacchi, la terra deve essere setacciata grossolanamente in modo tale da rimuovere le pietre più grosse, che potrebbero bucare la tela, e inoltre si devono rimuovere tutte le parti organiche presenti nella terra, come radici e piccoli insetti (per questo motivo la terra di riempimento non dovrebbe mai essere il topsoil ma lo strato successivo, così da evitare che organismi e parti organiche di diverso tipo siano presenti nella terra all’interno dei sacchi), per una maggiore sterilità del materiale.

Dopo aver setacciato la terra la si deve miscelare bene con l’acqua in modo da ottenere un impasto umido ma non eccessivamente bagnato.

Si procede quindi con la costruzione della cupola, ponendo uno strato di sacchi sull’altro. Nelle cupole alte e molto pesanti si collegano gli strati dei sacchi con del filo spinato che funziona come un velcro tra gli strati, e impedisce ai sacchi di scivolare gli uni sugli altri. Nel nostro caso però, non è stato necessario l’utilizzo del filo spinato, sia perché la cupola aveva altezza e peso modesti, sia perché la texture della tela in polipropilene utilizzata presentava dei buchi di circa 3 mm x 3 mm,  così che la terra tra i diversi livelli filtrando tra i sacchi ha reso gli strati più stabili e uniti tra di loro.

Al riempimento e posizionamento dei sacchi segue la pressatura della terra, su cui poi si posiziona lo strato successivo.

La pendenza della cupola viene misurata durante la costruzione grazie ad una catena interna fissa al centro del pavimento, con la quale si può controllare che la circonferenza degli strati di hyper adobe sia sempre uniforme, e una catena che misuri lateralmente l’andamento della cupola.

caption: pressatura degli strati dopo il posizionamento dei sacchi riempiti di terra.

caption: disegno della sezione della cupola in hyper adobe con sistema di misurazione del raggio e della curvatura. La line R rappresenta la catena che misura l’uniformità delle circonferenze, mentre la linea laterale rappresenta la catena che testa la curvatura della cupola. Disegno da Obaruhu.org

Quando anche l’ultimo strato di sacchi è sistemato e la cupola risulta chiusa e ben pressata, allora la si deve isolare e proteggere con intonaci naturali solitamente formati da terra, argilla, acqua e paglia. La cupola in questione presenta sette strati d’intonaco: i primi tre sono formati da terra e paglia, seguono due strati di argilla e sabbia, e due strati di argilla e polvere di marmo, su cui è stato sciolto uno strato di sapone all’olio d’oliva per creare un’ulteriore impermealizzazione del materiale.

caption: a sinistra, la cupola con il primo strato d’intonaco; a destra,la cupola terminata e Xavier Allard. Foto di Xavier Allard.

Per quanto riguarda i dettagli, la cupola ha un diametro esterno di 2,2 m e interno di 1,7 m, presenta un’altezza di 2,4 m (incluso il muro di base di 60 cm) e per la costruzione sono stati utilizzati 3,5 mc di terra e 50 metri circa di sacco in polipropilene. L’altezza della cupola è inferiore al suo diametro poiché trattandosi di una struttura piccola si aveva la possibilità di curvare di molto i muri in modo da avere un numero inferiore di strati, e quindi meno lavoro e meno terra da dover utilizzare.

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La casa costruita con sacchi di terra

Economica, confortevole, a basso impatto ambientale: è la piccola e accogliente casa rotonda costruita vicino Asheville, in North Carolina, con sacchi pieni di terra e con ogni tipo di materiale di recupero. I proprietari, investendo circa 5.000 dollari e tutta la loro buona volontà, hanno realizzato con le loro mani questo rifugio lontano dalla città e disperso in un luogo selvaggio a contatto diretto con la natura. 

SACCHI DI TERRA: COME COSTRUIRE CON EARTHBAG E SUPERADOBE

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IL PROGETTO DELLA CASA DEI SACCHI DI TERRA

Il volume dell’edificio, costruito utilizzando come elemento base non il mattone, ma il sacco, è un cilindro con copertura lignea. I primi due corsi, posizionati sopra le fondazioni, messe in opera impiegano le pietre generalmente utilizzate per realizzare le massicciate delle ferrovie, sono in sacchi di cemento, mentre tutti gli altri sono in sacchi di terra. Tra una fila e l’altra è stato inserito del filo spinato per ancorare meglio gli elementi tra di loro. Invece, per realizzare l’intonaco esterno e interno è stato necessario separare i sacchi con del polistirolo recuperato dai cassonetti e imbragare la struttura con della rete metallica proveniente dallo smontaggio di alcuni pollai.

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Le travi del tetto sono fissate alle pareti perimetrali con una serie di corde e sono collegati a una colonna in legno massiccio posizionata al centro della casa. L’impermeabilizzazione è stata realizzata stendendo elementi a prova d’acqua sigillati tra loro con mastice in silicone, mentre una serie di fogli di cartone è stata inserita per aumentare l’isolamento termico. La copertura è poi coronata da una serie di pannelli fotovoltaici che forniscono l’energia elettrica necessaria alla casa, mentre una stufa a legna garantisce il riscaldamento invernale.

La casa è costituita da un unico ambiente soppalcato: al livello del terreno si trova la zona giorno, mentre il livello superiore, raggiungibile con una scala a pioli, è occupato semplicemente da un letto matrimoniale. Le aperture sono ridotte al minimo indispensabile. Unica particolarità è la porta d’ingresso, dove la parte centrale è costituita da due battenti trasparenti, mentre i lati sono costituiti da un muro in terra, paglia e bottiglie colorate: un’idea interessante per riprodurre l’effetto del vetrocemento.

