Nasu Tepee: la casa-tenda immersa nei boschi giapponesi

Nasu Tepee è una residenza privata realizzata nel 2013 e progettata dallo studio giapponese Hiroshi Nakamura & NAP nella prefettura di Tochigi, sull’isola di Honshu in Giappone. Completamente immersa nei boschi, la casa sorge in uno dei luoghi giapponesi più conosciuti per la villeggiatura estiva.

Passando attraverso i campi, una strada forestale conduce ad un boschetto di alberi misti. La posizione privilegiata in stretto contatto con la natura è stata scelta dai proprietari, una giovane coppia che nel fine settimana ama dedicarsi all’agricoltura organica e produrre da sé verdure fresche, con la volontà di preservare il più possibile l’ambiente circostante.

VACANZE NELLA NATURA IN PICCOLE CASE MOBILI

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La casa-tenda immersa nei boschi giapponesi

La casa Nasu Tepee è composta da un unico corpo di 186 metri quadrati, si articola in volumi composti da grandi falde che vanno da cielo a terra generando ambienti dal forte andamento verticale, scelta progettuale legata a due aspetti molto importanti, il primo relativo all’ubicazione: la forma allungata e piramidale segue l’andamento dei tronchi e dei rami, in modo da poter costruire la casa senza dover compromettere la natura circostante.

L’accentuata verticalità della casa-tenda, oltre a sottolineare l’aspetto peculiare del paesaggio giapponese in cui è immersa, serve per poter captare più luce naturale possibile. Diversi lucernari, studiati ad hoc per ogni stanza, creano dei vuoti in questi grandi tetti portando la luce naturale dei boschi all’interno della casa. Si generano dei tagli di luce che caratterizzano le diverse prospettive degli ambienti, essenziali e minimalisti, in cui la luce diventa uno degli elementi protagonisti. L’inclinazione diagonale è studiata in base ai movimenti delle persone all’interno dell’edificio, con altezza massima di 8 metri e minima di 2,60 metri. Il soffitto scende come una tenda da campeggio e consente la creazione di uno spazio di vita caldo che si confonde con gli alberi. La struttura della Nasu Tepee è in legno, le stanze sono collegate tra loro tramite varchi triangolari.

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L’altezza ed il posizionamento delle aperture della casa-tenda sono stati studiati per generare un effetto camino che permette il ricambio di aria e il raffrescamento estivo. Le falde diventano l’involucro stesso dell’edificio, in alcuni punti si trasformano in una doppia pelle che permette di riutilizzare il calore interno.

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Michael Reynolds per la prima scuola sostenibile in Uruguay

Riciclo, riuso e recupero sono le parole chiave che meglio descrivono i progetti Michael Reynolds, ma la sua ultima opera in Uruguay vanta un primato che la rende un modello da seguire: “Una escuela sustentable è la prima scuola completamente ecosostenibile del paese, costruita secondo i consolidati criteri della Earthship Biotecture.

In copertina: immagine da UnaEscuelaSustentable.uy

LE EARTHSHIP DI MICHALE REYNOLDS: ABITAZIONI CON PNEUMATICI E LATTINE

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Per molti Paesi nel mondo non sembrerebbe una novità la realizzazione di un edificio interamente sostenibile e autosufficiente, grazie alla capillare diffusione della progettazione secondo regole rispettose del pianeta. Per l’Uruguay, invece, la situazione è un po’ diversa. Soltanto da pochi giorni, infatti, lo stato sudamericano può vantare nel suo territorio un edificio, ancora in fase di realizzazione, sostenibile, autosufficiente e basato sul concetto del riciclo.

Una escuela sustentable è un progetto firmato dall’architetto Michael Reynolds che si fonda sulle tre “R” di Riciclo, Riuso, Recupero per dare vita ad una scuola ottenuta dall’applicazione di materiali altrimenti destinati allo smaltimento e al deperimento. Il progetto vanta la proposta della prima scuola al 100% ecosostenibile nell’Uruguay

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Michael Reynolds per la sostenibilità in Uruguay

Michael Reynolds, fondatore dell’associazione a scopo umanitario Earthship Biotecture, si reca a Jaureguiberry e decide di costruire un edificio per i bambini del luogo, così che anche loro possano avere un’istruzione adeguata e uno spazio dove potersi dedicare alle attività proprie della loro età. 

L’edificio si trova in una zona completamente rurale e, proprio per questo, ha come obiettivo quello di far crescere i bimbi a diretto contatto con la natura. Non a caso, prima di procedere alla realizzazione della scuola, il progetto è stato presentato a insegnanti, genitori e abitanti di Jaureguiberry attraverso una serie di conferenze e workshops volti a sensibilizzare la popolazione rispetto ai principi del riciclo e del riuso da applicare all’architettura. Il coinvolgimento degli abitanti della piccola cittadina di appena 500 anime, inoltre, non si è limitata all’aspetto “teorico”, ma si è esteso anche alla partecipazione attiva alla costruzione e al reperimento dei materiali costruttivi. I “rifiuti” impiegati per la realizzazione dell’edificio, infatti, sono quegli stessi rifiuti che, quotidianamente, le famiglie di Jaureguiberry producono e inviano allo smaltimento.

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I materiali di riciclo della scuola di Reynolds

Una escuela sustentable ha un’ampiezza di 270 metri quadri per ospitare ben 100 bambini all’anno. La sua struttura è costituita da pneumatici, bottiglie, lattine e cartoni riciclati abbinati a terra cruda e legno. La sua copertura prevede l’installazione di pannelli solari e di mulini del vento che permetteranno all’edificio di produrre energia elettrica e di presentarsi come un sistema completamente autosufficiente. Il progetto inserisce, inoltre, un apposito sistema di raccolta e ricircolo dell’acqua oltre ad una serra utile alla coltivazione di specie vegetali fruttifere e alla produzione di cibo. 

La costruzione dovrebbe durare circa 7 settimane, durante le quali si alterneranno gruppi di operai uruguaiani e volontari provenienti da tutto il mondo desiderosi di imparare e applicare il metodo costruttivo promosso dall’associazione di Reynolds. 

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Earthship Biotecture

Earthship Biotecture, attraverso le earthship (ovvero “navi della Terra”), si impegna a realizzare, grazie al contributo di volontari provenienti da tutto il mondo, case bio, autosufficienti ed ecosostenibili nei punti più disagiati della terra. 

L’obiettivo dell’associazione è di fornire un servizio assente nel luogo coinvolgendo le popolazioni locali e, soprattutto, sensibilizzando a quella che non è una semplice tecnica costruttiva ma un vero e proprio stile di vita. Il ricorso a materiali di scarto, infatti, è frequente nelle costruzioni di Earthship Biotecture, che punta buona parte del suo programma sulla sostenibilità economica, oltre che ambientale e sociale

Con questa nuova sfida, il progetto di Una escuela sustentable, l’associazione e, soprattutto, il suo fondatore si sono caricati di una missione speciale, che va ben oltre la semplice realizzazione di una nuova scuola: l’obiettivo è quello di dare un’opportunità migliore ai ragazzini della città, ma anche a genitori, insegnanti e abitanti tutti, offrendo loro l’occasione di imparare non soltanto dai libri che si leggono a scuola, ma anche dalla costruzione della scuola stessa. 

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FONTE IMMAGINI

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http://www.entornointeligente.com/images-noticias/2016/02/shaune-fraser-URUGUAY–Una-escuela-hecha-con-lo-que-la-gente-tira.jpg

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Progettare per gli ipersensibili: il centro terapeutico per autismo

Il centro NewYork Presbyterian ha deciso di convertire una vecchia palestra a centro per l’autismo e lo sviluppo del cervello (CADB) dove progettare spazi ambulatoriali per intervenire precocemente sui bambini autistici dai 18 mesi e diagnosticare la patologia fino all’età adulta.

Il progetto nasce dalla proficua collaborazione tra personale medico e lo studio DaSilva Architects che, per la prima volta, si è dovuto confrontare con questa tipologia di utenti ipersensibili.

ARCHITETTURA PER BAMBINI: L’APPROCCIO PEDAGOGICO PER UN CENTRO ACCOGLIENZA

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Dal punto di vista funzionale era necessario dotare l’edificio, adibito a vecchia palestra sgangherata, di una reception e di ambulatori per la valutazione di diagnosi e cura dei pazienti del centro terapeutico. Analizzando i casi di autismo in letteratura, studi hanno provato che a chi è stata diagnosticata questa patologia è più sensibile di altri alla vista, al suono e alle sensazioni derivate dall’ambiente che li circonda

L’ipersensibilità dimostrata da questi soggetti rende la progettazione delle strutture una sfida per gli architetti; una formazione preventiva sul tema è stata necessaria per poter immaginare un ambiente curativo confortevole e adattare un luogo già costruito a persone condizionabili da ciò che le circonda.

L’edificio originario, risalente al 1924, il Ginnasio Rogers, era una struttura costituita da muri in mattoni e grandi finestre con inferriate.

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Il centro terapeutico come un villaggio in cui sentirsi a casa

L’interno della palestra è stato ripensato adottando un approccio più da urbanista che da architetto: la casa di cura è stata concepita come un “villaggio del trattamento”, colorata e vivace. Gli spazi per la consulenza e le sale per i trattamenti del centro terapeutico sono stati strutturati come una serie di piccoli padiglioni luminosi all’interno dello spazio unico; gli ambienti sono connessi tra loro tramite percorsi, interrotti da spazi vuoti, come piccole piazze.

Ricreare un ambiente familiare e quanto più distante dal classico modello di ambulatorio medico è stata una precisa indicazione da parte della committenza. Si è tentato di evitare di progettare quella spiacevole sequenza di porte anonime e indistinguibili tipiche degli ambienti ospedalieri. I progettisti hanno voluto ricreare, seguendo la logica del “villaggio Disney”, “un’architettura di comunicazione più che di spazio”, come riporta Robert Venturi nel celebre Learning from Las Vegas, dando vita a una piccola cittadella ricca di elementi riconoscibili (la strada, le panchine, i parchi) per gli ipersensibili.

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Ogni stanza, in cui è prevista l’attività di analisi del centro, è stata progettata in modo flessibile per essere utilizzata da bambini, adolescenti e adulti. I volumi in cui si svolgono le terapie rivolte agli ipersensibili rispecchiano tre diverse figure tridimensionali, con tetti, porte e finestre che si aprono a zone di circolazione comune all’interno del più ampio spazio giorno illuminato. Colore, dimensione, forma, struttura e luce sono elementi giocati magistralmente per creare spazi adatti ai pazienti affetti da autismo e alle loro famiglie.

A soffitto è stato ricreato un cielo artificiale con nuvole e tutto l’interno ricrea un paesaggio esterno, quasi un “giardino della guarigione“, comprensivo di parchi, panchine e giardini.

L’acustica, la luce e la forma nel progetto

Il segreto della riuscita del progetto è stato l’attenzione a tre aspetti: l’acustica, la luce e la forma, con un uso sapiente dei materiali.

Dal punto di vista acustico sono stati escogitati tanti piccoli trucchi per rendere l’ambiente più confortevole. Sono state accuratamente eliminate le luci fluorescenti, che emanano un fastidioso ronzio e solitamente agitano molto i soggetti affetti da autismo.
Per tentare di attutire l’effetto di disturbo provocato dal rumore dei passi e distrazioni esterne, DaSilva Architects hanno inserito materiali che rendessero gli ambienti insonorizzati, utilizzando moquette e pannelli fonoassorbenti alle pareti. Nelle zone bagno, dove la moquette sarebbe stata antigienica, sono stati posati pavimenti in gomma morbida per uniformarsi agli altri locali.

Si è intervenuto gli impianti, in modo che non influissero negativamente sull’involucro insonorizzato: i progettisti hanno deciso di trasferire condizionatori, caldaie e ventilazione in una capanna collegata all’edificio, in modo da isolare la casa di cura dai rumori delle macchine.

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Nelle aree di passaggio, le “piazzette”, create tra un padiglione e l’altro, gli architetti hanno proposto pavimentazioni in sughero per smorzare il rumore del calpestio.

L’illuminazione, importante in qualsiasi spazio, per i pazienti ipersensibili del CADB può diventare motivo di malessere. Per alcune persone affette da autismo, infatti, la luce è un problema di tono: non può essere troppo calda, troppo fredda, troppo luminosa, troppo debole, troppo dura, troppo artificiale, o addirittura troppo naturale. Ha bisogno di essere ben bilanciata.

Per il centro terapeutico CADB, DaSilva Architects ha scelto di illuminare lo spazio con una miscela di fonti naturali e artificiali. Anche se la letteratura mette in guardia dalla troppa luce naturale in ambienti dedicati all’autismo, per non fornire distrazioni all’utente, le enormi finestre dell’edificio del Rogers Gymnasium, tuttavia, si trovavano più in alto rispetto al piano dell’osservatore, e questo non disturba gli utenti, beneficiando di una luce non diretta senza distrarre i pazienti con ciò che accade al di fuori. Per l’illuminazione artificiale, DaSilva Architects ha deciso di evitare l’uso totale di luci d’ambiente come quelle che si trovano in molti uffici, preferendo un variegato mix di fonti, installando sia plafoniere che fari che illuminano lateralmente. Tutte queste lampade possono essere oscurate nel caso in cui un paziente ne sia infastidito. Il risultato è un centro più simile a un salotto che a una casa di cura.

Proprio come succede per il suono, il rumore e la luce, molti di questi utenti sono ipersensibili alla forma degli oggetti. Un paziente potrebbe essere attratto da superfici scivolose, lucide, mentre un altro potrebbe trovare una superficie leggermente abrasiva insopportabile al tatto. Per contemplare il più ampio ventaglio di possibilità, la struttura del CADB presenta tessuti e materiali naturali, come sughero, gomma, porcellana, e lana. 

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Il centro terapeutico CADB dimostra che se non si possono eliminare i fastidi che l’ambiente provoca nella mente delle persone affette da autismo, almeno, concentrando la propria attenzione su chi fruirà ciò che si progetta, si può provare a rendere lo spazio di cura più confortevole agli ipersensibili.