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Costruire con la paglia: vantaggi e costi

La crisi delle costruzioni e l’avvento delle più moderne forme di architettura sostenibile ed ecocompatibile hanno portato a riscoprire antichi materiali ritenuti erroneamente poco validi e di conseguenza dimenticati, tra cui la paglia.

La paglia è un materiale naturale il cui utilizzo contribuisce ad ottenere ambienti salutari e naturali, privi di inquinanti abitualmente presenti tra le mura domestiche. La tendenza a realizzare edifici sempre più sigillati con lo scopo di limitare le dispersioni termiche, limita la ventilazione degli ambienti ed impedisce ai Composti Organici Volatili (VOC), elementi tossici presenti tra l’altro nelle finiture e nei prodotti usati per la cura della casa (detersivi, spray, vernici, colle dei mobili, solventi ecc.) di disperdersi.

CASE IN PAGLIA A KM 0: UN ESEMPIO IN UMBRIA

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Bisogna anche considerare però che come diceva Paracelso, medico svizzero del Rinascimento: “tutte le sostanze sono tossiche; solo la dose fa la differenza tra un veleno ed un medicamento”.  Nessun allarmismo quindi, ma uno studio condotto dall’Indoor Environment Management Branch, teso a determinare il rapporto indoor/outdoor tra le concentrazioni e le esposizioni relativamente a diversi inquinanti dell’aria, ha supportato l’ipotesi che l’esposizione indoor alla maggior parte degli inquinanti considerati supera notevolmente quella outdoor; le concentrazioni indoor riscontrate sono generalmente da 1 a 5 volte maggiori e l’esposizione indoor è da 10 a 50 volte superiore all’esposizione outdoor.

Ecco che quindi, tra le principali fonti di inquinamento indoor compaiono anche i materiali da costruzione, gli arredi  (es. mobili fabbricati con legno truciolare o trattati con antiparassitari, moquettes, rivestimenti), colle, adesivi e solventi e la cattiva manutenzione dei sistemi di condizionamento, che possono divenire terreni di coltura per muffe ed altri agenti biologici, diffondendoli nell’intero edificio.

Le case di paglia si configurano quindi come la potenziale “nuova” frontiera del costruire sostenibile e “salutare”.

Già negli Stati Uniti furono realizzate nella seconda metà del 1800 le prime case di paglia con balle al posto dei mattoni dai coloni bianchi che pensarono di utilizzare il materiale di scarto delle loro coltivazioni di grano non avendo a disposizione altri materiali per realizzare le loro case. La paglia li isolava sia termicamente che acusticamente ed essendo compressa nonché ulteriormente rivestita con intonaco, non prendeva fuoco. La copertura era in terra cruda evitando così infiltrazioni e umidità all’interno.

I costi di una costruzione in paglia

La materia prima è piuttosto economica: in genere la singola balletta di paglia pesa circa 17 kg e costa tra € 1,50 e € 3, molto meno di qualunque altro isolante. Si impiegano circa 2 ballette per costruire 1mq di muro, quindi il costo è quasi 5 €/mq di parete (intonaco escluso), a cui va aggiunta l’incidenza della struttura portante. Inoltre, nelle regioni in cui la paglia è facilmente reperibile, si risparmia sui costi di trasporto, spesso quasi azzerati. I costi per i materiali da costruzione si mantengono quindi piuttosto bassi.

Anche i costi per la manodopera per la costruzione non sono elevatissimi, anche considerando che la paglia si presta molto all’autocostruzione (la posa in opera è molto veloce ed è necessaria manodopera istruita ma non specializzata).

Anche il costo di gestione di un edificio in balle di paglia è molto più basso rispetto a un edificio tradizionale. Il vantaggio economico si nota nel tempo, risparmiando quasi il 75% dei costi energetici per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti. Nel caso poi che l’edificio sia progettato secondo i principi di bioclimatica è persino possibile portare a zero le spese eliminando gli impianti.

Piccolo esempio di questa nuova tendenza, che sta prendendo piede da qualche anno, è una casa per le vacanze di 70 metri quadri realizzata in Puglia nel territorio di Conversano in provincia di Bari.

caption: foto da specialistaenergiaverde.com

caption: barinedita.it

In questa villa non esistono spigoli, ma solo forme tondeggianti e curve. Le pareti perimetrali, con una struttura portante in legno, sono state realizzate con un tamponamento in 120 balle di paglia di 40 centimetri per 40 rivestite dall’esterno con cinque centimetri di terra cruda sabbia e calce posati a strati alternati ed all’interno da terra cruda e calce.  I vani (cucina, due camere da letto ed un bagno) seppur piccoli, sono ariosi e ben illuminati. Rami di ulivo intrecciati e riempiti di paglia con rivestimento in terra cruda e calce fungono inoltre da protezione sulle finestre.

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ARUP: l’edificio in legno BSkyB premiato dal Wood Architecture Award

L’edizione 2014 del premio Wood in Architecture Award ha visto sul gradino più alto del podio ARUP Associates per la realizzazione in suolo londinese dell’edificio Sky Believe in Better Building: completato in un solo anno rappresenta la più alta struttura lignea del Regno Unito.