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Un tetto giardino nel cuore di Brooklyn: Periscope House

Il periscopio è uno dispositivo ottico costituito da due specchi paralleli tra loro che, inclinati di 45 gradi, consentono ad un osservatore situato più in basso dell’obiettivo di esplorare l’intero orizzonte. Da tale strumento prende il nome la Periscope House (Casa Periscopio), l’a casa con tetto giardino a Brooklyn, che sfrutta lo stesso principio per godere, dall’interno dell’abitazione, del suggestivo panorama dello skyline di Manhattan.

In copertina: Foto © Frank Oudeman

TETTI GIARDINO:PIÙ VERDE NEL CAMPUS UNIVERSITARIO DI MELBOURNE

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Il progetto di uno dei primi tetti verdi di Slope Park

L’operazione effettuata dai progettisti di nARCHITECTS a Brooklyn per la Periscope House potrebbe sembrare una delle tante ristrutturazioni edilizie realizzate a New York. In realtà dietro la brownstone, la pietra scura tipica di molti edifici residenziali della Grande Mela, si nasconde uno dei primi tetti giardino realizzati nel quartiere di Slope Park.

L’intervento, commissionato dai Signori Wilson nel 2007, prevedeva la ristrutturazione e l’ampliamento di un appartamento articolato su 4 livelli; gli architetti lo hanno declinato in un progetto originale e sostenibile, in cui è il verde a fare da protagonista.

Gli ambienti principali della casa offrono infatti una spettacolare vista su “giardini intimi”: delle vere e proprie “stanze all’aperto” poste a quote differenti e connesse tra loro tramite una serie di scale.

caption: foto di © Frank Oudeman

Il tetto giardino

Fiore all’occhiello dell’intervento è il tetto giardino, realizzato in collaborazione con i paesaggisti del Future Green Studio. Il tetto verde è caratterizzato da un mix casuale di specie erbose tra cui piante alte, rampicanti, Sedum in fiore e tappezzanti. Si tratta per lo più di specie perenni e “rustiche”, ovvero in grado di resistere a basse temperature e con necessità di poca annaffiatura. Il mix di colori va dal rosso fuoco del nasutrizio (Tropaeolum speciosum, il “fiore fiamma”) al lilla e violetto dei cespugli di Aster, al rosa e bianco dei garofani fino al blu e grigio della festuca glauca. La maggior parte di queste specie fioriscono in estate ma una volta appassiti i petali, rimane comunque il verde del fogliame.

caption: foto di © 2016 Future Green Studio Corp.

Alla flora volutamente selvaggia del tetto si contrappone quella più ordinata e curata della texture del giardino al primo livello. Su di esso si affaccia una terrazza illuminata da luci a LED e protetta da parapetti in vetro colorato in cui le dense aiuole non interrompono la continuità della pavimentazione in deck.

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caption: foto di © Frank Oudeman

caption: In Immagine: A sinistra, foto di © Frank Oudeman; a destra foto di © 2016 FUTURE GREEN STUDIO CORP.

Gli interni della Periscope House si contraddistinguono per i colori chiari e il design pulito ed essenziale. Ciò è reso ancora più evidente dalla luce naturale che invade ogni angolo dell’abitazione, grazie alle nuove aperture vetrate. Tali bucature sono frutto di una progettazione attenta, in cui dimensione e posizione non vengono lasciate al caso. Lo scopo è fare in modo che, da qualsiasi stanza, durante la routine quotidiana, non venga mai perso il contatto visivo con le terrazze verdi sulle quali ciascun ambiente affaccia. Le finestre dello studio sono dunque poste a filo della scrivania mentre quelle della cucina si trovano a circa 50 cm dal pavimento, perfettamente allineate con le panche lignee che corrono lungo le due pareti perimetrali.

caption: foto di © Frank Oudeman

La scala periscopio per ammirare lo skyline di Manhattan

Cuore dell’intero progetto è la scala a giorno che conduce al tetto giardino; completamente in legno, emerge in copertura con un volume netto, a forma di prisma trapezoidale.

Il rame che riveste tale volume lascia spazio, sul alto est, al vetro colorato; qui un’ampia finestra consente alla luce del mattino di illuminare naturalmente la stanza sottostante.

Uno specchio, posto all’intradosso della copertura inclinata di 45 gradi, trasforma il corpo scala in un periscopio: guardando in alto, dai piedi della scala, è dunque possibile ammirare il fascino dei grattacieli di New York mentre, durante il tramonto, l’appartamento è inondato da una luce purpurea.

Spogliato della mera funzione di collegamento, un semplice connettivo verticale diventa un elemento architettonico a sé stante.

caption: foto di © Frank Oudeman

caption: foto di © Frank Oudemancaption: foto di © nARCHITECTS

Vivere in un appartamento senza rinunciare al verde è possibile, anche in una città come New York; la Periscope House ne è la prova.

L’operazione effettuata da nARCHITECTS a Slope Park a Brooklyn è inoltre la conferma di come ogni progetto, anche quello all’apparenza più semplice, può racchiudere in sé molteplici sfide; sta alla sensibilità del progettista saperle cogliere e soprattutto affrontarle libero da qualsiasi pregiudizio.

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Dai Show Theatre, il teatro cinese ispirato alle foglie di palma

Sembra un edificio su cui è stato adagiato uno dei classici cappellini cinesi a forma di tronco di cono con una base particolarmente schiacciata. Sarà per questo che in molti hanno interpretato la scelta progettuale fatta dallo studio Stufish Entertainment Architects per il Dai Show Theatre, realizzato a Xishuangbanna (Yunnan) in Cina come un omaggio alla cultura cinese. La pseudo-cupola scintillante quasi come l’oro, in realtà, non si riferisce al copricapo asiatico, ma piuttosto guarda alla natura per far entrare, nella struttura, la natura stessa sotto forma di vento e di luce. L’idea nasce dalla sovrapposizione di rami di palma ed è stata realizzata per garantire la ventilazione e l’illuminazione naturale degli ambienti interni al Dai Show.

TEATRI: A MONTPELLIER L’EDIFICIO ROSSO DAL CUORE VERDE

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Il progetto del Dai Show Theatre

Il Dai Show Theatre spicca per imponenza, magnificenza, ricchezza. Non è un caso che la copertura si ispiri, sì, ad un elemento naturale come le foglie di palma, ma risulti luccicante come lamine d’oro intrecciate e ripiegate per raggiungere la forma desiderata. 

L’edificio si sviluppa su una superficie di circa 20 mila mq ed è sormontato da una copertura con un raggio di circa 55 metri. Si presenta come un polo multifunzionale destinato ad attrarre quanti più turisti possibili con gli appartamenti, centri commerciali, negozi di vario genere, bar, alberghi e ristoranti che ne costituiscono l’anima. Al suo interno è presente anche un parco tematico, ideale per l’intrattenimento dei più piccoli.

Il cuore dell’edificio è il teatro, progettato dal team Stufish Entertainment Architects, il cui nome suggerisce chiaramente la loro propensione e specializzazione nella realizzazione di strutture dedicate all’intrattenimento. Si tratta di un ambiente con ben 1183 posti a sedere disposti ad anello intorno ad uno spazio destinato ad ospitare uno spettacoli permanenti di acrobazia acquatica.

La scala, di forma circolare, è divisa in tre settori, tutti affacciati sul palco centrale, anch’esso circolare. Alto 14 metri, ospita una piscina dal diametro di 8 metri, studiata per essere sollevata o fatta scomparire in base al tipo di spettacolo che si deve svolgere.

Al soffitto sono applicati dei dispositivi che permettono agli acrobati di fluttuare ad un’altezza di 9 metri dal palco, aggiungendo all’effetto scenografico della struttura anche quello dell’intrattenimento. In questo aspetto è evidente tutta l’abilità degli architetti che, contemporaneamente, si sono imposti anche come validi scenografi.

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La copertura come rami di palme incrociati

La copertura rappresenza senza dubbio l’aspetto più interessante dell’intera progettazione, sia perchè è l’elemento più evidente, a causa dell’aspetto scintillante, sia per il concetto che si nasconde dietro la sua progettazione. Immerso in uno splendido contesto naturalistico, infatti, il Dai Show Theatre è circondato da alberi di diverse specie ma, su questi, ne prevale uno: la palma. È per questo motivo che gli architetti, nell’elaborazione della forma della copertura, hanno preferito rifarsi proprio a questi slanciati alberi.

Il disegno originale è stato ideato dal fondatore dello studio Mark Fisher che, dopo aver visitato il sito prescelto per il teatro, è rimasto immediatamente colpito dalla bellezza della natura circostante e da essa ha tratto l’ispirazione. La sua intenzione è stata quella di creare un’architettura che si integrasse al parco circostante in modo tale da sembrare viva, da essere percepita come se fosse un albero in costante crescita in mezzo a tanti alberi veri.

caption: Stufish Entertainment Architects

La copertura è caratterizzata da una fitta intelaiatura a doghe secondo uno schema che rievoca la conformazione delle foglie di palma. È organizzata su due livelli sovrapposti, così da assolvere a una duplice funzione. Da un lato i visitatori potranno godere della bellezza del parco in cui il teatro è immerso senza essere accecati dal sole, dall’altro, più importante, è possibile garantire la ventilazione naturale degli ambienti. Questo aspetto, oltre ad essere in perfetto accordo con i principi dell’architettura sostenibile, rappresenta una condizione ideale per un clima caldo come quello di Xishuangbanna.

La doppia copertura è sorretta su entrambi i piani da pilastri a forma di tronco di albero. In questo modo, chi staziona tra un piano e l’altro, ha davvero la sensazione di trovarsi all’ombra di un albero di palma. Le doghe, collegate a dei costoloni al cui interno sono stati fatti passare gli impianti, si sviluppano attraverso un movimento di torsione, creando, all’interno, un effetto di grande impatto scenografico. Sono posizionate in modo tale da permettere il passaggio e il ricambio dell’aria oltre che della luce. Quest’ultima, tuttavia, non arriva in modo diretto, ma la struttura a “foglie di palma” costituisce una sorta di brise soleil capace di illuminare in maniera soffusa. La scelta del color oro si addice al modo in cui i fasci luminosi battono sulla parete, perchè permette di diffondere all’interno la radiazione solare senza accecare e, soprattutto, sfruttando anche dei tagli molto sottili come quelli progettati dagli architetti. 

caption: © Tim Franco

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Hong Kong: demolendo i borghi storici cancella la sua storia

Si può arrivare a dei compromessi per evitare che lo sviluppo urbano divori le origini di un popolo? In alcuni luoghi del pianeta pare di no: dove la speculazione non tiene presente le esigenze di tutti, si demolisce anziché tutelare e recuperare, rischiando di cancellare importanti pezzi di storia di una civiltà. Un caso emblematico è quello di Hong Kong e del borgo antico di Nga Tsin Wai, un minuscolo villaggio inghiottito dalla metropoli che rischia di sparire.

IL VILLAGGIO CINESE SOMMERSO DALLA VEGETAZIONE

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Hong Kong sta per perdere un pezzo di storia durato sei secoli e mezzo.

La Urban Renewal Autority (URA) demolirà infatti la maggior parte di un borgo di Kowloon, Nga Tsin Wai, noto per essere stato istituito dalle famiglie Ng, Chan e Lee durante la metà del XIV secolo. Al suo posto sorgeranno due torri di appartamenti e un parco urbano.

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La storia del villaggio Nga Tsin Wai

A quel tempo (era il 1352), essendo il villaggio situato vicino al porto, le famiglie residenti decisero di costruire al suo interno un tempio in onore della dea del mare Tin Hau. In origine il borgo storico di Hong Kong contava 127 edifici ed un ponte levatoio serviva a superare il fossato perimetrale che, con la cinta di mura perimetrali servivano a difendersi.

Nel 1724 sono state costruite delle mura per proteggere il villaggio dai pirati ma poi, da allora e fino ai giorni nostri, il mare è scomparso, sostituito dall’aeroporto Kai Tak. 

La conformazione del borgo è rimasta tuttavia sempre quella di centinaia di anni fa, con tre strade strette e sei vicoli fiancheggiati da piccole case con tetti di tegole. 

I residenti attuali dicono che “tutto questo sta per essere presto perso per sempre”. Quello che si perderà sarà un altro pezzo dell’identità di Hong Kong che – come per altre metropoli iperindustrializzate – tende apparentemente a svilupparsi, ma in realtà perde identità e si uniforma alle regole di un’Architettura troppo globalizzata per essere ritenuta “sostenibile”.

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Le reazioni dei residenti al nuovo sviluppo urbano 

Uno dei portavoce di URA dice che già oltre la metà delle proprietà del borgo sono state acquisite e che il processo di acquisizione è ancora molto lento a causa di chi si oppone alle demolizioni. Tuttavia la URA promette di conservare i cimeli storici del villaggio e alcune sue parti come la portineria, il tempio, la cosiddetta “sala degli antenati”, ed alcune vecchie case caratteristiche che saranno inseriti in un “parco urbano della conservazione” che metterà in evidenza la storia del paese, ma pochi, pare, hanno fiducia in queste promesse. 

L’Associazione Conservancy che si batte contro la demolizione di Nga Tsin Wai ha rilasciato una dichiarazione critica circa le proposte avanzate dalla URA sulla conservazione apparente dei cimeli di questo luogo. 

Choi Yan-chi, uno dei fondatori della vicina Cattle Depot Artists ‘Village e da molto tempo residente nella città di Kowloon, dice che è solo l’ultimo di una serie di borghi storici abbattuti nella zona. Ma il motivo di tanto timore per Nga Tsin Wai  è che “Questo è il più antico di sinistra e noi vogliamo che rimanga”, dicono.  

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“Ho sempre considerato questo villaggio come la mia sola ed unica casa” racconta uno dei residenti, e ancora “Stanno distruggendo un luogo a noi sacro, in cui le tradizioni del nostro popolo e i ricordi familiari sono gli unici valori di vita. Viviamo in un’epoca dove si pensa solo ai soldi e non alla cultura […] Il nostro futuro è incerto, ci sentiamo frustrati”.