GRATTACIELI: SARÀ IN LEGNO QUELLO PIÙ ALTO DEL MONDO

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Il sistema tecnologico adottato per il BSkyB è in lamellare CLT (Cross Laminated Timber), cioè costituito da strati di legno massiccio essiccato, sovrapposti in modo incrociato ed incollati tra loro con l’ausilio di colle ecologiche prive di formaldeide. Un sistema che permette di avere una buona insonorizzazione e resistenza ad eventi sismici. Grazie alle dimensioni elevate dei pannelli che possono arrivare fino a 2,95 m di larghezza e 16 metri di lunghezza, la messa in opera viene eseguita in tempi minimi con una riduzione notevole del numero di giunti. L’involucro esterno, in vetro lucido, lascia trasparire all’esterno l’innovativa anima di legno.

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La gradinata è un elemento importante dell’intera costruzione, va a costituire una forte linea spezzata sporgente che caratterizza tutto il prospetto frontale: inizia a terra e sale con andamento irregolare attraverso l’atrio a tripla altezza. Ai piani primo e secondo la sua larghezza è maggiore perché incorpora spazi d’incontro e di sosta in costante comunicazione visiva con l’esterno.

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Gli uffici sono spazi flessibili facilmente convertibili in aule interattive, sale per riunioni o particolari eventi aziendali. Il grande open space è stato pensato con l’intento di conferire agli spazi per la socialità la stessa importanza di quelli per il lavoro.   

L’edificio è un ottimo esempio di architettura sostenibile, anzi può essere definita architettura oltre il sostenibile. Quel gradino in più è dato da un progetto che si concentra sulla creazione di condizioni specifiche, attente alla salute e al benessere della persona: i principi emergenti del wellness, un’evoluzione in senso olistico del fitness, una nuova filosofia di vita che punta alla rigenerazione, all’armonia tra mente, corpo umano ed ambiente.

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Vetri autopulenti: il brevetto per superfici idrorepellenti

Il vetro idrofobo e autopulente: si tratta di un importante brevetto registrato dall’ENEA e dal CNR di Faenza ispiratosi alle foglie di loto, che non consentono all’acqua di accumularsi, ma la fanno scivolare via. Sottili film ceramici hanno consentito la realizzazione di questi vetri, che allo stesso tempo sono in grado di condurre l’elettricità e riflettere il calore

DAL MIT IL VETRO AUTOPULENTE, ANTI–APPANNAMENTO E ANTI–RIVERBERO

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Un gruppo di ricercatori dell’ENEA dell’Unità Tecnologie dei Materiali di Faenza, con il responsabile ingegner Sergio Sangiorgi, ha esaminato gli effetti dapprima sulla superficie vitrea, estendendo successivamente il campo di ricerca anche alle superfici metalliche. Il rivestimento in ceramica viene depositato con uno spessore di poche decine di nanometri (un miliardo di volte più piccolo di un metro), ed è in grado di modificare profondamente il comportamento dei materiali. I fiori di loto, che hanno inspirato la realizzazione di questa finitura, hanno una particolare rugosità superficiale, fornita in questo caso attraverso la superficie del materiale ceramico, combinata con la presenza in superficie di molecole organiche, rendendo così possibile un comportamento di totale repellenza all’acqua.

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Grazie a questo rivestimento le superfici non si sporcano e vengono protette dall’ossidazione; non viene permesso l’accumulo di acqua e la formazione del ghiaccio, ed è ridotto l’attrito nel movimento in acqua. Le applicazioni possono essere svariate, sia nei campi dell’edilizia che dell’industria navale ed aeronautica.

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Tessuti sostenibili e naturali per l’arredamento

Un tessuto è un manufatto a superficie piana, sottile e flessibile ed è il risultato finale delle diverse combinazioni di materie prime (fibre tessili naturali, artificiali o sintetiche) e armature (Tela, Panama, Saia, Batavia, Raso ). I principali tipi di tessuto sono: Batista, Bisso, Broccatello, Broccato classico, Chintz, Cretonne, Damasco, Damascato, Floccato, Denim, Drill, Fiandra, Gabardine, Garza, Gobelin, Goffrato, Lampasso, Madras, Moirè, Metelassè.

I TESSUTI PIÙ NATURALI ED ECOLOGICI

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In generale, le principali sostanze chimiche problematiche per la salute nell’industria tessile sono: carrier alogenati, coloranti azoici (che possono liberare ammine aromatiche cancerogene) e allergenici, candeggianti ottici, agenti di finissaggio, idrorepellenti, antimacchia, ritardanti di fiamma (tra questi i migliori sono i sali di boro che sono innocui per l’uomo e problematici solo in fase di smaltimento), antimicrobici, ammorbidenti, formaldeide, metalli pesanti, antiparassitari, pentacloro e tetraclorofenoli. Questi ultimi, conosciuti come pcp e tcp, hanno proprietà antibatteriche e antimuffa nei trattamenti di fibre naturali o per protezione di manufatti tessili durante il magazzinaggio ed il trasporto. Essi sono vietati o soggetti a limiti molto restrittivi, andrebbero sostituiti con prodotti simili ma non tossici; pericoli provengono dai prodotti provenienti da paesi extraeuropei, in cui non sono vietate queste sostanze, o da materiali tessili riciclati. Per difenderci, dobbiamo leggere attentamente l’etichetta, diffidare dai prodotti che ne sono sprovvisti, lavare e ventilare i tessuti prima di utilizzarli eliminando così alcune delle sostanze chimiche presenti (se lavandoli perdono colore, rilavarli fino a che si stabilizzano). Va anche detto che molte di queste sostanze sono pericolose soprattutto in fase di lavorazione e di fronte al prodotto finito il rischio di tossicità o allergia dipende dalla predisposizione della singola persona e dalla facilità di cessione.

Per valutare un tessuto dal punto di vista eco-bio, bisogna anche andare ad esaminare le materie prime utilizzate.

  • Fibre tessili naturali: le fibre naturali possono essere animali (lana, seta, peli diversi, bisso), vegetali (cotone, lino, canapa, juta, cocco, paglia, ramiè, sisal, ginestra, ibisco, manila, bamboo, kapok)e minerali (amianto, lana di vetro, fili metallici). 

  • Tecnofibre: racchiudono fibre tessili artificiali, se prodotte a partire da polimeri organici di origine naturale (cellulosiche come rayon, modal, cupro, acetato, triacetato, Lyocell, gomma o caucciù, viscosa; proteiche come merinova, vicara, ardil), fibre tessili sintetiche, se prodotte da polimeri di sintesi (acrilico, modacrilico, poliammide, poliestere, polipropilene, polietilene, clorovinile, poliuretano, teflon, aramidiche) e fibre tessili inorganiche, se prodotte da minerali o sostanze inorganiche (vetro tessile, fibra di carbonio, basalto,metalliche, metallizzate).

LE FIBRE NATURALI 

Lana di pecora

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Materia prima rinnovabile e riciclabile con un bassissimo bilancio energetico, la lana di pecora presenta alta igroscopicità e traspirabilità. Si presenta come materiale morbido, caldo e difficilmente sgualcibile. Può essere filata con il processo cardato o pettinato (più fine e costoso del primo). La qualità della fibra (lunghezza, finezza, elasticità) dipende dalla razza e dalla provenienza della pecora, nonché dal periodo in cui viene tosata. La lana deve essere trattata con insetticidi. È possibile l’uso di sali e prodotti antitarme a base di urea e sali di boro per incrementare la resistenza al fuoco che in genere è di classe 2. L’uso di sostanze antitarma a base di cloro può dare dei problemi in caso di incendio ed in fase di smaltimento. Esiste inoltre la possibilità di allergie sia durante la lavorazione che con l’utilizzo del prodotto finito. Il costo ambientale in termini di trasporto è alto dal momento che la maggior produzione di lana vergine si trova in Nuova Zelanda. Il costo di lavorazione è modesto ma l’offerta mondiale di lana supera la domanda, quindi il sovrappiù viene incendiato o interrato come concime. Questa fibra, oltre che come coibente naturale, può essere utilizzata negli interni, spesso in abbinamento ad altri materiali sintetici, per coperte, divani, cuscini, tende, tappeti, moquette. Quest’ultima è poco consigliabile dal punto di vista biocompatibile dal momento che raccoglie molta polvere ed è difficilmente pulibile, contribuendo così ad incrementare l’inquinamento indoor.

Seta

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Fibra proteica di origine animale che dà luogo a tessuti pregiati, lucenti, morbidi. La seta è ideale per tende, cuscini, sofà, rivestimenti di pareti. Si tratta di un materiale robusto ed elastico, nonostante l’apparente delicatezza. Per valutarne la qualità dobbiamo studiarne la composizione dal momento che spesso viene mischiata a lana o a fibre sintetiche per migliorarne la resistenza. Altre caratteristiche sono rappresentate dal minimo spessore, che le conferisce leggerezza e comodità, dalla resistenza alle deformazioni e dalla qualità di buon isolante (caldo d’inverno e fresco d’estate). Non resiste alla luce solare e si macchia con il sudore. È anallergica. Nel campo dell’arredamento, esistono vari tipi di questo materiale:

  • Seta Cotta (o Sgommata) significa che ha subito un profondo lavaggio con acqua calda per eliminare una sostanza chiamata sericina, divenendo maggiormente lucente, flessibile e morbida rispetto alla seta cruda.
  • Seta Bourette: deriva dagli scarti della lavorazione di pettinatura delle fibre più lunghe ed ha un aspetto opaco, filato grosso e irregolare.
  • Seta Shappe: si produce con i bozzoli danneggiati ed è ottenuta dalla lavorazione dei cascami più lunghi. Finitura opaca e morbida consistenza.
  • Seta Tratta: prodotto bianco opaco, ruvido. Presenta difficoltà nell’ottenere colori uniti.
  • Seta Tussah: è un tessuto selvatico, ottenuto con un filato grezzo  struttura irregolare. È di colore marrone ma può subire un processo di sbiancamento fino al colore ecrù o crema. Questo tipo di seta è più spesso e meno lucente ed i colori producono un effetto frammentato.
  • Seta Shantung: originariamente era un tessuto rarissimo di seta selvaggia (tussah) derivante dalla bava doppia, prodotta da due bachi che formano il bozzolo insieme. Dall’aspetto rustico, pesante, opaco, ruvido, fiammato e irregolare. Colore unito, spesso in tonalità sgargianti. Oggi con questo nome si indicano tessuti di peso vario in seta, cotone o altre fibre (anche sintetiche) che ne riproducono artificialmente l’aspetto rustico con filati che inglobano cascami per imitare la fiammatura e la bottonatura.