Per il momento, la vita del villaggio va avanti, anche se le case vengono lentamente abbattute e il numero di abitanti diminuisce. Da lontano Nga Tsin Wai appare vivace, circondato da negozietti di alimentari, barbieri all’aperto e venditori ambulanti, ma l’atmosfera cambia quando si attraversa il cancello del borgo. Macerie e cartelli di cantiere hanno preso il posto di molte case. L’erba cresce dai vecchi tetti di tegole degli edifici rimanenti, quasi a richiamare quel senso di ruralità ormai scomparso da tempo.

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Se vi capitasse di passare dal borgo Kowloon e di incontrare un’anziana abitante di Nga Tsin Wai  chiamata Wong Poh-Poh – letteralmente “nonna Wong” – state pur certi che lei vi dirà “Prima di fare qualsiasi altra cosa, andate a rendere omaggio al tempio di Tin Hau”. Questo la dice lunga su quanto valore abbia l’Architettura tradizionale e perché abbia importanza preservarla: con ogni tassello della storia che cancelliamo, perdiamo una parte di utili notizie che servono a far sì che lo sviluppo futuro sia davvero sostenibile. Non facendo così, dimenticando tutto e seppellendo la storia con il cemento, il metallo, il vetro, avremo solo temporanei involucri senza anima.

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La top 30 degli ospedali più sostenibili al mondo. Quanti sono italiani?

Gli ospedali verdi sono sempre più numerosi sia all’estero che in Italia. Una classifica pubblicata sul sito Healthcare Administration Degree Programs ci fa conoscere le 30 strutture ospedaliere più sostenibili del mondo. Scorrendo la lista scoprirete se gli ospedali italiani sono stati abbastanza all’avanguardia da esservi inseriti e quali progressi si stanno compiendo.

In copertina: St. Mary’s Hospital (British Columbia) è tra gli ospedali più verdi del Nord America. Fonte foto: hospitalnews.com.

OSPEDALI GREEN: IL MAGGIE CENTER A LEEDS

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Sono in aumento le realizzazioni di ospedali che attraverso alcuni accorgimenti si dimostrano attenti alle esigenze ambientali incrementando ad esempio l’efficienza energetica, prevedendo sistemi per il riciclaggio dei rifiuti o impianti per il recupero dell’acqua piovana, o semplicemente migliorando la struttura stessa dell’edificio con soluzioni tecniche e innovative che puntano all’utilizzo di sistemi all’avanguardia e materiali green. Sta trovando sempre maggiori adesioni il trend positivo dell’eco-sanità, che punta alla costruzione di strutture sanitarie dal ridotto impatto ambientale e ad alta efficienza energetica, grazie all’impiego di fonti alternative e rinnovabili di energia e all’applicazione di criteri di sostenibilità ambientale tanto nella costruzione quanto nella gestione degli edifici.

Numerosi sono inoltre gli ospedali esistenti che stanno aderendo o hanno già aderito a progetti di riconversione delle strutture e degli impianti esistenti.

I 30 ospedali più sostenibili al mondo

Ecco che quindi Tom Stevens ha redatto una lista dei 30 ospedali più sostenibili del mondo, strutture che hanno ricevuto certificazioni ambientali, mostrando un particolare impegno nel riciclo dei rifiuti o prevedendo particolari accorgimenti che consentano di ottenere risparmi energetici.

Nella top 30 compaiono sia strutture di nuova costruzione sia strutture recentemente ristrutturate e riqualificate con l’intento di migliorarne le prestazioni energetiche e, più in generale, di renderle più ecologiche.

La maggior parte di questi edifici ha ottenuto la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), il programma statunitense di certificazione volontaria degli edifici sviluppato dallo U.S. Green Building Council (USGBC). Tale programma, a seconda del rispetto di alcuni criteri standard come ad esempio il risparmio energetico, il risparmio idrico, la riduzione delle emissioni di CO2, il riciclo di rifiuti, la tipologia di materiali usati, la sostenibilità del sito e il miglioramento generale della qualità degli ambienti interni, certifica le costruzioni ecologicamente sostenibili. Forse anche per questo motivo la classifica è dominata soprattutto da strutture ospedaliere presenti negli Stati Uniti (ben 25 ospedali sui primi 30 ospedali più verdi del mondo). Tuttavia la lista comprende anche due strutture presenti nel Regno Unito, due in Canada e una a Singapore.

La classifica

Le ultime dieci posizioni della classifica degli ospedali più green del pianeta sono occupate da nove strutture ospedaliere statunitensi e una britannica:

30. Rush University Medical Center, East Tower, Chicago, Illinois;

29. Great Ormond Street Hospital, Morgan Stanley Clinical Building, London, U.K.;

28. Johnston Memorial Hospital, Abingdon, Virginia;

27. Bronson Methodist Hospital, Main Building, Kalamazoo, Michigan;

26. Women & Infants Hospital of Rhode Island, South Pavilion, Providence, Rhode Island;

25. Boulder Community Foothills Hospital, Boulder, Colorado;

24. Childrenis Healthcare of Atlanta, Atlanta, Georgia;

23. Anne Arundel Medical Center, Hospital Pavilion South, Annapolis, Maryland;

22. Walter Reed National Military Medical Center, Bethesda, Maryland;

21. University of Colorado Health, Medical Center of the Rockies, Loveland, Colorado.

Risalendo la classifica troviamo, dal ventesimo all’undicesimo posto, sette strutture ospedaliere statunitensi, una canadese, una britannica e l’unica struttura di Singapore.

20. Sentara RMH Medical Center, Harrisonburg, Virginia

19. Sunnybrook Health Sciences Centre, Toronto, Canada

18. University Hospital of South Manchester: Wythenshawe Hospital – Manchester, U.K.

17. Dana-Farber Cancer Institute: Yawkey Center for Cancer Care, Boston, Massachusetts

16. St. Elizabeth Hospital: Heart, Lung & Vascular Center, Appleton, Wisconsin

15. Helen DeVos Childrenis Hospital, Grand Rapids, Michigan

14. Mount Elizabeth Novena Hospital, Novena, Singapore

13. Martha’s Vineyard Hospital, Oak Bluffs, Massachusetts

12. UF Health Shands Cancer Hospital, Gainesville, Florida

11. Joe DiMaggio Children’s Hospital, Hollywood, Florida

La parte più alta della classifica si apre con un ospedale canadese in decima posizione. Le posizioni seguenti della classifica sono interamente statunitensi.

10. St. Mary’s Hospital, Sechelt, Canada

9. Muskogee Community Hospital, Muskogee, Oklahoma

8. North Shore University Hospital: Katz Women’s Hospital, Manhasset, New York

7. West Kendall Baptist Hospital, Miami, Florida

6. Legacy Salmon Creek Medical Center – Vancouver, Washington

5. NewYork-Presbyterian Hospital: Vivian and Seymour Milstein Family Heart Center, New York

4. Kiowa County Memorial Hospital, Greensburg, Kansas

Le tre strutture ospedaliere più sostenibili

Il podio di questa top 30 delle strutture ospedaliere più ecologiche è interamente dominato da ospedali statunitensi.

Al terzo posto troviamo il Providence Newberg Medical Center di Newberg in Oregon, progettato da Mahlum. È il primo ospedale statunitense ad aver ricevuto la certificazione Leed Gold e la prima struttura sanitaria negli Stati Uniti a soddisfare l’intero fabbisogno energetico mediante fonti rinnovabili (geotermico, eolico e idroelettrico). Un innovativo sistema di ventilazione inoltre, preleva continuamente aria dall’esterno contribuendo a migliorare la qualità e il comfort degli ambienti interni.

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Al secondo posto si classifica un ospedale texano, il Dell Children’s Medical Center of Central Texas di Austin. È il primo ospedale ad aver ottenuto la certificazione Leed Platinum, il più elevato standard previsto dalla certificazione Leed. Sembra quasi più chiara la luce che passa attraverso gli ampi vetri o quella che illumina l’asfalto dei numerosi garage e parcheggi della struttura: questa è, infatti, l’unica realtà pediatrica al mondo costruita quasi interamente con materiale riciclato. Proviene completamente da riciclo, il vetro utilizzato per la fabbricazione delle finestre e anche l’asfalto con cui sono stati ricoperti i numerosi posti macchina dell’ospedale era già stato utilizzato in precedenza altrove.

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Una turbina alimentata da gas naturale, inoltre, produce tutta l’energia elettrica necessaria al funzionamento della struttura, mentre all’esterno, nel giardino, una cascata d’acqua a risparmio idrico e una rigogliosa serie di piante disposte su vari livelli assicurano aria pulita e ricca di ossigeno a tutti gli ospiti e i degenti.

Questo ospedale presenta ulteriori caratteristiche green che lo rendono una delle strutture sanitarie più ecologiche del mondo: l’uso di vernici ecocompatibili, un sistema di illuminazione altamente efficiente, un sistema di raccolta dell’acqua piovana per l’irrigazione dei giardini e per i servizi igienici, impianti per il recupero di calore e un particolare tetto bianco in grado di riflettere la luce del sole e mantenere l’edificio fresco e confortevole in modo naturale.

Infine, è il Children’s Hospital di Pittsburgh in Pennsylvania, ad aggiudicarsi la medaglia d’oro di questa top 30 degli ospedali più ecologici del mondo. Presenta svariate caratteristiche che hanno fatto sì che ottenesse ben due certificazioni LEED e che fosse eletto l’ospedale più ecologico del mondo: è stato completamente eliminato l’uso della carta, svolgendo ogni operazione con mezzi elettronici oltre all’uso di materiali riciclati, a sistemi per il recupero dell’acqua, all’efficienza energetica e ad un eccellente sistema di trasporto pubblico e di condivisione di veicoli.

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Quanto sono sostenibili gli ospedali Italiani?

Non bisogna però pensare che queste siano realtà presenti esclusivamente all’estero. Anche in Italia stanno infatti nascendo strutture sanitarie sostenibili. 

Va ad esempio al Meyer di Firenze il primato italiano nel campo dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale. Ha battuto sui tempi tutte le altre strutture italiane, introducendo per primo sistemi avanzati di ventilazione, climatizzazione e illuminazione per ridurre al minimo i consumi energetici e creare un migliore equilibrio termico all’interno. Le zone esterne del giardino, invece, hanno ricevuto la certificazione Bio-Habitat che attesta la gestione degli spazi verdi secondo principi biologici.

Nel nostro Paese inoltre numerose strutture ospedaliere partecipano al progetto europeo denominato “RES – Renovable Energy Sources“, il cui obiettivo è quello di ridurre le emissioni di anidride carbonica prodotte dai 15.000 ospedali presenti in Europa: l’Istituto Europeo di Oncologia, l’ospedale San Matteo di Pavia, l’istituto Humanitas Rozzano, gli ospedali di Ravenna, Rimini, Forlì, Cesena, Genova e Torino.

Con questo progetto, la Comunità Europea si è posta l’obiettivo di individuare delle best practices nel campo della sanità sostenibile da riproporre successivamente in tutte le strutture assistenziali europee.

Presso il Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, ad esempio, si sta cercando di quantificare il risparmio energetico prodotto dall’impiego della tecnologia LED al posto delle lampadine di tipo tradizionale. L’obiettivo, non è però solo quello di ottenere un risparmio energetico, ma anche quello di rendere più confortevole la permanenza dei pazienti e dei visitatori all’interno delle strutture, accrescendone il benessere visivo.

Tra le bio-innovazioni nell’edilizia sanitaria, occorre ricordare la pavimentazione ecologica dell’Ospedale Brotzu di Cagliari e le coperture dei parcheggi del San Camillo di Roma realizzate con pannelli solari. A San Donato Milanese, invece, vengono serviti già da tempo menu ospedalieri a km zero.

Merita, infine, di essere menzionato, il progetto di ospedale green curato da Renzo Piano, che sarà realizzato a Sesto San Giovanni: la Città della Salute, costruita secondo criteri di risparmio energetico, prevede infatti un parco verde di 450mila mq, in cui avranno un ruolo centrale orti e frutteti con scopi essenzialmente terapeutici.

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The River: la copertura sinuosa è il simbolo del progetto

Un tempo fattoria, poi allevamento equestre, Grace Farms a New Canaan nel Connecticut è oggi un vero e proprio habitat naturale di 80 acri con grandi prati aperti, numerose piante ed alberature, boschi, zone umide, stagni ed oltre 16 diverse specie di anfibi e rettili. All’interno della riserva naturale sorge The River di SANAA, un luogo di servizi pubblici, in cui la natura, l’arte e la comunità possono ritrovarsi e dar vita ad esperienze creative e rilassanti, che possono essere una semplice sosta alla caffetteria o un corso di arte per famiglie, così come una serie di eventi e di attività culturali a contatto con la natura.

UN PARCO GIOCHI SUL TETTO DELLA BIBLIOTECA

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The River: l’edificio di Sanaa

All’interno di questo polmone verde si trova il The River, progettato dallo studio giapponese SANAA, un edificio minimalista, leggero, che ben si integra nel paesaggio fondendosi con l’orografia del territorio ed insinuandosi come un fiume all’interno dell’area naturale (non casuale la scelta del nome: river, in inglese, vuol dire fiume).

L’edificio, dalle forme sinuose, ricorda un altro progetto di Seijima e Nishizawa ovvero il Serpentine Pavilion di Londra.  È caratterizzato da un design minimalista tipicamente giapponese, dai colori neutri e chiari come il bianco o il legno di rovere che riveste pavimenti ed arredi, si compone principalmente di pochi materiali: vetro, cemento, acciaio e legno, che si plasmano insieme generando uno spazio fluido ed accogliente.