Cotone

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si tratta di una fibra naturale vegetale che viene ricavata dal fiocco di fibre che emergono dalle capsule del fiore quando giungono a maturazione. Composto per il 95% di cellulosa, è difficilmente attaccabile da insetti, è leggero, morbido ed assorbente. La fibra di cotone, meno robusta del lino, non si usura ma si strappa; è poco elastica e pertanto si sgualcisce. I lavaggi frequenti e l’esposizione al sole tendono a scolorire i tessuti di cotone. Si tratta di un tessuto generalmente anallergico e non presenta sostanziali problemi per la salute. Si può escludere l’inquinamento in fase di utilizzo. La coltivazione di cotone assorbe il 20% del consumo mondiale di prodotti chimici per l’agricoltura. Il riciclaggio è senza dubbio possibile. Dal momento che brucia facilmente, spesso per aumentare le sue caratteristiche di resistenza al fuoco viene trattato con sostanze ignifughe come borace. Questo rende problematici il compostaggio e lo smaltimento in discarica. Il cotone viene utilizzato per la biancheria da casa ma anche per  divani e tendaggi, spesso si trova in abbinamento ad altri tessuti per migliorarne elasticità e resistenza. A livello biocompatibile bisognerebbe fare attenzione ai materiali riportati sull’etichetta e privilegiare i prodotti con la più bassa percentuale di tecnofibre, meglio se al 100% naturali. I principali produttori di cotone nel mondo sono: Cina, America, India, Pakista, Uzbekistan. Il cotone biologico, ancora molto caro, viene ricavato da piante coltivate senza l’uso di pesticidi e le tinte utilizzate sono ricavate da prodotti vegetali al 100%.

Lino

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È una fibra naturale del regno vegetale che si ricava, attraverso la macerazione degli steli (grazie alla quale avviene la separazione delle fibre tessili dai residui legnosi e quindi la pettinatura che elimina le impurità), dalla pianta omonima; quest’ultima è una panta erbacea annua composta essenzialmente di cellulosa. Dai semi si ricava l’olio, con cui si preparano molte vernici ecologiche tramite cottura a 100°C e insufflaggio d’aria.  I problemi per la salute non ci sono se non durante l’uso degli insetticidi sulle coltivazioni. Si tratta di un materiale rinnovabile e riciclabile. Il trasporto comporta dispendio energetico solo se il lino proviene da lontano, ma attualmente esiste una raccolta di cascami anche in Europa. Il lino presenta buone caratteristiche isolanti, non si deteriora e, attraverso il trattamento con sali di boro, aumenta la propria resistenza al fuoco. Inoltre, non provoca allergie, assorbe l’umidità e lascia traspirare la pelle: pertanto è indicato, in arredamento, per lenzuola, tovaglie, asciugamani e fazzoletti, nonché per divani e tendaggi, dove però è difficile trovarlo al 100%. Le fibre di lino infatti si mescolano spesso a cotone, lana, seta, viscosa e poliestere e questi filati di mischia permettono di ottenere molti tipi di tessuto. La combinazione di due fibre consente di avere una “mano” diversa, cioè una consistenza ed un aspetto diversi rispetto a quelli ottenuti con filati semplici. Molto resistente, soprattutto se bagnato, può essere lavato moltissime volte senza alterarsi, anzi diventa sempre più morbido. Ha bassissima elasticità, pertanto i tessuti in lino non si deformano. Molto utile in cucina usato come canovaccio in quanto, non essendo peloso, non lascia peli su piatti e bicchieri. Il lino di migliore qualità, sia per morbidezza che per resistenza, è quello biancastro.

Canapa

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Fibra tratta dal fusto della pianta omonima, risulta essere un ottimo prodotto dal punto di vista ecosostenibile e biocompatibile. Presenta notevoli caratteristiche di isolamento termico e acustico, risulta avere buona stabilità nel tempo e resistenza all’umidità e non viene attaccata da insetti. Fin da epoche preistoriche viene utilizzata per la realizzazione di tessuti (oltre che per vele, carta,corde). La canapa ha uno dei più alti tassi di crescita di tutta la zona temperata, la ricrescita è annua e la pianta è coltivabile per anni sullo stesso terreno ed è resistente agli infestanti. In fase di lavorazione non presenta particolari rischi per la salute e l’impatto sull’ecosistema è migliore rispetto a quello del cotone; inoltre, viene utilizzata l’intera pianta, evitando così sprechi. Spesso si trova combinata con fibre di poliestere. Il fabbisogno energetico complessivo è estremamente ridotto, il riciclaggio è sempre possibile ed il compostaggio solo per la canapa pura. Questo tessuto è inoltre molto resistente allo sporco, in grado di respingere il 95% dei raggi ultravioletti. Lo possiamo utilizzare per ambientazioni rustiche o etniche, ma anche molto moderne in ambienti domestici o negozi e temporary shop. Gli utilizzi spaziano da tende e tappeti fino a cesti e biancheria per la casa.

Cocco

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Si tratta di fibre altamente traspiranti, resistenti all’umidità e inattaccabili da muffe, insetti, batteri. La resistenza al fuoco è di solito aumentata passando da facilmente a normalmente infiammabile, come per le altre fibre naturali, grazie all’utilizzo di sali di boro. Il dispendio per il trasporto è elevato ma la catena di lavorazione è corta e la fibra di cocco è il sottoprodotto della lavorazione del frutto. Il riciclaggio è possibile. In arredamento si usa per stuoie e tappeti ma anche per divani, poltrone, tendaggi e rivestimenti.