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La copertura è il vero segno forte dell’intervento, con le sue curve richiama l’andamento di un fiume che scorre all’interno del parco seguendo il pendio e diventando un collegamento tra le diverse aree ed attività al coperto e le zone all’aperto. Diventa perciò un elemento continuo, fluido, ma sotto di essa si alternano passaggi coperti, che fungono quindi da filtro tra le aree a verde, e le diverse funzioni ospitate dal The river: un anfiteatro di circa 2000mq, uno spazio per la discussione e gli uffici della fondazione, spazi comuni come bar, ristorante, una sala conferenze interrata, una biblioteca, una palestra ed un padiglione polivalente per le attività multidisciplinari.  L’elemento centrale del progetto è dunque la copertura composta prevalentemente in legno, con travi lamellari di 30 metri che poggiano su pilastri di acciaio di circa 13 cm di diametro, in contrapposizione vi sono le chiusure verticali totalmente trasparenti e realizzate con grandi lastre di vetro curvo.

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Così mentre la copertura, che segna il territorio, sembra galleggiare ed essere sospesa per aria, il resto dell’edificio scompare sotto di essa, lasciando libera la visuale da una parta all’altra del parco e tra un’attività e l’altra. Non interrompe la continuità, bensì la favorisce e permette una perfetta connessione tra le aree a verde e le aree attrezzate.  La natura avvolge perciò gli spazi, ed è visibile da tutte le stanze, è un aspetto importante che ben rispecchia l’anima della vita a Grace Farms: un luogo di contatto con la natura e tra le persone della comunità, in cui è possibile giocare, fare sport o attività ricreative e coltivare gli orti comuni.

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Certificazione LEED ed accorgimenti bioclimatici

L’edificio vanta inoltre alcuni accorgimenti bioclimatici per il risparmio energetico che gli varrà la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Oltre al sistema geotermico integrato composto da oltre 55 pozzi geotermici a 150 metri di profondità, l’intero edificio è progettato secondo criteri ecosostenibili per il minor consumo di energia e il riuso delle acque piovane. Il progetto del verde e del paesaggio è nato dalla collaborazione tra SANAA e lo studio OLIN che da sempre si occupa di architettura del paesaggio.

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The River: la copertura sinuosa è il simbolo del progetto

Un tempo fattoria, poi allevamento equestre, Grace Farms a New Canaan nel Connecticut è oggi un vero e proprio habitat naturale di 80 acri con grandi prati aperti, numerose piante ed alberature, boschi, zone umide, stagni ed oltre 16 diverse specie di anfibi e rettili. All’interno della riserva naturale sorge The River di SANAA, un luogo di servizi pubblici, in cui la natura, l’arte e la comunità possono ritrovarsi e dar vita ad esperienze creative e rilassanti, che possono essere una semplice sosta alla caffetteria o un corso di arte per famiglie, così come una serie di eventi e di attività culturali a contatto con la natura.

UN PARCO GIOCHI SUL TETTO DELLA BIBLIOTECA

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The River: l’edificio di Sanaa

All’interno di questo polmone verde si trova il The River, progettato dallo studio giapponese SANAA, un edificio minimalista, leggero, che ben si integra nel paesaggio fondendosi con l’orografia del territorio ed insinuandosi come un fiume all’interno dell’area naturale (non casuale la scelta del nome: river, in inglese, vuol dire fiume).

L’edificio, dalle forme sinuose, ricorda un altro progetto di Seijima e Nishizawa ovvero il Serpentine Pavilion di Londra.  È caratterizzato da un design minimalista tipicamente giapponese, dai colori neutri e chiari come il bianco o il legno di rovere che riveste pavimenti ed arredi, si compone principalmente di pochi materiali: vetro, cemento, acciaio e legno, che si plasmano insieme generando uno spazio fluido ed accogliente.

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La copertura è il vero segno forte dell’intervento, con le sue curve richiama l’andamento di un fiume che scorre all’interno del parco seguendo il pendio e diventando un collegamento tra le diverse aree ed attività al coperto e le zone all’aperto. Diventa perciò un elemento continuo, fluido, ma sotto di essa si alternano passaggi coperti, che fungono quindi da filtro tra le aree a verde, e le diverse funzioni ospitate dal The river: un anfiteatro di circa 2000mq, uno spazio per la discussione e gli uffici della fondazione, spazi comuni come bar, ristorante, una sala conferenze interrata, una biblioteca, una palestra ed un padiglione polivalente per le attività multidisciplinari.  L’elemento centrale del progetto è dunque la copertura composta prevalentemente in legno, con travi lamellari di 30 metri che poggiano su pilastri di acciaio di circa 13 cm di diametro, in contrapposizione vi sono le chiusure verticali totalmente trasparenti e realizzate con grandi lastre di vetro curvo.

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Così mentre la copertura, che segna il territorio, sembra galleggiare ed essere sospesa per aria, il resto dell’edificio scompare sotto di essa, lasciando libera la visuale da una parta all’altra del parco e tra un’attività e l’altra. Non interrompe la continuità, bensì la favorisce e permette una perfetta connessione tra le aree a verde e le aree attrezzate.  La natura avvolge perciò gli spazi, ed è visibile da tutte le stanze, è un aspetto importante che ben rispecchia l’anima della vita a Grace Farms: un luogo di contatto con la natura e tra le persone della comunità, in cui è possibile giocare, fare sport o attività ricreative e coltivare gli orti comuni.

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Certificazione LEED ed accorgimenti bioclimatici

L’edificio vanta inoltre alcuni accorgimenti bioclimatici per il risparmio energetico che gli varrà la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Oltre al sistema geotermico integrato composto da oltre 55 pozzi geotermici a 150 metri di profondità, l’intero edificio è progettato secondo criteri ecosostenibili per il minor consumo di energia e il riuso delle acque piovane. Il progetto del verde e del paesaggio è nato dalla collaborazione tra SANAA e lo studio OLIN che da sempre si occupa di architettura del paesaggio.

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I grattacieli di Zaha Hadid a Pechino

Tre “montagne intrecciate” dalle forme sinuose, morbide e fluide che ricordano tre elementi naturali, nel distretto di Wangjing a Pechino. Questa è l’interpretazione di colei che ormai è considerata la regina dell’architettura, sempre al centro dell’attenzione e vincitrice di numerosi premi per l’architettura sostenibile: Zaha Hadid.

Anche stavolta l’architetto iracheno è riuscita a trionfare ipnotizzando la giuria e aggiudicandosi il prestigioso premio “Emporis Skyscrapers Award 2014” con il suo progetto Wangjing SOHO, diventato ormai un punto di riferimento nel contesto urbano della città cinese.

CITY LIFE: IL QUARTIERE DI MILANO A ZERO EMISSIONI FIRMATO DALLE ARCHISTAR

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IL CONTESTO URBANO

Gli edifici multifunzionali di Zaha Hadid, completati ormai da un anno, sono alti rispettivamente 118, 127 e 200 metri, immersi in un grande parco pubblico di 60 mila metri quadrati che attira a sé la comunità locale. La fusione di verde e architettura caratterizza l’ambiente rendendolo armonioso e affascinante.

Tutto il complesso è situato a nord-est di Pechino, a circa dieci km dal centro, in un quartiere sorto a metà degli anni novanta a destinazione residenziale, trasformatosi poi in un grande polo tecnologico, sede di numerose aziende e società internazionali e uno dei centri più famosi per le start-up della capitale. Per questo motivo, nel distretto di Wangjiing con il passare degli anni, è aumentata sempre più la domanda di spazi per uffici flessibili e diversificati: da quelli di dimensioni molto ridotte a quelli più ampi per i gruppi di fama internazionale.

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Le aree esterne

La composizione dei volumi dei grattacieli e il disegno delle forme sinuose, favoriscono l’ingresso di luce naturale da ogni punto degli edifici, la cui visione cambia secondo l’angolo da cui si osservano; da certi punti le torri appaiono come unico insieme architettonico, da altri come corpi individuali. La scelta di realizzare tre torri a discapito di un unico volume su un’area di 560 mila mq totali, è stata sicuramente una scelta intelligente che ha permesso di alleggerire la massa architettonica all’interno del sito a forma di ventaglio, dando un carattere identitario al contesto locale in continua crescita.

Il particolare studio delle aree esterne stimola i dipendenti degli uffici e degli spazi commerciali a recarsi al lavoro in bicicletta o con un’auto elettrica. Sono infatti presenti numerosi parcheggi e colonnine per la ricarica, oltre a docce e spogliatoi per rinfrescarsi dopo la pedalata.

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LE CARATTERISTICHE SOSTENIBILI

Su ogni piano sono presenti serramenti apribili con sistemi in vetrocamera basso-emissivi per favorire la ventilazione naturale, quando necessario. Sulle facciate, fasce orizzontali aggettanti in alluminio proteggono dal soleggiamento mentre lo strato esterno isolante riduce il fabbisogno energetico per riscaldare e raffrescare gli ambienti. In un contesto climatico estremo come quello di Pechino (e in questi giorni le immagini che arrivano dai media sono molto eloquenti), per questo progetto sono stati studiati appositi sistemi per abbattere le emissioni, limitare l’uso di acqua potabile con dispositivi di riutilizzo e riciclo dell’acqua, ridurre i consumi energetici con sensori di controllo, impianti per l’erogazione di corrente a bassa intensità e recupero di calore dall’aria esausta. Sono stati inoltre installati refrigeratori, ventilatori, boiler e pompe ad alta efficienza facendo registrare in un anno la riduzione del 12,8% dei consumi energetici e un risparmio idrico del 42%.

Per gli interni la preferenza è andata su materiali a basso contenuto di composti organici volatili, eliminando così le fonti d’inquinamento negli ambienti con l’uso di filtri ad alta efficienza e permettendo un aumento di aria fresca per persona di circa il 30%.

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Il secondo gradino del podio dell’“Emporis Skyscrapers Award 2014” è andato all’architetto italiano Stefano Boeri con il suo Bosco Verticale realizzato a Milano, un progetto intenzionato a riportare verde e biodiversità in un contesto fortemente urbanizzato e povero di spazi verdi.

Al terzo posto il progetto per il grattacielo francese Tour D2 realizzato dall’Agence d’Architecture Anthony Béchu.

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Biblioteche sostenibili: la Stevens Library è la prima NZEB degli USA

Lo studio WRNS ha recentemente presentato il primo edificio scolastico in California e in assoluto la prima biblioteca negli USA a raggiungere la certificazione NZEB – Net Zero Energy Building dall’ILFI – International Living Future Institute: partecipando al programma Living Building dello stesso istituto, la Stevens Library alla Sacred Heart School ha dimostrato di generare in un anno solare molta più energia di quella consumata, integrando sapientemente e in modo stimolante diversi sistemi di produzione e risparmio di energia.

NEARLY ZERO ENERGY HOTEL

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Il progetto della biblioteca sostenibile

La Stevens Library è uno dei quattro nuovi edifici del nuovo campus scolastico assieme al Performing Arts Building, al Lower Classroom Building e all’Upper Classroom Building. Lo studio WRNS ha redatto anche lo stesso masterplan del campus della Sacred Hearts School e quando la direzione ha chiesto al team di creare uno spazio che riflettesse i propri valori della consapevolezza sociale, della sostenibilità e della comunità, questo ha pensato di progettare la biblioteca con il duplice scopo di risparmiare energie e risorse educando, allo stesso tempo, la comunità circa l’importanza della tutela ambientale: il design semplice e flessibile della struttura mette in evidenza i legami tra architettura e natura, energia e acqua, funzionando sia come modello di sostenibilità che come risorsa educativa volta al coinvolgimento e alla sensibilizzazione dei fruitori in una cultura del risparmio energetico e delle risorse.

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Strategie di risparmio energetico

Il progetto della biblioteca integra numerosi sistemi tecnologici attivi e passivi associati a diverse strategie di risparmio energetico. Tra queste troviamo un impianto fotovoltaico, che fornisce tutta l’energia elettrica necessaria; un sistema di sensoristica e monitoraggio delle condizioni ambientali interne per minimizzare l’uso di energia elettrica per l’illuminazione; un impianto meccanico di ventilazione ad alta efficienza; impianti di distribuzione dell’acqua a flusso ridotto, per limitare i consumi, associati ad un impianto di raccolta dell’acqua piovana, immagazzinata in un serbatoio da 3.000 litri e successivamente riutilizzata per l’irrigazione degli spazi verdi del campus; un involucro ad elevate prestazioni realizzato con un isolamento rigido esterno a cappotto; diversi collettori solari e solar tubes per la massimizzazione dell’utilizzo di luce naturale all’interno degli ambienti. I consumi sono stati monitorati per un intero anno solare, da un team dell’ILFI che ha stimato un utilizzo di circa 24.934 kWh a fronte di una produzione di 56.811 kWh, consegnando pertanto alla rete elettrica circa 32.417 kWh.

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Cultura ecologica

Nel tentativo di portare in primo piano il tema della sostenibilità, i sistemi energetici della Stevens Library vengono mostrati all’utenza come un vero e proprio strumento formativo: il serbatoio di immagazzinamento dell’acqua piovana è direttamente accessibile dalla libreria e viene utilizzato come fonte primaria per l’irrigazione di un frutteto e degli spazi verdi che vengono curati e manutenuti dagli stessi studenti. I sistemi di gestione delle acque piovane e delle acque grigie sono visibili attraverso una finestra a libro vetrata, composta da sette diversi pannelli, dando la possibilità di utilizzare il sistema per scopi formativi: a questo scopo, alcuni disegni sul tema del ciclo dell’acqua e sulle disponibilità della risorsa potabile sono integrati sui singoli elementi vetrati.

All’interno degli ambienti altre informazioni sui temi energetici e ambientali, vengono fornite con l’ausilio di display e dell’infografica fornendo ai bambini, ai loro genitori e a tutti i visitatori, dati ed informazioni sul funzionamento degli impianti fotovoltaici, sui trends di utilizzo quotidiano dell’energia e sull’uso consapevole delle risorse.

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La struttura NZEB è composta da sette diverse aree di lavoro, due sale riunioni, due laboratori tecnologici, una sala conferenze, uffici e una biblioteca open space: la configurazione degli ambienti è totalmente flessibile grazie ad una pavimentazione e ad arredi modulari mobili che possono essere facilmente spostati al fine di rimodulare gli spazi secondo le mutabili esigenze.

Tutti gli ambienti dell’edificio contribuiscono indistintamente alla formazione di una cultura energetica, aiutando i giovani a riconoscere fin dalle minori età le buone e le cattive abitudini rispetto ai temi ecologici.

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Il centro sociale in tessuto e cemento costruito dalle donne cambogiane

Costruire insieme alla gente comune, alla popolazione in difficoltà, a chi si renda disponibile al co-working anche nel campo dell’edilizia si può, almeno secondo gli architetti dell’Orkidstudio e di StructureMode.

La prima è un’organizzazione umanitaria che si occupa di design e di architettura focalizzandosi in modo particolare sui benefici che si possono apportare alla vita dei bambini e delle comunità che vivono in condizioni di povertà e di profondo disagio fisico e sociale. Secondo Orkidstudio, infatti, nuove tecniche costruttive possono costituire la strada da perseguire per colmare il profondo divario che separa la nostra civiltà da quei popoli ancora impegnati a combattere contro la fame.

Structure Mode, invece, è una società di ingegneria che ha fatto della sperimentazione nel campo delle costruzioni la sua ragione di vita. Il campo d’azione di questa associazione varia dal ferro al cemento, dal legno al vetro. I materiali vengono di volta in volta declinati in modo tale da dare vita a prodotti innovativi e decisamente proiettati su un futuro in cui la tecnologia avanza, ma i costi diminuiscono.

ARCHITETTURA PER LE DONNE: UN CENTRO DI ACCOGLIENZA PER LE VITTIME DI VIOLENZA DOMESTICA

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Il centro sociale costruito dalle donne cambogiane

Il palcoscenico su cui le due organizzazioni si sono esibite, coinvolgendo nella “recita” anche la popolazione femminile locale è la Cambogia. Il tema? Costruire un centro sociale urbano nel cuore della città di Sihanoukville. Il materiale? Strano ma vero, il cemento.

L’edificio, infatti, è stato realizzato attraverso dei getti di calcestruzzo contenuti da una particolare cassaforma: uno stampo in tessuto leggero.

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Ad uno scheletro in legno sono stati fissati degli ampi teli in tessuto e, al loro interno, è stato rilasciato il getto di calcestruzzo. Una tecnica semplice nella realizzazione, ma altamente complessa nello studio della struttura che ne sarebbe derivata. Il compito di analizzare la costruzione è spettato agli ingegneri di Structure Mode, che si sono serviti di prove fisiche in laboratorio oltre che di appositi software al computer, come Oasys GSA Suite.

Gli schizzi tridimensionali e la collaborazione con un attivo team di sarte ha permesso di individuare la forma che avrebbe concesso la realizzazione dell’edificio progettato e di quantificare i tempi necessari all’edificazione, corrispondenti ad appena otto settimane.

Il nuovo centro comunitario sorge nel punto in cui si trovava il Bomnong L’Or, una struttura che, nel cuore di Sihanoukville, ha sempre fornito assistenza e sostegno alla popolazione locale, impegnandosi nell’alfabetizzazione dei bambini e nella definizione di spazi multiuso per gli adulti. Il sovraffollamento del centro, tuttavia, lo aveva reso un luogo non propriamente adatto allo svolgimento delle attività lavorative, oltre al fatto che le condizioni di illuminazione e di ventilazione risultavano poco efficienti.

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L’edificio costruito insieme alle donne cambogiane segue la tipologia delle palafitte, sistema costruttivo locale. Al posto del legno, però, la struttura è caratterizzata da cemento e tessuto. Utilizzare il legno, infatti, avrebbe precluso al progetto di rientrare nell’ambito della “sostenibilità”, in quanto il materiale, nella zona, proviene principalmente da disboscamento privo di controllo.

Il centro presenta le aule per l’insegnamento e l’apprendimento al piano superiore e una serie di spazi aperti dove i bambini, principali destinatari del progetto, hanno la possibilità di relazionarsi tra di loro e di dedicarsi ad attività ricreative. Al suo interno trovano spazio anche una sala computer, uffici amministrativi e locali di servizio.

L’orientamento della struttura è stato studiato per permetterle di sfruttare i venti stagionali provenienti dal Golfo della Thailandia. Le ampie coperture, invece, hanno come obiettivo quello di evitare il surriscaldamento degli ambienti a causa dell’intensa luce solare durante l’estate. Questa strategia rende l’edificio completamente passivo e rappresenta, nel panorama dell’architettura sostenibile, un esempio molto importante di costruzione di qualità a prezzi contenuti.

Uno dei meriti maggiori del progetto, la cui realizzazione si è conclusa nel settembre del 2015, è stato quello di mixare in un’unica soluzione tecniche costruttive tradizionali e materiali moderni. Si tratta di una vera e propria finestra aperta sul co-working, sulla collaborazione e sull’intenzione di creare insieme un posto migliore dove trascorrere il proprio tempo

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Sei containers per una comunità sostenibile. Pechino contro l’inquinamento

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Nel distretto di Shunyi, periferia di Pechino, un giardiniere dal nome Niu Jian, ha costruito una casa fatta con sei containers, nella speranza di creare una comunità verde, dove le persone possano condividere un progetto di vita sostenibile, in una città ormai altamente inquinata. Nel giugno del 2014 “The container home” prende vita ed è solo la prima parte del suo piano. 

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“The container home” un’installazione temporanea per istruire i visitatori e diffondere l’idea di una comunità condivisa, tramite visite organizzate e programmazione di workshop. Nel  2016, il suo programma prevede la costruzione di dieci unità familiari, 1000 mq di laboratorio a più piani. Nel 2017 Niu spera di vedere realizzato un complesso di 10.000 mq a più piani per ospitare 100 famiglie, con la possibilità di vendere o affittare le unità. Niu Jian vede il suo lavoro come un tentativo per affrontare il saccheggio delle risorse naturali causato dall’industrializzazione, che ha distrutto, in molte città del mondo, l’equilibrio tra natura ed esseri umani. 

I containers per il progetto 

Il progetto è sostenuto da Sustainable Design Institute of Arts and Science Research Center, della prestigiosa Università di Tsinghua e dal Participatory Community Development Center. Le prerogative di base sono: tempi di costruzione brevi, facilità di montaggio, efficienza energetica e sostenibilità. Gli architetti incaricati sono SE Ding, Wang Wei, KONG Lingchen mentre il team di disegno sostenibile è formato da vari architetti e professori: Liu Xin, HU Yechang, CHEN Weiran, SU Yurong, XU Zhetong, Yang Xu, TU Wanrong.

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Il progetto si compone di sei containers di 20 piedi (6.055 m x 2.435 m x 2.79 m), prefabbricati con porte e finestre, isolamento e alimentatore elettrico. Ogni container rappresenta un modulo base e la combinazione di più moduli dà vita a diverse varianti topologiche. In questo progetto specifico, l’edificio prevede 5 moduli verticali e uno orizzontale, che delimita lo spazio di una corte. La casa comprende tre camere da letto, un ripostiglio, uno spazio/laboratorio con stampante 3D e vari strumenti di taglio, una zona pranzo, la cucina e un bagno. I containers sono stati trasportati sul sito e, in tempi brevissimi, sollevati e installati; in seguito i moduli sono stati giuntati tra di loro e impermeabilizzati, e infine, sono state montate le scale e le porte interne. I sei containers sono costati 180.000 yuan, il trasporto e l’installazione 38.000 yuan, per un totale di 218.000 yuan (31.000 euro).

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Il processo costruttivo è semplice e rapido, non necessita di elevata manodopera o risorse materiali, è a basso impatto acustico e ambientale. Il proprietario si è incaricato della progettazione interna e degli impianti secondo la filosofia del DIY (Do it Yourself).

Gli aspetti sostenibili del progetto

Il progetto adotta una serie di espedienti per ridurre le emissioni e gli sprechi: raccolta delle acque reflue, trattamento e riutilizzo per generare il sistema di acqua riciclata; scarti di cucina, raccolta escrementi, trattamento e riutilizzo per alimentare il sistema di produzione di biogas; pannello solare da 600 watt e turbina eolica da 300 watt per alimentare le luci LED.

Niu Jian e la sua famiglia hanno installato personalmente tubi e lampade LED per la crescita delle piante in cucina. Possono mangiare le verdure che coltivano loro stessi grazie alla parete verde e al giardino di colture biologiche sul tetto. Gli scarti come bucce d’arancia, gusci d’uovo, foglie ecc. vengono polverizzati attraverso un tritarifiuti posto sotto il lavello e confluiscono in una piccola cisterna per il riciclaggio. In bagno, infatti, sono presenti quattro cisterne di plastica. Un serbatoio contiene le acque grigie utilizzate per il risciacquo del wc; un altro raccoglie l’acqua piovana utile per l’irrigazione; gli altri due sono collegati ad apparecchiature per la produzione di gas metano da liquami trattati e rifiuti di cucina. Il gas viene utilizzato per la cottura, mentre i residui solidi e liquidi vengono utilizzati come fertilizzante per le coltivazioni. 

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Niu e la sua famiglia vivranno per due anni in questa casa per sperimentare questo nuovo stile di vita, per capire cosa migliorare nel layout funzionale, nel sistema energetico o per quanto riguarda la manutenzione degli impianti per il verde, al fine di stabilire un insieme di soluzioni costruttive ecosostenibili per  un futuro sviluppo partecipativo comunitario. Liu Xin, professore al Sustainable Design Centre dell’Università di Tsinghua, afferma che nonostante molte persone in Cina abbiano cercato di costruire case ecologiche alimentate da vento e metano, tuttavia il progetto di Niu, è il più coraggioso perché combina, in un unico organismo, trattamento delle acque reflue, roof garden, coltivazione indoor, energia solare ed eolica ecc.

I containers, tutti dipinti di bianco, si distinguono dagli edifici circostanti. Un orto davanti casa e le pareti coperte di piante color pastello. È questo lo scenario, forse un po’ pittoresco, che Niu sceglie, per promuovere l’armonia tra la natura e gli esseri umani.

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Donne tessitrici del Marocco: un progetto per valorizzare il lavoro artigiano

Sul palco del padiglione dell’Angola, ci sono Pietro Maffio e Fawzia Talout Meknassi, premio Nobel per la pace 2015, responsabile del progetto: “Le donne Tessitrici del Marocco”. 

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Il progetto di Fawzia Talout Meknassi – nato prima del bando Energy Art and Sustainability for Africa lanciato da Expo Milano 2015 ed Eni, volto a valorizzare il continente africano attraverso conferenze, talk show, workshop e spettacoli –  cerca di evidenziare il legame tra l’attività artigiana delle donne marocchine e lo sviluppo ecosostenibile del pianeta. Lo fa principalmente attraverso l’analisi della tradizione di tessitura in Marocco – che potrebbe essere fonte di ispirazione e aiuto per gli altri paesi africani – e la conoscenza della bellezza dei tessuti prodotti in Marocco.

La tradizione della tessitura in Marocco

La tessitura fa parte di un essere vivente dinamico che genera un prodotto autentico e permette di mantenere intere popolazioni. Generazioni di donne si sono susseguite per creare diversi tipi di tessuto, dai più rustici ai più fini; quello che le accomuna è il rito e il rispetto con il quale queste donne si approcciano a questa arte. Ogni tessuto prodotto è unico ed è quasi impossibile riprodurlo; le stesse donne per il rispetto verso il loro lavoro si rifiutano di completare prodotti (abiti, tappeti o tende) che siano copie di altri già presenti sul mercato.

Come l’attività in sé, anche lo strumento utilizzato principalmente dalle donne artigiane del Marocco, il telaio, viene utilizzato e trattato con grande rispetto. Attorno a questo organo vi è un alone di riguardo e di venerazione tanto che il corpo della donna artigiana, prima della tessitura, deve essere purificato. Per la donna il telaio ha una personalità, non deve essere attraversato in segno di rispetto, e il lavoro che le permette di realizzare, tramandato di generazione in generazione, è sacro, va oltre alla sola tessitura e oltre la sua vita.

Il progetto di Talout Meknassi sulle tessitrici marocchine

Con Il libro “Il segreto delle donne artigiane del Marocco”, la Meknassi cerca di trasmettere l’energia del rito della tessitura e l’atteggiamento con il quale queste donne si approcciano a quest’arte utilizzando risorse che il territorio le mette a disposizione, per il telaio (semplici rami o pezzi di legno che gli alberi hanno messo loro a disposizione e non da legno trattato o lavorato) o per la stoffa (lana di pecora che è cresciuta mangiando erba irrigata naturalmente da acqua di fiume).

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La tessitura è la storia delle donne fatta dalle donne, nel tempo delle donne. Le tessitrici tramandano questa cultura e queste tradizioni per mantenere, nelle loro pratiche quotidiane, un equilibrio ambientale (che è anche il tema di Expo Milano 2015) in armonia con la Terra e con il loro territorio, apprezzandone la generosità e il legame mistico e spirituale che si è creato. Le donne, attraverso il loro rituale e la loro arte, riescono a coniugare la loro attività alle risorse territoriali trasmettendo un legame strategico che riporta ad un fattore di sviluppo sostenibile.

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Il progetto della Meknassi, presenta tre pilastri fondamentali:

  1. il primo, la base, è l’approccio a questa arte che varia a seconda della localizzazione geografica e della tipologia del lavoro che la donna artigiana compie. La donna che lavora con il telaio, come la donna che cucina o che si occupa della casa, canta e danza come se stesse seguendo un rito. Il suo lavoro in questo modo si impregna di arte, quella ricercata, quella che diventerà patrimonio universale e conferirà all’umanità la stessa gioia che prova un’artigiana a svolgere il suo lavoro.
  2. il secondo, sono gli atelier di iniziazione alla tessitura e spiegano il legame con il cibo. I prodotti che restituisce la terra del Marocco, sono naturali e saporiti; la loro semplicità e la loro genuinità li contraddistingue in tutto il mondo: il pane, l’olio di oliva, il miele, l’olio di argan.
  3. il terzo, in costruzione, e si effettua giorno per giorno, è la conferenza e il dibattito per mantenere e valorizzare le nuove generazioni. Troppo spesso gli europei si lamentano dell’immigrazione nei loro paesi da parte del popolo africano, ma questi non si rendono conto che un africano emigra con molta dignità e con l’aspettativa di migliorare la propria vita.