Iuta

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Come per il lino e la canapa, la materia tessile per la produzione si ricava dal fusto della pianta. Il suo colore varia dal bianco al giallognolo al marrone. La lucentezza determina la sua qualità; le fibre migliori sono quelle più fini, lucenti e brillanti (dette fibre d’oro) e  possono essere usate anche per fare un tessuto ad imitazione della seta. La Iuta è una fibra dura, pertanto i tessuti che ne derivano sono ruvidi e grossolani, resistenti ma meno del lino e della canapa. È altamente igroscopica e questo ne consente la miscelazione con altri elementi al fine di migliorarne alcune caratteristiche (aggiungendo ammoniaca, ad esempio, diviene soffice e simile alla lana). La iuta si può lavorare all’uncinetto da sola o mescolata con altri filati, per realizzare, in arredamento tessile, tende, tappeti e tovaglie.

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È un materiale al 100% biodegradabile e riciclabile. È la seconda fibra vegetale più importante dopo il cotone, in termini di utilizzo, consumo globale, produzione e disponibilità. Ha un elevato carico di rottura, una bassa estensibilità, e garantisce un’alta traspirazione del tessuto. Le varietà della iuta sono la Corchorus olitorius (riflessi dorati) e la Corchorus capsularis (riflessi argentei).La migliore area produttiva mondiale per la iuta è la pianura del Bengala. Questa fibra naturale, usata da sempre per la produzione di sacchi da imballaggio, di corde e per la tessitura di tappeti, è stata gradualmente sostituita dall’uso di tessuti sintetici. Usualmente, nell’arredamento (e anche nell’abbigliamento), le sue fibre sono miscelate con altre fibre tessili, come il nylon, la lana, il cotone, il polipropilene,il rayon, che ne migliorano alcune caratteristiche come l’aspetto estetico e la versatilità. Nel campo della tappezzeria, per la casa o per gli interni di auto, viene impiegato come struttura di supporto per il linoleum. Utile anche per recuperare vecchie poltrone o divani.

Ramiè

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 È una fibra vegetale usata da migliaia di anni nell’estremo oriente, ricavata da una pianta simile all’ortica. Il suo aspetto è bianco, fine e lucente. I cinesi la utilizzavano molto tempo prima che il cotone fosse introdotto in oriente. Alla fine del XX secolo si è diffuso l’utilizzo anche in Occidente, soprattutto mista al cotone; la limitata diffusione in Occidente è da imputare principalmente ai suoi costi di lavorazione. La fibra tessile è molto lunga, è morbida, lucente, uniforme, elastica e presenta una buona resistenza alla torsione. Le fibre grezze hanno un colore bianco grigio o verdastro, le digrezzate bianco sericeo. La ramia contiene circa il 60% di cellulosa, il resto sono sostanze gommose e incrostanti; dopo il trattamento di sgommatura, il contenuto di cellulosa può arrivare sino al 95%. Resiste all’attacco di vermi, batteri e muffe; è estremamente assorbente e facilmente smacchiabile; resiste a temperature molto elevate; non restringe. Di negativo, oltre a stropicciarsi facilmente, ha la scarsa elasticità, la ridotta resistenza all’abrasione, la rigidità e la fragilità. Come le altre fibre naturali, per acquistare maggiore resistenza, in genere viene mescolata ad altre fibre naturali o sintetiche (cotone, canapa, lana, seta, viscosa, acrilico). L’utilizzo del Ramiè si concentra soprattutto su fazzoletti, tovaglie, tovaglioli.

FIBRE ARTIFICIALI

Il Rayon, chiamato inizialmente “seta artificiale” o “seta del legno” è una fibra trasparente che si ottiene dalla cellulosa. Esso assorbe l’acqua, a differenza del nylon, il che contribuisce a rendere i tessuti più confortevoli.

Il modal, fibra ottenibile sia lucida che opaca, cerca di accostarsi alle caratteristiche del cotone relative alla mano morbida e alla stabilità dimensionale. Ha una buona resistenza ai lavaggi.

Le fibre artificiali in generale non sono molto resistenti, si stropicciano facilmente, si possono restringere o allentare e necessitano perciò di trattamenti specifici. Inoltre presentano una certa facilità di tintura ma scoloriscono facilmente. Sono facilmente modellabili.

FIBRE SINTETICHE

Acrilico, poliestere, polietinene e le altre fibre sintetiche vengono mescolate con quelle naturali ottenendo tessuti morbidi, ingualcibili, molto resistenti e flessibili. A differenza di quelle artificiali non si restringono e non si stropicciano. Si ricavano quasi sempre tessuti che non hanno bisogno di essere stirati e si tingono bene. Non assorbono l’umidità e trattengono il calore del corpo, non sono indicate quindi per tessuti estivi: il sudore e il calore favoriscono l’assorbimento delle sostanze chimiche. Si possono creare prodotti dalle mille proprietà “apparenti”, in grado di soddisfare qualsiasi esigenza di estetica e versatilità a discapito però degli aspetti biocompatibili. 

Acrilico

Molto morbido e resistente ma poco elastico. Tra quelle sintetiche, l’acrilico è una fibra di qualità che non viene attaccata da tarme e muffe.