La donna artigiana lavora principalmente per un ritorno economico ma le giovani generazioni sognano un futuro e uno sviluppo migliore e si sentono costretti ad emigrare abbandonando il proprio territorio e la propria cultura. Le donne tessitrici compongono il 90% dei tre milioni di artigiani a reddito attivo in Marocco, e con i proventi di questi tre milioni di lavoratori, vivono oltre dieci milioni di persone. La donna artigiana è un esempio da seguire perché trasmette al mondo i suoi prodotti e la sua arte costituendo parte attiva nell’economia e nello sviluppo ecosostenibile del territorio africano.

Il progetto di Fawzia Talout Meknassi, vuole farsi carico oggi di alcune problematiche da risolvere legate ad aspetti della tradizione e delle esigenze di mercato. Troppo spesso ancora oggi, i prodotti di queste attività sono il risultato di uno sfruttamento del lavoro e del reddito delle donne artigiane. Un altro problema è dato dalla dimensione dei prodotti di queste attività artigianali. I grandi tappeti di una volta, oggi, sono difficili da collocare poiché le dimensioni delle abitazioni degli odierni nuclei familiari sono minori. L’associazione cerca quindi di formare le donne artigiane alla produzione di manufatti più piccoli che possano essere commercializzati più facilmente, senza lasciare in secondo piano l’autenticità del prodotto.

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Infine, ma non meno importante, bisogna trasmettere la tradizione e la cultura di queste tessitrici, questo know how alle nuove generazioni e ai figli di queste artigiane, come è successo fino ad oggi, insegnare l’importanza di quest’attività che ha reso possibile l’avanzamento culturale e il mantenimento di questo equilibrio ecologico posto alla base di un’economia sostenibile.

Spesso si pensa che uno sviluppo sostenibile non debba essere necessariamente legato alla presenza di una forte cultura di base. Il lavoro delle donne artigiane del Marocco invece ci insegna che è proprio la cultura ad essere alla base dello sviluppo sostenibile della loro società.

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L’orfanotrofio sostenibile in Kenya dal cuore tedesco

Questa storia inizia con un giovane tedesco, Torsten Kremser, che, insoddisfatto della sua vita nonostante un lavoro sicuro e ben pagato, parte dalla Germania e comincia a viaggiare in Asia e soprattutto in Africa.

La seconda protagonista della vicenda è una donna africana di sessantadue anni, Mama Dolphine, il cui dolore per la perdita di due dei suoi figli nello stesso anno la spinge a riprendere in mano la sua vita. Si convince che dalle tragedie può nascere qualcosa di buono e che la sua esistenza ha ancora un senso, così progetta di creare un luogo accogliente per i numerosi orfani di Kisian, la città in cui vive, in Kenya.

ARCHITETTURA IN AFRICA: UN ORFANOTROFIO IN MALI

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COME È NATO KORANDO EDUCATIONAL CENTER

Torsten e Dolphine s’incontrano casualmente; lui rimane talmente commosso e colpito dalla sua storia che decide di aiutarla con la realizzazione dell’orfanotrofio, una struttura ecosostenibile capace di educare e offrire vitto e alloggio ai bambini orfani di genitori vittime di AIDS.

Si attiva subito lanciando una prima campagna di raccolta fondi con la quale ricava settecento euro che servono per costruire le prime cupole a basso costo, mattoncino su mattoncino, fornendo ai bambini i primi alloggi e una classe con lavagna e computer.

Nasce così il Korando Educational Center.

Ma servono più fondi per completare il progetto, perciò il giovane tedesco dal cuore grande fonda Cheap Impact, un’organizzazione umanitaria per finanziare questo centro educativo che strizza l’occhio all’ambiente.

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IL PROGETTO DELL’ORFANOTROFIO SOSTENIBILE

L’orfanotrofio s’ispira a un progetto di Steve Areen in Thailandia e si compone di strutture a quattro cupole, costruite da otto volontari alla volta, che contengono camere, bagni e una zona centrale usata come soggiorno e area sociale.

L’acqua è riscaldata tramite pannelli fotovoltaici che alimentano anche il sistema d’illuminazione a led. Le acque grigie dei bagni e della cucina irrigano il bosco e grandi lucernari favoriscono la ventilazione e un’ottima illuminazione naturale. Si prevede inoltre di costruire un digestore di biogas per trasformare il letame delle mucche e dei maiali in combustibile per cucinare.

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I bambini e i ragazzi ospitati oggi nel Korando Educational Center sono 205 e tutti frequentano la scuola, fra loro vi sono anche piccoli maltrattati e abusati dai loro parenti ai quali il centro offre un rifugio sicuro.

Dice Torsten: “Abbiamo dato al centro una struttura unica. Lo scopo è attirare l’attenzione del mondo e ricevere supporto per rendere questo spazio sempre più ecosostenibile e farlo crescere per ospitare sempre più bambini vittime di violenze”.

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Un vecchio fienile ristrutturato diventa la casa di una coppia di architetti

A Hobart, in Tasmania, due giovani progettisti hanno compiuto il loro piccolo miracolo, trasformando un vecchio fienile in un’accogliente dimora. Alex Nielsen e Liz Walsh, dopo gli studi presso l’Università della Tasmania in Progettazione Ambientale e Architettura e aver viaggiato in Europa e Marocco per formarsi come architetti, hanno deciso di iniziare in questa impresa. Sono rientrati in patria e, assunti presso famosi studi di architettura a Hobart (Liz è a Cumulus Studio, Alex al Circa Morris Nunn Architects ) hanno coltivato il loro personale sogno: ristrutturare un vecchio edificio e tramutarlo nella loro casa.

LA RISTRUTTURAZIONE DI UN FIENILE IN PIETRA E ACCIAIO

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Liz e Alex hanno acquistato il fienile già l’anno dopo la laurea. La sfida era rendere funzionale alla vita di una giovane coppia un edificio vernacolare di 9×5 metri, nato grazie all’utilizzo di materiali locali e tecniche che sono state tramandate di generazione in generazione.

L’esperienza vissuta all’estero ha permesso ai due architetti di apprezzare lo stile di vita di città come Copenhagen e Cracovia, che hanno puntato sulla valorizzazione delle case in città e della mobilità pedonale. Tornando a Horbart, sulla strada che percorrevano ogni mattina, si sono accorti della presenza dell’edificio e hanno cominciato a fantasticare su come sarebbe potuto essere dopo il loro intervento. 

Dopo numerosi schizzi e tanti pensieri, hanno fatto un’offerta, riuscendo a ottenere il piccolo fabbricato nel 2012 e ad iniziare i lavori di riqualificazione all’inizio del 2013.

A dispetto delle loro previsioni, il fienile in arenaria era in buone condizioni strutturali, pur essendo risalente al 1829. La destinazione era sempre rimasta ricovero animali, cristallizzata negli oggetti e negli spazi per anni. Nei 62mq a disposizione, sono stati sapientemente riutilizzati la mangiatoia dei cavalli, lasciata in una posizione baricentrica, dove era posizionata in origine, e trasformata in lavatoio per il bagno, ovviamente dotato di tutti i collegamenti idraulici. Internamente il tetto è stato conservato, mantenendo la suddivisione ritmica dei travetti, mentre all’esterno è stato predisposto un manto dichiaratamente a contrasto. La porta dell’ingresso principale è originale, mentre le finestre sono state sostituite con infissi ad unica anta.

Il vero fascino dell’edificio sta in questi dettagli, nella ruvida percezione del suo passato valorizzato dagli inserti progettati da Liz e Alex.

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Dal punto di vista finanziario, il prestito concesso dalla banca consentiva solo la realizzazione dei lavori a piano terra, mentre non dava garanzie per il completamento del soppalco, il granaio, con un tetto spiovente a 45°. Per questo, dopo aver ultimato i primi lavori, la coppia si è trasferita nel fienile, a fine 2013, procedendo un po’ più a rilento con il piano superiore a soppalco, in cui erano previsti la camera da letto e studio.

Il progetto, ora completamente realizzato, nasce dalla passione di due giovani talenti (sotto i 30 anni) che hanno creduto nel loro sogno e, non senza difficoltà, hanno messo a frutto le loro capacità, costruendo un nido per il loro futuro. La loro casa.

Il progetto è stato nominato per il premio dell’Australian Institute of Architects, nella categoria “patrimonio e piccoli progetti”.

Il progetto e la loro storia ti piace? Coraggio e fiducia nel futuro! 

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Autocostruzione di una scuola in Cambogia

La scuola secondaria situata nel villaggio di Roong in Cambogia, realizzata per merito di Architetti senza Frontiere (ASF Italia Onlus), ha meritato la medaglia d’argento del Premio Internazionale Architettura Sostenibile 2015, ideato e promosso dall’azienda Fassa Bortolo insieme al Dipartimento di Architettura dall’Università di Ferrara. Il contesto in cui sorge il progetto è quello di un villaggio povero nella provincia di Takeo, a 50km a sud di Phnom Penh, la capitale della Cambogia. Si tratta di un’area che vive una forte trasformazione economica e che vede un massiccio spostamento della popolazione nei nuovi poli industriali dislocati nelle campagne. In questa zona, l’associazione onlus Missione Possibile, aveva già realizzato una scuola primaria, per cui nel 2012 affida ad Architetti Senza Frontiere la missione di progettare una scuola secondaria.

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Il team di architetti concepisce allora un progetto che si basa su principi ecosostenibili, utilizza materiali e tecniche costruttive locali e impiega manodopera non specializzata, secondo la filosofia dell’autocostruzione in architettura.

IL PROGETTO DELLA SCUOLA DI ROONG

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Il progetto prevede una prima fase (ultimata), in cui si realizzano sei aule e due uffici, e una seconda dove saranno costruiti due laboratori, alloggi e servizi per insegnanti e volontari.

Da un punto di vista tipologico, l’edificio di presenta come un unico corpo in linea di dimensioni 62,8m x 10,2m. Da un lato si sviluppano le aule e dall’altro un lungo corridoio porticato funge da spazio di distribuzione ma non solo. Infatti, essendo ampio 3m e alto 5m, il corridoio si caratterizza luogo di condivisione e socializzazione, in un’ottica di trasformazione delle classiche gerarchie spaziali dell’edilizia scolastica, secondo le indicazioni della pedagogia moderna. Inoltre, non potendo sfruttare il cortile esterno durante i giorni di pioggia o di caldo torrido, il porticato diventa il luogo per l’incontro e il gioco.

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Nuove connessioni spaziali

Gli architetti ripensano il rapporto tra aule e corridoio non solo a livello planimetrico ma anche spaziale. Le pareti delle classi vengono smaterializzate  attraverso l’introduzione di grandi pannellature fisse in bambù. Ogni pannello, di dimensioni 1,7m x 3,6m, si compone di una serie di canne di bambù, a ritmo variabile. I culmi, infatti, sono più vicini tra loro ad altezza occhi rispetto alla posizione da seduto, così da evitare distrazioni visive.

Anche il rapporto tra portico e cortile viene progettato con un’idea ben precisa. L’intento è avere un diaframma permeabile con andamento variabile, che consenta una percezione visiva maggiore nella zona prospiciente le aree comuni, ovvero due piazze aperte che interrompono la successione delle aule. Si tratta di una sequenza di setti murari con un passo strutturale costante pari a 2,3m.

Il portico con le sue aperture e il diaframma di bambù sono anche gli elementi che maggiormente caratterizzano l’estetica dell’intero organismo.

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I materiali e le tecniche

I materiali scelti sono per il 75% locali, mentre l’uso di cemento e ferro è relegato solo alle fondazioni. Terra cruda e bambù sono utilizzati secondo tecnologie costruttive industrializzate, al fine di poter adoperare manodopera non specializzata e ottenere una maggiore economicità di tempo e di risorse.

I mattoni sono, infatti, facilmente replicabili; attraverso una cassaforma in ferro è possibile realizzarne 16 di dimensioni 30x15x10 cm, con un solo getto. I blocchi sono allettati con malta cementizia e irrigiditi  da ferri di 8 mm connessi alle fondazioni. Queste ultime presentano una maglia di strisce di bambù al posto della rete elettrosaldata, annegata all’interno del massetto e appoggiata su un foglio di poliuretano che la separa dal suolo.

La copertura è costituita da una struttura portante con travi di bambù, lunghe circa 11 metri, su cui poggia una lastra ondulata in fibrocemento spessa 12 mm. All’interno, il tetto presenta un rivestimento di foglie di palma intrecciate. Le 28 travi poggiano su tre punti con luce variabile (6,6m per le aule e 3,3m per il corridoio). Ogni trave è formata da tre culmi di bambù, connessi tra loro con barre filettate. Le travi si collegano con quelle di bordo tramite un sistema di selle in ferro.

Per quanto riguarda gli intonaci, all’interno si sceglie un intonaco di calce, mentre per l’esterno si opta per un intonaco addizionato con cemento e pigmenti colorati per aumentare la capacità di resistenza all’effetto della pioggia battente.

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Ventilazione e comfort termico

La ventilazione naturale verticale è favorita dall’altezza di colmo di 5m, che permette la fuoriuscita dell’aria calda; mentre la ventilazione orizzontale è garantita dai diaframmi permeabili in bambù. Il corridoio/portico rappresenta una zona di filtro microclimatico; i setti del portico, infatti, proteggono le aule dal sole e dalla pioggia, anche se potrebbero crearsi dei piccoli problemi in caso di piogge di stravento.

Per quanto riguarda il comfort termico, il tetto presenta un’unica grande falda orientata a nord per diminuire l’angolo di incidenza dei raggi del sole.

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La realizzazione della scuola è costata circa 64.000 euro, compresi servizi igienici e pozzo. Alla costruzione hanno partecipato a turno diverse squadre di operai non specializzati, che hanno sfruttato il cantiere come una possibilità per apprendere l’uso dei materiali locali e sperimentare nuove tecniche costruttive.

Consegnare una scuola è un regalo per tutta la comunità, ma insegnare a costruirla è un dono anche per le comunità future.