Poliestere

Prodotto leggero, ingualcibile e irrestringibile. Il poliestere si asciuga facilmente e non ha bisogno di stiratura. È una delle fibre più diffuse e sviluppate tecnologicamente. Nell’arredamento tessile lo troviamo soprattutto in tende (specialmente in quelle a pacchetto) e rivestimenti di mobili imbottiti. I tessuti di poliestere, grazie al basso coefficiente di assorbimento dei liquidi, non assorbono l’umidità, il che li rende impermeabili e resistenti allo sporco, ma non fanno respirare la pelle a causa della scarsa traspirabilità.

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Polietilene

È un prodotto del tutto idrorepellente ed è impiegato per la produzione di pettinati o per un utilizzo a fibra continua. Vengono aggiuni antiossidanti, pigmenti, antistatici, ritardanti di fiamma. Il processo di produzione è molto complesso ed energivoro. Si può riciclare e si deve smaltire attraverso incenerimento ad elevate temperature

TESSUTI INNOVATIVI

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Tra le tante novità ecologiche in termini di arredamento tessile, troviamo: fibre di banano, per biancheria da casa, letti e divani; fibre di ortica, per tappeti e rivestimenti interni; alghe, per asciugamani, tappeti e imbottiture; cheratina estratta da piume di pollo e gallina, per tessuti resistenti e leggeri; fibre di soia, per realizzare, ad esempio, coperte in cachemire vegetale e tessuti soffici, brillanti, resistenti, antibatterici, traspiranti ; tessuti in canna da zucchero e mais; caseina per tessuti morbidi, lavabili e biodegradabili, sughero, per prodotti durevoli e caldi.

Sono tanti i nuovi tessuti che cercano sempre più di raggiungere l’ecosostenibilità; a volte però si tratta di prodotti che rispettano l’ambiente ma non rispettano per forza la salute contrastando quindi l’aspetto biocompatibile. Ad esempio, bisogna fare attenzione quando ricicliamo un prodotto che originariamente era stato creato con materiali nocivi o creato prima che certe leggi venissero emanate, oppure quando ricicliamo un prodotto proveniente da un paese estero che non ha le nostre stesse norme. Le cose da sapere sono tante e spesso si deve scendere a compromessi se non si vuole impazzire tra le mille informazioni.

Altro suggerimento in tema di tessuti eco-bio è quello di scegliere tinture naturali derivanti da piante tintorie e di selezionare attentamente anche l’imbottitura di divani, cuscini e materassi.

Per progettazioni di interni ecosostenibili e biocompatibili, online o in loco, e assistenza nella scelta dei tessuti per l’arredamento potete contattarmi a info@chiarabellini.bio e visitare il mio sito:  www.chiarabellini.bio (consulenze, progettazioni complete di disegni 2d e 3d, personal shopper, home relooking).

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Carta e pelle dalle mele dell’Alto Adige

La regola delle tre erre per favorire la sostenibilità ambientale stabilisce che vi possa essere una riduzione ed una limitazione dei rifiuti prodotti dall’uomo, grazie alle reimmissione degli stessi nel ciclo vitale e produttivo. La strategia delle “tre erre” afferma: Ridurre, Riutilizzare, Riciclare.

L’idea condotta avanti da una startup dell’Alto Adige è quella di utilizzare scarti biologici come materia prima per nuove produzioni, in particolare partendo dalle mele.

RICICLARE SCARTI ALIMENTARI PER PRODURRE BIOPLASTICA 

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L’ingegnere Alberto Volcan, a partire dal 2009 dalla bolzanina Frumat di Hannes Parth, ha visto passare da 0 a 30 tonnellate al mese in 5 anni il quantitativo di rifiuti utilizzato per realizzare prodotti ecosostenibili.

Dalle mele è possibile ricavare non solo sidro o marmellate, ma utilizzando le bucce ed i torsoli si possono creare fazzolettini o rotoli, e tessuti in eco-pelle. Il prodotto è stato soprannominato cartamela. Proprio nell’Alto Adige si concentra oltre la metà della produzione di mele del territorio nazionale, e grazie all’ingegnere Volcan nel 2004 gli scarti delle stesse sono stati impiegati per la prima volta per realizzare fazzolettini e rotoli di carta.

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“Il primo prodotto che abbiamo realizzato è stata la cartamela – spiega Hannes Parth – un prodotto creato con pura cellulosa arricchita con gli scarti di lavorazione delle mele che dopo l’iniziale produzione di carta igienica, oggi trova diverse declinazioni sia come rotoli da cucina, fazzolettini da naso, scatole per il packaging. La nostra ricerca e le nostre sperimentazioni però non si fermano e ora siamo impegnati nella realizzazione della pellemela, un prodotto ottenuto sempre dagli scarti di lavorazione delle mele ma destinato alla legatoria, alle calzature e ai rivestimenti di divani e sedie”.

Grazie alla ricerca condotta negli anni, ad oggi diverse imprese lavorano questo tipo di rifiuto alimentare trasformando una media di 30 tonnellate al mese in prodotto. Per quanto riguarda la carta, nella produzione i rifiuti della mela concorrono fino a un massimo del 25%, per la pelle fino al 30%.

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Nella lavorazione della cartamela gli scarti di mela vengono sottoposti a un trattamento di disidratazione, raffreddamento e macinazione che ne blocca decadimento e fermentazione e lascia inalterato il loro contenuto di zuccheri e di cellulosa, indispensabile per la produzione di carta. Da questo processo si ottiene una farina bianca, che contiene il 65 per cento di cellulosa e che si presta alla produzione di qualsiasi tipo di articolo cartaceo. Un metodo non solo eco-friendly, ma che ha anche il merito di contribuire ad abbattere i costi di gestione dei rifiuti: gli scarti di mela, di cui fanno parte i residui della produzione industriale di succhi di frutta, vengono infatti considerati “rifiuto speciale”, categoria per il cui smaltimento è necessario un iter molto costoso.