Questo è uno dei tanti aspetti della pratica dell’autocostruzione.

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Architettura swahili: la casa nella foresta che non abbatte gli alberi

caption: © Alberto Heras

In un’ottica fortemente rispettosa della natura nasce il progetto Red Pepper House, una casa immersa nella foresta realizzata dallo studio di architettura spagnolo URKO Sanchez Architects. È un esempio di architettura organica, che dialoga con la storia, la tradizionale architettura swahili e la natura dell’isola di Lamu, in Africa orientale.

In copertina: foto © Alberto Heras

La CASA per vacanze NASCOSTa NDELLA FORESTA

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L’architetto ha il compito di costruire una residenza privata (trasformata poi in hotel di lusso), ma è obbligato a rispettare delle richieste specifiche, dettate dal committente. Lo studio del sito, la necessità di soddisfare le richieste del cliente e il rispetto per l’ambiente, danno vita ad un progetto originale, un giusto mix tra tradizione architettonica swahili e modernità.

Il cliente, Fernando Torres, appassionato di architettura e grande amante della natura, desidera una proprietà che deve:

  • avere una dépendance privata;

  • essere su un unico livello;

  • avere spazi privati e zone più ampie di condivisione;

  • avere un impatto minimo sull’ambiente;

  • essere realizzato secondo tecniche e materiali locali.

La forma unica del progetto, deriva dalla volontà di salvaguardare la vegetazione presente e, quindi, di costruire solo nelle zone non occupate dagli alberi. Questa decisione ha permesso di avere un’alternanza di spazi aperti e chiusi, soleggiati e ombreggiati, tenuti uniti da una copertura continua.

Il progetto si sviluppa in lunghezza su un’area totale di 1500 metri quadri.

caption: © URKO Sanchez Architects

caption: © Alberto Heras

caption: © URKO Sanchez Architectscaption: © URKO Sanchez Architects

Le tecniche e i materiali locali

Il senso dello spazio, le tecniche costruttive e i materiali appartengono alla cultura swahili. La copertura è realizzata mediante l’utilizzo di un telaio in pali di legno di mangrovie, con sovrastante manto in makuti. Queste tipiche “tegole” keniote sono realizzate con foglie di palma di cocco intrecciate e legate tra di loro. Questo tetto tradizionale è utilizzato sia per coprire gli ambienti chiusi che la zona giorno, un enorme patio che ruota attorno a una grande seduta circolare in pietra, luogo progettato come spazio di condivisione e interazione.

Gli unici ambienti chiusi della casa sono le camere da letto, realizzate in pietra corallina e di forma cubica, sul modello delle case sparse presenti sulla costa di Lamu.

 caption: © URKO Sanchez Architects

 caption: © URKO Sanchez Architects

caption: © URKO Sanchez Architects

Accorgimenti ecofriendly 

 Al fine di garantire basse emissioni di carbonio e dato il clima soleggiato dell’isola, il progetto prevede due diversi dispositivi di raccolta di energia solare. Lo scaldacqua solare capta l’energia prodotta dai raggi del sole e la sfrutta per riscaldare l’acqua calda sanitaria, durante tutto il giorno. Le cellule fotovoltaiche garantiscono, invece, la produzione di energia elettrica. L’acqua giunge ai rubinetti e alle docce tramite una torre piezometrica, che sfrutta la gravità e funziona senza bisogno di un sistema di pompaggio.

Le finestre convogliano la brezza marina e i grandi spazi aperti assicurano la ventilazione trasversale. Il caratteristico tetto makuti protegge dal sole e permette di mantenere l’ambiente sottostante gradevolmente fresco nonostante le alte temperature esterne. La stessa funzione isolante è assolta dai muri in pietra corallina, tipici dell’architettura swahili.

Un albergo di lusso, ma con l’aspetto di una villa privata, che colpisce per la sua semplicità e adeguatezza.

caption: © Stevie Mann

caption: © URKO Sanchez Architects

caption: © Stevie Mann

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Lo spazio incompiuto diventa ufficio green: nuove frontiere del riuso

Lo Studio 120, collettivo di architetti vietnamiti, ha trasformato una casa mai completata, in un quartiere della città a sud-ovest di Hanoi, in uno spazio di vita e di lavoro. Su richiesta della società di consulenza e design Mein Garten, i progettisti hanno riprogettato l’edificio ponendo l’attenzione sull’efficienza energetica e sul riuso di materiali di recupero, in modo da ridurre sensibilmente i costi della ristrutturazione.

La committenza è una società che si occupa di paesaggio e di orticoltura: per questo l’edificio  aveva l’obiettivo di diventare il manifesto di una filosofia aziendale, dando spazio alla natura.

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Il progetto colpisce per l’abilità con cui sono stati creati spazi ibridi tra interno ed esterno e per aver riportato il verde in un quartiere densamente costruito.

L’ufficio mira a introdurre il concetto di riuso in ambito urbano, aprendo nuove prospettive all’incompiuto. Molte zone della città sono il prodotto dalla rapida espansione urbana che la crisi immobiliare e finanziaria ha tramutato in quartieri “fantasma”; qui come in altre parti del mondo, una pianificazione urbanistica erosiva e sregolata ha causato problemi sociali in termini di sicurezza e vivibilità. Invece di costruire ancora, ora si decide di riutilizzare le strutture grezze abbandonate, rivitalizzando zone che rischierebbero di essere dimenticate. Oltre ad essere un ufficio di rappresentanza, fornito di attrezzature e spazi adeguati, l’edificio ospita anche uno spazio per la progettazione e il lavoro creativo.

Parti delle pareti del vecchio manufatto sono state abbattute per evitare filtri tra interno ed esterno, costituendo percorsi che assomigliano a quelli di un giardino: acqua, terrazze, verande e camminamenti. Non sono stati trascurati nemmeno gli spazi per il relax, dove i dipendenti possano “ricaricare le batterie” per essere poi più attivi in ambito lavorativo.

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Lo studio 120 ha pensato questo ambiente non solo come luogo di lavoro, ma come vero e proprio luogo di vita, dove la natura aiuta gli abitanti ad avere un comfort maggiore, gli spazi stimolino continuamente l’interazione tra le persone, e tra i lavoratori sia incentivata la produttività e allontanata la noia.

I progettisti hanno scelto pannelli di legno in facciata, a mo’ di corazza, per ridurre l’impatto della pioggia sulle pareti bianche intonacate e su cui far crescere piante rampicanti. Il verde diventa un elemento della costruzione, come il legno e il mattone, permettendo una metamorfosi continua dell’edificio che ogni giorno assume diversi connotati. Il resto dei materiali usati, tentando di favorire più possibile la ventilazione naturale e l’ingresso di luce solare, sono stati scelti di riuso per ridurre, oltre ai costi di realizzo, anche gli sprechi nel corso della vita dell’edificio.

Quanti edifici abbandonati ci sono nelle nostre città? È pensabile dare loro una seconda possibilità?

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Tree Church: la chiesa vegetale è fatta di piante

Avete mai pensato ad un edificio fatto totalmente da piante? Esiste, non è una semplice capanna rudimentale, e si trova in Nuova Zelanda, una nazione in cui  la sensibilità green è sempre stata molto diffusa e radicata nella coscienza della popolazione. L’inusuale edificio in questione è una chiesa fatta di alberi e piante rampicanti, si trova a Ohaupo, al centro di un parco, ed è stata ribattezzata non a caso Tree Church.

OPERE VERDI: IL TUNNEL VEGETALE PER INNAMORATI

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La Tree Church, la chiesa vegetale, è interamente costituita da vegetazione che si sviluppa intorno ad una struttura in metallo, progettata a mo’ di guida per rami e foglie. Questi si estendono e sviluppano secondo le superfici predefinite assumendo l’aspetto e la funzione di muri, copertura e passaggi.

Sono serviti ben quattro anni perché le piante crescessero e la coprissero completamente! La eco chiesa, la cui realizzazione é stata finanziata dall’imprenditore locale Barry Cox, è subito diventata meta di pellegrinaggio per fedeli e curiosi provenienti da tutti i paesi del Mondo, tanto che alcuni l’hanno già ribattezzata come la Lourdes dell’eco-sostenibilità. Forse un confronto po’ azzardato ma comunque molto suggestivo. Può ospitare fino a 100 fedeli ed è stata pensata da Cox durante i suoi numerosi viaggi in cui diverse sono state le chiese da lui visitate.  Il parco, che può essere visitato o affittato per cerimonie ed eventi, comprende anche un labirinto, splendidi giardini e una tensostruttura.

Per noi amanti dell’architettura green rappresenta invece un riuscito esempio di come sia possibile costruire edifici rispettando l’ambiente circostante e privilegiando “materiali” naturali. Al momento la chiesa vegetale resta un esempio unico al mondo, ma visto il successo che sta riscuotendo ci auguriamo che molto presto “edifici” simili vengano realizzati in tutto il mondo!

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Miglior padiglione dell’Expo 2015: il Regno Unito vince il premio della giuria

IN/ARCH, ANCE, CNAPPC, Federcostruzioni e OICE sotto il coordinamento di PPAN hanno lanciato il premio per “Le Architetture dei Padiglioni di Expo Milano 2015”, articolato in premio della giuria e premio del pubblico.

Sul sito è possibile votare il proprio padiglione preferito con un semplice click, tempo fino al 20 Ottobre 2015, l’esito sarà annunciato entro il 31 Ottobre. Ad oggi sembra essere in testa il Padiglione Italia progettato dallo studio Nemesi.

LA STORIA DELL’EXPO

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IL PREMIO DELLA GIURIA AL PADIGLIONE UK

Il premio della giuria, composta da Adolfo Guzzini (Presidente IN/ARCH), Claudio De Albertis (Presidente ANCE), Leopoldo Freyrie (Presidente CNAPPC), Rodolfo Girardi (Presidente Federcostruzioni), Alfredo Ingletti (Vice Presidente OICE), Gabriele Del Mese (Fondatore Arup Italia), Alessandro Cambi (SCAPE-Vincitore del Premio CNAPPC “Giovane Talento dell’Architettura Italiana 2014”) e Maria Claudia Clemente (Labics), è stato svelato il 29 settembre ed è risultato vincitore il padiglione del Regno Unito, ritenuto il più attinente al tema di Expo 2015, sia per l’interdisciplinarietà che per il risultato architettonico. Menzioni di onore sono state assegnate ai Padiglioni del Brasile, Cile e Marocco, mentre i Cluster, fuori concorso, sono stati segnalati in quanto hanno dato possibilità anche ai Paesi meno abbienti di partecipare ad una esposizione così importante.

Ma quali sono stati i punti di forza del Padiglione britannico? Scopriamolo insieme

Padiglione UK: un grande alveare

Progettato dall’artista Wolfgang Buttress insieme a BDP e costruito da Stage One e Rise, “BE HIVE” il padiglione britannico per Expo Milano 2015 si ispira alla vita delle api, tema peraltro ricorrente anche in altri spazi espositivi, ad esempio nel padiglione della Germania

Perché le api sono un tema così ricorrente? Questi piccoli insetti svolgono un ruolo fondamentale nell’ecosistema in quanto impollinatori, permettono alle essenze arboree e alle erbe di riprodursi, pertanto giocano un ruolo chiave nella produzione globale di cibo. Inoltre, un aspetto interessante è il modo in cui collaborano tra di loro, ed è questo un altro tema ripreso più volte in Expo, l’importanza della collaborazione, ognuno di noi nel suo piccolo deve impegnarsi per il pianeta, solo così potremo rispondere alle grandi sfide mondiali a livello energetico ed alimentare.

Nel caso UK, è l’intero padiglione, sia nell’allestimento che nell’architettura, ad ispirarsi alla vita ed al mondo di questi piccoli insetti. Il visitatore si trova a vivere un’esperienza sensoriale con gli occhi di un’ape: si accede attraverso un percorso che ricorda un frutteto, con pareti microforate attraverso le quali, avvicinando gli occhi ai fori, sono visibili dei mini filmati che spiegano il lavoro delle api e la loro importanza a livello ambientale.

Si passa poi in un prato fiorito, dalle forme volutamente esagonali, in cui l’erba e le piante sono all’altezza della visuale umana, infine si giunge al grande alveare costituito da una struttura in acciaio a traliccio sorretta da pilastri.

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Salendo ed accedendo all’interno di questa struttura, ci si ritrova in un ambiente suggestivo. Il grande alveare è infatti collegato con un vero alveare monitorato dalla Nottingham Trent University, di notte il movimento delle api viene utilizzato per illuminare il padiglione. Il risultato è un fantastico gioco di luci che si accendono e si spengo a seconda della quantità di moto registrata a Nottingham.

Inoltre nel piano inferiore è possibile ascoltare il rumore di queste api grazie ad un allestimento composto da colonnine nelle quali si deve porre un bastoncino e tenerlo con la bocca, le vibrazioni si trasmettono così dal bastoncino alla bocca e permettono di sentire l’attività delle api monitorate in Gran Bretagna. 

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Un aspetto notevole nell’architettura del padiglione è la possibilità di essere smontato e poter essere rimontato altrove una volta che l’Esposizione Universale del 2015 sarà finita.

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Un centro di accoglienza sostenibile per le donne vittime di violenza

Ci troviamo in Tanzania e precisamente a Moshi, nella regione del Kilimanjaro, tristemente famosa per i numerosi casi di violenza sulle donne che, purtroppo, non hanno gli strumenti giuridici e culturali per opporsi a questo stato di cose e non sono abbastanza tutelate dalla legge.

Qui opera l’organizzazione Kilimanjaro Women Information Exchange and Consultancy Organization (KWIECO), fondata nel 1987 per offrire un servizio di consulenza alle donne bisognose di risposte su questioni legali, economiche, sociali e di salute.

E’ proprio in questo contesto che, grazie al supporto della ONG Ukumbi e allo stanziamento di fondi del Ministero degli Affari Esteri finlandese, KWIECO ha affidato allo studio di architettura Hollmèn Reuter Sandman Architects la progettazione di una struttura comunitaria, un centro di accoglienza sostenibile per le donne che hanno subito violenze domestiche e hanno il diritto di vivere e studiare insieme ai propri bambini.

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IL PROGETTO DEL CENTRO DI ACCOGLIENZA

La prima fase del progetto si è conclusa a maggio 2015 con il completamento di Shelter House, la parte dedicata agli alloggi; per la seconda fase, cioè la realizzazione di una scuola adiacente, Ukumbi e KWIECO stanno cercando di raccogliere fondi.

L’abitazione ecosostenibile abbraccia tre cortili esterni che favoriscono l’illuminazione naturale e la ventilazione degli ambienti. Le pareti, dentro cui sono inserite bottiglie di vetro attraverso le quali permea la luce naturale creando particolari effetti, sono ricavate dalla trasformazione dei rifiuti in materiali da costruzione. Tutti i passaggi sono coperti da portici realizzati in metallo, mentre le coperture sono rivestite con pannelli solari e fotovoltaici che forniscono acqua calda ed energia pulita a ogni abitazione.

I materiali sono stati reperiti sul posto, si sono scelti colori brillanti ed è stata rispettata la cultura locale per rendere il centro di accoglienza una casa allegra e confortevole, capace di ospitare venti donne con i loro bambini in modo sicuro, oltre agli uffici.

Si tratta di un progetto partecipato, che ha coinvolto le donne che hanno collaborato con gli architetti, aiutandoli a realizzare una casa in grado di soddifare le loro necessità e aumentare il loro senso di appartenenza al luogo.

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Padiglione della Germania ad Expo 2015: “Fields of ideas”

Fields of ideas” che tradotto vuol dire i “Campi delle idee” ben sintetizza il contenuto del Padiglione della Germania per Expo Milano 2015. L’architettura ed il masterplan sono stati progettati dallo studio tedesco Schmidhuber, l’allestimento è opera di Milla und Partners mentre la gestione del progetto e della realizzazione sono stati curati dallo studio Nussli.

Alcuni di loro avevano già curato il padiglione della Germania ad Expo Shangai 2010, Milla und Partners sarà probabilmente coinvolto per il padiglione tedesco dell’Esposizione di Astana 2017.

IL PADIGLIONE DELLA SPAGNA AD EXPO 2015

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FIELDS OF IDEAS: I CAMPI DELLE IDEE

Il pragmatismo tedesco ha portato anche questa volta ad un grande risultato, centrando appieno il tema di Expo 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. 

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L’architettura del padiglione vuole richiamare i campi ed i paesaggi rurali tedeschi, come elemento della sua cultura, ma allo stesso tempo il concetto di Campo viene esteso alle idee, alla creatività e alle professionalità che ogni giorno si impegnano per costruire un mondo ed un futuro migliore. L’idea stilizzata del campo si estende all’uso dei materiali, i diversi tipi di legno utilizzati, con la varietà dei loro colori e del loro aspetto, contribuiscono a caratterizzare il design degli spazi.

GLI ALBERI SOLARI 

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Così all’esterno una rampa in legno invita i passanti a risalirla arrivando alla terrazza dalla quale è possibile ammirare l’esposizione universale, e dove grandi alberi composti da acciaio e moduli fotovoltaici, crescono creando zone di relax ombreggiate. Gli alberi prendono vita dal suolo, creando pozzi di luce all’interno del padiglione e zone d’ombra all’esterno, permettono di creare una connessione visiva tra i visitatori tra un piano e l’altro ed esattamente come gli alberi attraverso la fotosintesi trasformano l’energia solare, i moduli fotovoltaici OPV utilizzano la radiazione solare per generare energia elettrica che viene immagazzinata in un sistema posto alla base di ciascun albero, e riutilizzata di notte per l’illuminazione led degli alberi stessi. È come un circuito chiuso che provvede a se stesso autonomamente. I moduli, una volta terminata l’esposizione universale, verranno smontati e riutilizzati.

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La Germania, patria di grandi filosofi, non poteva non creare un nesso tra l’esposizione, gli spazi ed i contenuti conferendo un significato ad ogni singolo elemento. È come se questi alberi nascessero da un terreno fertile, il terreno delle idee, la loro forma organica vuole essere un richiamo al mondo delle innovazioni che sempre più prende spunto dalla natura. Ci troviamo quindi nel percorso interno del padiglione, in cui la Germania ci racconta come si è mossa e come si sta muovendo per migliorare e rispettare l’ambiente. Ci parla dei suoi eroi quotidiani: allevatori, agricoltori, agronomi, ingegner,i ecc. ogni professionalità contribuisce ai progressi che la Germania fa per coltivare ed allevare rispettando l’ambiente e per ideare e produrre risorse rinnovabili.

SPAZI ED ALLESTIMENTI INTERATTIVI

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Architettura ed allestimento si fondono in un connubio perfetto, ogni spazio è pensato per ricevere un’esposizione precisa e il risultato sono tanto divertimento ed apprendimento. La curiosità dei visitatori è stimolata di continuo, dai più piccoli ai più grandi. Tutti giocano ed interagiscono attivamente con il padiglione. Ebbene sì, “attivamente” è proprio questo il messaggio che la Germania vuole mandare, ognuno di noi deve essere attivo e deve dare il suo apporto con le proprie competenze e possibilità per migliorare il mondo in cui viviamo.

LA SEADBOARD LA TAVOLETTA IN CARTA PER INTERAGIRE CON L’ESPOSIZIONE

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All’ingresso viene fornita la “SeedBoard”, una tavoletta composta da un foglio di carta bianca su cartoncino. Il foglio di carta diventa lo strumento di interazione tra i visitatori e le sale espositive, il campo delle idee su cui ogni persona è invitata a riflettere e con il quale può interagire.

Nella prima parte dell’allestimento vi sono quattro aree tematiche: terra, acqua, clima e biodiversità. Grazie alla tavoletta è possibile conoscere i paesaggi tedeschi, gli studi che stanno portando avanti e molto altro ancora. Un gioco virtuale molto simpatico, posto vicino ai grandi alberi, ci fa capire quanto sia importante rispettare i tempi propri della natura e quanto sia importante collaborare insieme: al piano superiore i visitatori accostandosi alla piattaforma, aumentano l’allevamento fittizio di api che può essere utilizzato al piano inferiore dai visitatori che devono usare le stesse per impollinare e far crescere le piante. Mentre questa prima parte è legata molto anche alla tecnologia, il “mio giardino delle idee” è invece uno spazio in cui è possibile interagire direttamente con l’ambiente, ci si ritrova immersi dal verde, piante, fiori, piccole curiosità e consigli per la coltivazione personale sono posti vicino alle diverse piante.

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Ed infine lo spettacolo BEeActive, in cui la SeadBoard si trasforma in strumento musicale.

Il titolo dello spettacolo vuole suggerirci di essere attivi (Be active), esattamente come fanno le api (dall’inglese bee = ape), tema per altro ricorrente anche nel padiglione inglese, bisogna giorno dopo giorno impegnarsi tutti insieme e collaborare per costruire un mondo migliore, in cui si rispetta la terra e le sue risorse, in cui la creatività e l’inventiva siano alla base di sistemi innovativi per il risparmio energetico e la tutela dell’ambiente. Vivere in un mondo green, coltivando con tecniche non nocive per i terreni, allevando in modo naturale ed investendo sulle energie rinnovabili.

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Il centro benessere nella natura: verde in facciata, sul tetto e all’interno

Una Spa è un luogo in cui ritrovare il benessere psicofisico, rilassarsi ed eliminare lo stress, facendo percorsi termali, trattamenti e attività a contatto con l’acqua. È dunque un luogo artificiale, ideato dall’uomo, che prendendo spunto dalla natura cerca di ricreare vasche termali, fiumiciattoli di acqua fredda con ghiaia per stimolare i sensi e rilassarsi. L’architettura che ospita questi centri benessere è sovente pensata giocando con la luce e con la suggestività degli ambienti, spesso si possono ascoltare riproduzioni di suoni naturali, ci sono stanze di cromoterapia, proiezioni di luoghi naturali meravigliosi… ma cosa veramente rilassa di più se non il contatto con la natura stessa?

Partendo da questa riflessione il MIA Design Studio ha progettato il Naman Pure Spa, realizzato nel 2015 a Da Nang in Vietnam.

LA SPA IN NUOVA ZELANDA PER RIFUGIARSI NEL BENESSERE

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Il progetto di Naman spa

L’edificio si estende su una superficie di 1600 metri quadri, ha un impianto di forma rettangolare e si sviluppa su due livelli: al piano terra si trovano gli ambienti Spa, la palestra, gli spogliatoio uomo e donna, la stanza per lo Yoga, l’area Jacuzzi, l’area relax e le stanze per gli addetti; al secondo piano si trovano invece una libreria, una sala espositiva, ambienti spa e camere per trattamenti personalizzati. Sono state progettate e pensate anche delle suites in cui oltre a fruire di ambienti spa è possibile soggiornare per brevi periodi all’interno dell’edificio.

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Il patio e il raffrescamento passivo

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Tutti questi ambienti affacciano su un patio centrale nel quale aree relax si alternano a vasche di acqua collegate a quelle esterne attraverso dei piccoli canali, simili a fiumiciattoli, il tutto grazie ad un impianto di riutilizzo dell’acqua. L’immagine è quella di tanti piccoli laghetti e fiumiciattoli artificiali, ad evocare le fonti termali naturali che è possibile trovare in diversi posti del mondo. Le proprietà rilassanti dell’acqua, così come il rumore dello scorrere sono fondamentali in un centro benessere ed inoltre è utile per raffrescare gli spazi. In Vietnam il clima è tropicale pertanto prevedere sistemi naturali di raffrescamento è importante per fronteggiare i periodi di grande caldo. Il patio oltre a creare un ambiente verde ritirato, in cui è garantita privacy e relax, garantisce la ventilazione naturale di tutti gli ambienti in modo passivo.

Involucro in pannelli di lattice e moduli verdi

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Ma l’aspetto più interessante di questo edificio è il modo in cui il verde è integrato e parte integrante dell’involucro. La pelle esterna e quella interna al patio sono costituite dall’alternarsi di moduli verdi, caratterizzati da piante rampicanti di diverse specie, e pannelli in lattice bianco che vanno a scandire l’andamento verticale. Il verde si estende anche in copertura con il tetto giardino, come prosecuzione dei moduli di facciata.

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All’interno, i moduli verdi diventano dei quadri, le pareti sono composte da una varietà di specie arboree locali che con i loro fiori e profumi rendono suggestivo ogni ambiente. Le piante oltre a regolare il microclima interno alle stanze e nel patio, servono come schermatura naturale per filtrare il forte soleggiamento tropicale, andando a creare un gioco di luci ed ombre in facciata, negli spazi e nei percorsi interni. Per gli arredi interni lo stile minimal e i colori neutri lasciano spazio al verde, come unico elemento colorato e di decoro. La vegetazione prende il possesso dell’edificio, caratterizzandolo e conferendogli dinamicità. Gli spazi diventano micro oasi di pace, spazi vibranti sotto i riflessi delle foglioline. Al piano terra le piattaforme per la meditazione all’aperto e per il relax si alternano tra laghetti con ninfee e giardini pensili, i sensi vengono stimolati e pace e serenità sono assicurati!

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Shigeru Ban: rifugi autocostruiti per le vittime del terremoto del Nepal

Lo studio Shigeru Ban Architects ha rilasciato le immagini del suo primo prototipo di un rifugio di emergenza progettato dopo il disastro in Nepal della scorsa primavera. 

Il prototipo è pronto per essere costruito entro la fine del mese di agosto ed è stato progettato per essere facilmente montato anche da persone non esperte in montaggio di strutture. 

RICOSTRUZIONI POST CALAMITÀ: NEW ORLEANS DOPO L’URAGANO KATRINA

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Utilizzando dei semplici collegamenti tra i moduli dei rifugi,  vengono realizzate le strutture di base (cornici in legno di 90 cm x 210 cm), i mattoni e le macerie recuperate vengono utilizzate per il tamponamento delle murature, mentre con i tubi di cartone (tipici dei progetti dell’architetto giapponese) viene creata una struttura reticolare che sostiene il tetto. Questo tipo di struttura, per come è stata concepita, come afferma Shigeru Ban, permetterà un “montaggio rapido e insediamento quasi immediata”.

Shigeru Ban è un architetto infaticabile che vive tra New York, Tokyo e Parigi, e il cui lavoro ha da sempre espresso fiducia verso la rigenerazione e la ricostruzione di siti devastati. Di recente, nel 2014, ha vinto il Pritzker: si tratta del più prestigioso premio d’architettura internazionale, conferitogli per le sue opere costruite in materiali riciclati, destinate a ospitare i profughi delle guerre civili e le vittime dei disastri naturali. La sua tecnica usa materiali naturali rigenerabili come il bambù, oppure riciclati come le stoffe e i sottoprodotti di carta e plastica, o ancora adoperando materiali locali, per costruire colonne, muri e travi portanti.

La logica di Ban è semplice: realizzare qualcosa che sia facile da smontare e rimontare e nello stesso tempo resistente all’acqua e al fuoco. 

Per Shigeru Ban, la sostenibilità è un valore appartenente alla stessa architettura. Le sue opere si sforzano di utilizzare prodotti e sistemi adeguati, in sintonia con l’ambiente e il contesto specifico, nonché materiali rinnovabili e, quando possibile, di produzione locale.

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Il progetto del rifugio è stato concepito in collaborazione con l’organizzazione umanitaria di Ban, Voluntary Architects Network (VAN). A partire da quando si avvierà la realizzazione, la previsione è di fornire in pochi mesi case temporanee utilizzando materiali locali disponibili in Nepal. Partner del progetto e della realizzazione saranno anche le Università locali, gli studenti e molti architetti nepalesi. 

Intanto l’azienda di Ban e la sua organizzazione di soccorso volontario distribuiranno semplici tende-integrate con fogli di plastica donate dagli appaltatori locali che serviranno da pareti divisorie per essere montate temporaneamente in loco come rifugio temporaneo e stazioni per aiuto medico.

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