La “pellemela” è una pelle vegetale molto versatile, che può avere gli stessi impieghi della vera pelle, dall’arredamento alla moda, dalle scarpe alle borse; da queste soluzioni a base di farina di mele, che già molte aziende altoatesine hanno sviluppato, possono scaturire vari effetti positivi. Oltre a tutelare l’ambiente, infatti, la crescita e il potenziamento di una vera e propria industria basata sul riciclo, garantisce uno sviluppo sostenibile e armonico del territorio altoatesino e può anche avere importantissime ricadute in termini occupazionali.

Riscontri positivi sono sia in Italia che all’estero, come in Germania, Austria e Svizzera, da sempre Paesi molto attenti a questo tipo di processi. “Un dato a mio avviso molto interessante – spiega Parth – è che nell’arco di pochi anni ho potuto constatare che anche nel nostro Paese le aziende interessate a produrre utilizzando scarti ottenuti dalla lavorazione industriale di alimenti, in questo caso specifico quelli delle mele, sono in continuo aumento”.

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Padiglione religioso in legno a Landau

Come un grosso pesce, il padiglione ecumenico a Landau, cittadina nella zona sud orientale del Renania-Palatinato in Germania, ha tante lamelle di legno e obbedisce ad una forma perfetta. In pianta travi e pilastri di douglas descrivono l’ellisse allungata, e nella testa di pesce è ritagliato un grande foro circolare. Si chiama “Himmelgrün” ovvero “cielo verde”, la nuova chiesa temporanea ideata dallo studio tedesco Bayer & Uhrig ed immersa completamente in un paesaggio paradisiaco. L’altare si trova proprio sotto l’apertura circolare e il movimento del sole disegna un “occhio” di luce sul legno, sui gradini curvi e sugli arredi in corten. Tale materiale è stato scelto proprio perché mutevole ed impermanente come la vita.

In copertina: foto © Sven Paustian

La chiesa di cartone di Shigeru Ban

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caption: Fotografia © Sven Paustian

Il progetto del padiglione di Landau

Il padiglione è stato sovvenzionato con i fondi dell’UE e concepito per accogliere sia attività religiose protestanti che altri eventi, come concerti, gruppi teatrali, rock e tradizionali. Prima di tutto, però, nasce come luogo sacro e trasmette l’idea di protezione, onestà costruttiva e semplicità. La “chiesa verde” è stata realizzata in un anno e mezzo, dopo un lungo periodo in cui il progetto era stato ripetutamente abbandonato a causa di difficoltà tecniche ed organizzative. Alla fine è stata inaugurata nel mese di aprile, riscontrando un successo enorme e attualmente luogo per tantissimi eventi religiosi e culturali, soprattutto legati all’inclusione sociale e all’orticoltura.

caption: Fotografia © Sven Paustian

caption: foto dalla pagina Facebook Kirche im Garten

Il padiglione è lungo circa 20 metri e largo 6.50 metri per un altezza pari a 4 metri; un telaio a forma di anello è sospeso per sostenere le travi del tetto. I primi segni tracciati sul terreno sono stati proprio l’ellisse chiara del pavimento e i tre gradini paralleli al cerchio ritagliato in copertura. Sono seguiti: l’anello, le travi rettilinee chiuse da una anulare e quelle in legno poste a raggiera di tre diverse altezze. Il sistema di pilastri ravvicinati lascia aperto solo l’ingresso sul lato corto che, come in ogni edificio religioso, conduce all’altare.

caption: foto dalla pagina Facebook Kirche im Garten

La luce gioca un ruolo importante in ogni religione. In tutti gli edifici, seppur diversi a seconda dei credi e dei periodi storici, il comune denominatore è sempre stata l’illuminazione. Anche in questo piccolo ma significativo luogo sacro i progettisti hanno dato molta attenzione alle luci e alle ombre, determinate dal tetto a raggi e dagli spazi tra le singole componenti costruttive. Ai disegni preliminari, infatti, sono seguiti modelli per determinare “lo spessore” dell’ellisse accendendo torce elettriche in modo da indirizzare la luce proprio sopra l’altare.

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caption: foto dalla pagina Facebook Kirche im Garten

Il riuso della chiesa verde

Concepito come allestimento temporaneo della durata quinquennale, è già stato previsto il suo semplice smantellamento ed un facile riutilizzo di tutti i componenti. Dovrebbe seguire, quindi, la logica del più famoso padiglione svizzero dell’Expo di Hannover realizzato da Peter Zumthor, la “catasta di legna low-tech” in cui tutte le parti potevano trovare nuova collocazione. Perciò il suo riuso sarà il prossimo rompicapo da risolvere, visto che gli abitanti di Landau vorrebbero lasciarlo là, ma la società di costruzioni che l’ha realizzato vorrebbe spostarlo a Hunsrück. Ha invaso la cittadina di Landau con preghiere religiose, vibrazioni di strumenti musicali e applausi a tempo di balli: si spera che la “chiesa verde” potrà ancora inspirare altre comunità e rigenerare abitanti e visitatori.

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